Il rosario nella vita

In un campeggio di giovani

Era d’estate e portavo avanti un campeggio di giovani, quando abbiamo deciso di raggiungere la Mariapoli, dove convergono ogni anno tanti giovani da tutta la Francia. È stata una bella esperienza di comunione fra tutti, nel corso della quale, durante una gita in montagna, è stato proposto ad alcuni giovani liceali di recitare insieme il rosario. Senza sapere molto di cosa si trattasse hanno detto di sì per un senso di cortesia verso i loro nuovi amici. L’esperienza si è ripetuta parecchie volte durante quel soggiorno.

Una sera, avendo saputo che io recitavo il rosario ogni giorno, parecchi di questi giovani liceali mi hanno interpellato amichevolmente dicendomi: «Perché, durante i nostri incontri estivi, non ci hai mai insegnato questa maniera così semplice di pregare?». La immediatezza e la franchezza di questa osservazione mi hanno fatto del bene invitandomi ad essere meno timido nel fare le mie proposte ai giovani.

Al telefono con mia nonna

D’improvviso mia nonna mi chiama al telefono per annunziarmi la morte di Ginetta, l’ultima delle sue sorelle. Sembra serena e mi racconta che ieri, festa della presentazione di Maria, le aveva chiesto di prendere con sé la sorella per mettere fine alla sua lunga malattia. Ora è sicura di essere stata ascoltata. È bello il racconto delle ultime ore: presso la malata è rimasta una nipote, che le ha parlato tranquillamente senza sapere bene se quel che diceva, venisse ascoltato e capito. Ma quando lei vuol ritirare la mano, una leggera pressione delle dita della malata le fa capire che il vincolo d’unione tra loro continua.

Con molta delicatezza le spiega allora che si avvicina l’ora della partenza e che presto sarà presso Dio con tutti i suoi parenti. Insieme all’infermiera dicono l’Ave Maria e le parole «adesso e nell’ora della nostra morte» hanno un significato attuale e profondo. Poi cantano in coro un canto alla Vergine che Ginetta aveva amato in maniera particolare durante tutta la sua vita. La sera stessa alle 22,30 entra nella gioia del Cielo.

Quando sopravviene un conflitto

Parecchi seminaristi sono venuti a condividere la nostra vita di comunione e a scoprire la nostra simpatica parrocchia. Il clima è profondo e fraterno. Una sera Simplicio, seminarista congolese, ci mette al corrente durante la cena della sua dolorosa e terribile esperienza di guerra civile. Nessun rancore,  ma immagini forti riaffiorano durante il racconto.

Alcune ore più tardi squilla il suo cellulare e un amico gli comunica che sono ricominciati i combattimenti precisamente nel quartiere dove si trova una parte della sua famiglia.

Sono le 23,30, decidiamo di andare l’indomani al Santuario della Madonna di Rocamadour per affidare a lei questa tremenda situazione, e intanto cominciamo a pregare insieme il rosario. Il giorno dopo partiamo in pellegrinaggio verso la Vergine Nera. Celebriamo la messa nella sua cappella. Nel momento in cui usciamo dal Santuario squilla di nuovo il telefono di Simplicio. Lo chiamano per rassicurarlo che le tensioni si sono placate e che i rischi di un nuovo conflitto sono spariti.

Emmanuel Pic

 

 

«La provvidenza c’è»

A metà novembre dell’anno 2002, un mercoledì pomeriggio, suona il telefono. Mi risponde una voce quasi soffocata dal pianto. È Silvia, l’incaricata per la parte economica del nostro Centro diurno per ragazzi, la “Casa del Bambino Lourdes”. Piangendo mi racconta che un’ora prima era stata assaltata e derubata di tutti i soldi degli stipendi e degli alimenti del Centro per il mese di novembre.

Nella mattinata era andata in banca a cambiare l’assegno ricevuto dall’Ufficio Provinciale dei minori come contributo alle spese del nostro Centro. Non aveva detto niente a nessuno, nemmeno a suo marito. In banca, in un locale appartato le avevano dato 5.000 pesos (corrispondenti a 1.400 dollari ) tutti in pezzi da 5 pesos. Dopo averli ben contati, discretamente, si era ritirata e si era messa in macchina. Sulla strada di ritorno verso casa, a metà cammino, in una zona un po’ disabitata, una macchina le si avvicina, la stringe e la obbliga a fermarsi. Scende un uomo e con la pistola puntata le grida di consegnargli la borsa che ha sul sedile anteriore. Silvia non fa nessuna resistenza e cosegna tutti i soldi.

Comprendo l’angoscia e lo spavento con cui mi parla al telefono. L’ascolto in un profondo silenzio, poi la tranquillizzo dicendole che l’importante è avere salva la vita e aggiungo con molta convinzione che per i soldi Dio provvederà.

Quando si diffonde la notizia quanti lavorano nel Centro manifestano la loro volontà di rinunciare allo stipendio di quel mese. Durante la messa racconto l’accaduto, preghiamo per chi ci ha provocato questo dolore e tutti insieme chiediamo a Gesù di vegliare sulle nostre vite e sul nostro lavoro.

Il lunedì sera chiama per telefono Martin, un amico che in tutti questi anni ci ha sempre aiutato. Per motivi di lavoro ogni tanto egli deve viaggiare verso gli Stati Uniti. Era rientrato in mattinata da New York e sua moglie l’aveva messo subito al corrente di quanto era successo. Mi rimprovera perché non lo avevo subito avvisato per posta elettronica e mi chiede il numero di conto corrente dove depositare, il giorno dopo, tutto quanto ci era stato rubato. Salutandomi aggiunge: «Ricordati che anch’io mi sento impegnato nel lavoro che fate; tutti i ragazzi che voi aiutate li sento parte della mia famiglia».

Prima di coricarmi sentivo di dire un grazie grande a Dio per questo suo amore cosi concreto e puntuale. E mi nasceva spontaneo dal cuore la voglia di gridare: «Mio Dio, quanto sei grande!».

Francesco Ballarini