L’esperienza di due sacerdoti durante la guerra civile in Costa d’Avorio

 

Ci ha guidati Maria, la madre dell’unità

 

di Charles Landreau e Gerhard Stigler

 

Le parole-chiave del discorso che Giovanni Paolo II ha rivolto ai vescovi amici del Movimento dei focolari nell’udienza privata del 13 febbraio scorso, hanno dato lo spunto agli autori di questo racconto per leggere nella luce della spiritualità di comunione l’esperienza vissuta in prima persona nei mesi scorsi. Si tratta di due sacerdoti, un francese e un tedesco, che compongono il focolare sacerdotale nella città di Man in seno alla Mariapoli “Victoria”, una delle 33 cittadelle di testimonianza del Movimento dei focolari. Pubblichiamo il loro scritto così come ci è giunto, sotto forma di lettera circolare a sacerdoti e seminaristi amici. Abbiamo utilizzato le parole del Papa nei titoletti.

Anche se siamo ben lontani dal viverla perfettamente, sentiamo da anni che la spiritualità di comunione costituisce il segreto per ben riuscire nella nostra missione. Forse per questo Dio ha voluto metterci a una scuola fuori dall’ordinario.

Infatti, quando è scoppiato il recente conflitto in Costa d’Avorio, noi vivevamo tranquilli nel nostro ambiente, immaginando che la guerra sarebbero rimasta circoscritta nel Nord e nella regione di Bouaké. Ma improvvisamente il 28 novembre, la città di Man è stata conquistata. E tre giorni più tardi è stata ripresa dai soldati governativi, che l’hanno tenuta sotto controllo fino al 18 dicembre. Ognuno può immaginare il via vai di uomini armati e il rumore di battaglie accanite intorno a posizioni importanti, come la nostra località che è la porta che dà accesso alla capitale, Abidjan, alla Liberia, alla Guinea e al Nord attraverso Odienné.

«Fare della Chiesa la casa
e la scuola della comunione»

Dopo i primi scoppi d’armi, di razzi, ecc., il terreno della parrocchia, come pure l’adiacente “cittadella” dei Focolari, era invaso da gruppi di gente spaventata, che portavano con sè ben poche cose. Più le detonazioni si facevano insistenti, più la folla aumentava e si rifugiava all’interno dei nostri confini. Quando la battaglia ha raggiunto il suo culmine, le persone erano migliaia... A due riprese esse sono state ospitate nei nostri locali, e ogni volta per una dozzina di giorni. E i nostri fedeli del quartiere circostante? Erano poco numerosi, perché la maggior parte era fuggita verso i villaggi vicini o verso il Sud.

La chiesa parrocchiale, “Santa Maria Regina dell’Africa”, quando il pericolo si è fatto più incombente, è diventata la casa che di giorno ospitava la folla, mentre di notte era trasformata in dormitorio, essendo tutti gli altri locali già pieni di uomini, di donne e di bambini.

Quale influsso si poteva avere su persone in gran parte sconosciute? Come mantenere un certo ordine, una coesione, come evitare le risse o le dispute inerenti a una concentrazione di gente così diversa? Qualcuno ha avuto l’idea che occorreva costituire un comitato per regolarizzare la situazione.

Ci siamo messi d’accordo e abbiamo convocato una piccola riunione con alcune persone che ci sembravano capaci e con altri che si offrivano spontaneamente. C’erano anche tre o quattro dei nostri dell’ufficio parrocchiale; gli altri erano degli sconosciuti. E ciascuno aveva un suo compito: controllo, pulizia, ordine nei locali, ed anche intervento immediato in caso di dispute ecc. Anche la liturgia aveva il suo comitato.

Si è realizzata così una certa comunione con questi ospiti occasionali, doloranti, spaventati e affamati. La parrocchia era diventata la casa del popolo di Dio e lì si praticava la distribuzione del cibo.

«Cristo crocifisso e abbandonato
come via per raggiungere l’unità»

Si riviveva la realtà di Gesù abbandonato. Bastava guardare la folla stravolta, gli invalidi portati su una carriola, un altro invalido totalmente dipendente ma abbandonato dai suoi parenti nella confusione della fuga precipitosa. Bastava vedere quel combattente disertore inseguito dai soldati governativi e tremante di paura, mentre il giorno prima era un eroe trionfante. C’erano rifugiati colpiti da una tempesta durante la fuga, persone stanche, affamate, scoraggiate, vecchi ammalati dall’odore scostante e donne che avevano partorito dopo il loro arrivo tra noi. Dall’altra parte incontravamo i vincitori: alcuni dal volto pieno d’odio e altri dal volto umano. C’erano i buoni, i cattivi, i falliti, gli stanchi, quelli che avevano denunciato calunniando e quelli che cercavano di nascondersi per paura di rappresaglie; i ricchi, i poveri, i cattolici, i protestanti, i musulmani...

E tutti vivevano lì, in quel territorio che ogni giorno sembrava diventare più ampio per accogliere la grande affluenza in questa piccola Mariapoli permanente, ritenuta un posto meno pericoloso.

Sì, Gesù era in tutti quei volti e quanto più presto noi l’accoglievamo, tanto meglio si poteva far fronte alla situazione. Egli ci donava luce, coraggio, amore verso tutti. Noi focolarini, laici e sacerdoti, dovevamo essere i primi a riconoscerne il volto dolorante.

«L’Eucarestia
come vincolo di comunione»

Essendo la chiesa occupata, celebravamo la messa fuori, in un posto un po’ riparato dalla folla rumorosa che non conosce i misteri sacri. Seduti sull’erba, i fedeli vivevano intensamente quel momento. E proprio durante una di queste celebrazioni eucaristiche abbiamo avuto la prima visita di uomini che ci minacciavano non solo a parole ma con le armi.

Essi avevano già deciso di condurre molti di noi al loro comando, ma il capo, ispezionando i luoghi e vedendo una cinquantina di persone che partecipavano alla celebrazione eucaristica, è tornato indietro ed ha detto  in inglese che quel luogo era una “terra di Dio” e per questo ci lasciavano tranquilli.

Era nella messa quotidiana che noi del Movimento, i rifugiati cattolici e i nostri parrocchiani rimasti sul posto, riprendevamo forza per affrontare quelle ore difficili. Era un conforto vederci ogni giorno e rinnovare il patto d’unità attraverso l’Eucaristia.

«L’azione dello Spirito Santo
unifica le membra»

In quei momenti di grande tensione, di avvenimenti straordinari, era necessario avere la parola, il silenzio, lo sguardo e l’atteggiamento giusto per sostenere, dare la vita, orientare, decidere, stringerci tra noi e con quelli che ci aiutavano: essere tutti “uno”.

Passato il pericolo, possiamo dire che quest’unità, frutto della presenza di Gesù in mezzo a noi, ci ha resi capaci di donarci agli altri, ha cementato d’amore vero i nostri rapporti, ci ha dato le intuizioni giuste nelle ore decisive ed ha fatto sperimentare a tutti una particolare protezione divina.

«La presenza della Vergine Maria,
che tutti ci conduce a Cristo»

Nell’agosto del 1977 la parrocchia era stata dedicata a “Santa Maria Regina dell’Africa”. Si erano programmati, quindi, solenni festeggiamenti per il giubileo dei 25 anni, che si dovevano svolgere dal 1° all’8 dicembre scorso. I piani di Dio erano diversi: se al posto dei fuochi d’artificio previsti dal nostro comitato si udivano ben altri scoppi, la nostra comunità ha potuto testimoniare la forza salvatrice del Vangelo: l’amore fraterno verso tutti.

Abbiamo sperimentato ogni giorno la presenza materna di Maria. La protezione di cui tutti, sì tutti, hanno beneficiato in questo luogo è dovuta senza dubbio alla catena di preghiere che giorno e notte si è innalzata a Dio attraverso lei, che ci ha come protetti sotto il suo manto.

Nessun morto a causa di spari; nella chiesa un solo vetro rotto; qualche colpo qua e là e molto rumore di pallottole vaganti. Ci sono state alcune nascite e poi anche riconciliazioni, atti di generosità per evitare mancanze di acqua e di elettricità e tante altre cose edificanti. Varie persone sono state condotte a Cristo da queste prove d’amore.

Ha fatto grande impressione la testimonianza dei membri del focolare. Era stata offerta loro la possibilità di fuggire per mettersi in salvo, ma l’avevano rifiutata per rimanere accanto ai loro fratelli perticolarmente bisognosi.

Esiste un «legame tra l’amore di Dio e l’amore per il prossimo»

«Non va poi dimenticato il carattere dinamico della “spiritualità di comunione” – dice ancora il Papa –, che deriva dal legame esistente tra l’amore di Dio e l’amore per il prossimo».

Questa spiritualità non soltanto sosteneva il morale della gente, ma spingeva all’azione: il suo dinamismo era evidente. Per esempio, la vigilia di Natale e del nuovo anno sono state vissute decorosamente, come feste di famiglia, piene di gioia e di speranza. Medici e infermieri, malgrado il sovraccarico di lavoro e la tensione nervosa, erano sempre disponibili, aiutandosi nell’affrontare uniti problemi spesso particolarmente difficili.

L’amore di Dio doveva concretizzarsi senza sosta nell’amore al prossimo sostenendo una folla così varia per provenienza, religione, livello sociale e intellettuale. E l’amore ha trionfato su tutto e su tutti, anche su quelli che avrebbero potuto nuocerci.

«Apprendere l’arte
di santificarsi insieme»

Ogni giorno – e ciò accade da mesi – per porre in pratica il Vangelo ci concentriamo su una frase, un breve pensiero spirituale, come per esempio: «vivere bene la volontà di Dio del momento presente». È un modo per aiutarci a “santificarci insieme”. E quando la prova è troppo pesante, è bello cogliere il sorriso del fratello e della sorella, impegnati nella stessa avventura.

Certamente in questo periodo Dio ci ha fatto vivere una bella scuola di vita con molta intensità e forse solo in Cielo ne coglieremo tutti i frutti a gloria di Dio, per la gioia di Maria e per il bene della Chiesa.

Charles Landreau
Gerhard Stigler