Come si è affermata nella Chiesa cattolica la pratica del rosario

 

Lo sviluppo storico della preghiera del rosario

 

di Mons. Domenico Sorrentino

 

L’arcivescovo Sorrentino è il delegato pontificio per il Santuario di Pompei (Italia), fondato dal beato Bartolo Longo e divenuto famoso per aver promosso la preghiera del rosario. Con competenza e chiarezza l’autore ripercorre le tappe essenziali della storia del rosario dalle origini ai nostri giorni.

Sono davvero lieto, carissimi amici, di potervi dare un piccolo contributo sulla storia del rosario. Il tema è tuttavia così vasto, e il tempo così stretto, che dovrò limitarmi ad alcuni spunti introduttivi, organizzati in sette punti.

 «Preistoria» e storie parallele

Il rosario ha quasi mille anni di storia1. Ma nella sua essenza risale molto più in su, e nella sua espressione esteriore, non è un fatto esclusivo del cristianesimo. In questo senso parlo di “preistoria” e di storie parallele. La preistoria affonda le radici in due bisogni tipici dell’animo orante: da una parte, il bisogno di supplicare Dio senza posa nel senso dell’evangelico «Bussate e vi sarà aperto» (Mt 7, 7); dall’altra il ritmo proprio della preghiera contemplativa, in cui la lode, l’ammirazione e l’incanto di fronte al mistero eccedono le parole, al punto che queste si ripetono e si rincorrono, mai appagate, fino a quando non le spegne il silenzio mistico. Un classico esempio di preghiera litanica è il Salmo 136, tutto scandito dal ritornello: «eterna è la sua misericordia».

Tutto questo non è soltanto biblico o cristiano, ma proprio di ogni animo autenticamente religioso. Troviamo forme di preghiera simili al nostro rosario anche nell’islam, nell’induismo e nel buddismo2. Nell’islam, ad esempio, con la corona si ripetono i novantanove Nomi di Allah. Nel cristianesimo ovviamente troveremo formule rispondenti alla nostra fede. In Oriente si distingue la Preghiera di Gesù, incessante ripetizione dell’invocazione: «Signore Gesù Cristo, Figlio di Dio, abbi pietà di me peccatore»3. La forma parallela4 di questa preghiera in Occidente è appunto il rosario.

A chi si deve la sua nascita? La tradizione, fino a qualche tempo fa, lo attribuiva a san Domenico. Oggi, di questa tradizione, resta l’anima di verità che i domenicani sono stati i maggiori zelatori e promotori del rosario. Comunque è al secolo XII che se ne intravede l’embrione, nel suggerimento dato ai monaci illetterati di sostituire la recita dei 150 Salmi con altrettanti Pater o Ave. A prima vista, un espediente devozionale di ripiego. Ma presto ci si sarebbe accorti che questa ripetizione era tutt’altro che una “parente povera” della salmodia: ne costituiva semmai una forma complementare, di particolare valore contemplativo per il suo carattere di concentrazione sul cuore del mistero cristiano.

Lo sviluppo storico di una «forma»

Nato così, il rosario si sviluppò gradualmente, con l’apporto di tante mani docili «al soffio dello Spirito di Dio»5. Tra le preghiere ripetute, prevalse, diviso in tre cinquantine, il rosario dell’Ave Maria (da ricordare che all’inizio questa preghiera non aveva ancora la seconda parte, la Santa Maria). Nel secolo XIV il certosino Enrico di Kalcar propose la suddivisione in 15 decine, inserendo tra l’una e l’altra il Pater. Operazione apparentemente di semplice divisione numerica, ma che intrecciava due profili contemplativi: col Padre nostro, l’animo si slancia con Cristo verso il Padre e si apre all’esperienza amorevole e misericordiosa della fraternità; con l’Ave Maria, lo sguardo si concentra sul mistero dell’incarnazione colto nel punto sorgivo del volto e del grembo di Maria. Più tardi, nel 1613, l’inserimento del Gloria avrebbe completato l’opera, ponendo la dossologia trinitaria come l’abside di una ideale “basilica”, in cui il Pater fa da portale e da navata, le dieci Ave Maria da colonne che delimitano lo spazio sacro.

Intanto, alla contemplazione insita nelle preghiere vocali, si aggiunge quella meditativa poggiata sull’evocazione di momenti della vita di Cristo. È merito di un certosino di Colonia, Domenico di Prussia, aver proposto, tra il 1410 e il 1439, l’aggiunta all’Ave Maria di una clausola cristologica. Per stare alla metafora della basilica in costruzione, era come gettare un arco tra colonna e colonna, aprendovi un’icona del volto di Cristo. Le clausole variavano ad ogni Ave Maria. Questo “rosario nuovo”, fatto di ripetizione e meditazione, si diffuse grazie alle confraternite del rosario promosse dal domenicano Alano de la Roche (1428-1478). Fu lui a distinguere le tre cinquantine in rapporto a tre cicli meditativi incentrati sull’incarnazione, la passione e la gloria di Cristo e di Maria. Un altro domenicano, Alberto da Castello, legò le meditazioni dei “misteri” al Pater, considerando le clausole come commenti ai 15 misteri prescelti6. Grazie a questa semplificazione, era venuta alla luce la figura attuale del rosario. Il Papa san Pio V, con la bolla Consueverunt romani Pontifices del 1569, ne stabilì la forma ormai definitiva.

La messa a fuoco del contenuto

Stando alla felice sintesi che ne ha fatto la Rosarium Virginis Mariae, il contenuto del rosario è il volto di Cristo contemplato con gli occhi e il cuore di Maria. Se oggi il Papa ha invitato la Chiesa a “ripartire da Cristo” per prendere il largo del nuovo millennio, qualcosa di simile avvenne anche nel secondo millennio. Nei suoi grandi passaggi storici, la Chiesa non può che ripartire sempre da Cristo, innamorandosi di lui come i primi discepoli sul lago di Galilea. Il tempo in cui il rosario nacque e si sviluppò fu anche quello in cui la spiritualità sentì il bisogno di un rinnovato contatto con l’umanità di Gesù. Distinguendosi da pur nobili tendenze di meditazione più astratta, il rosario proponeva, a partire dal Vangelo, la contemplazione di Cristo nella sua concretezza storica di Figlio di Dio e della Vergine. A questa prospettiva diedero un forte contributo grandi santi, come Francesco d’Assisi, ma anche fortunati testi spirituali che plasmarono generazioni di cristiani, dall’Imitazione di Cristo alla Vita di Gesù di Ludolfo di Sassonia.

Se si leggono le clausole utilizzate abbondantemente prima della menzionata semplificazione, si ha l’impressione di una fede che vuole spaziare in tutte le pieghe del mistero. E ciò non solo per ammirarlo, ma soprattutto per assimilarlo. È il programma del rosario, ben sintetizzato dalla colletta della messa per la festa del rosario, istituita nel 1573, dove si chiede al Signore che meditandone i misteri, «imitiamo ciò che contengono, e otteniamo ciò che promettono»7. Strano però che, nel processo semplificativo, rimanessero totalmente fuori i misteri della vita pubblica di Gesù dal Battesimo all’istituzione dell’Eucaristia: lacuna a cui Giovanni Paolo II ha posto finalmente rimedio.

La storia di un «vissuto» di fede

Se non è semplice fare la storia del rosario come schema di preghiera, ancor più arduo è farne la storia dal punto di vista del suo “vissuto” nell’esperienza del popolo di Dio. Ci aiutano però tante testimonianze di santi, teologi, autori spirituali8. In effetti, il rosario ha accompagnato per secoli innumerevoli cammini di santità, scandito ritmi di preghiera quotidiana, sostenuto la contemplazione di moltitudini oranti. Se si vuole un mirabile stralcio letterario di questo vissuto, basti evocare la  scena dei Promessi Sposi in cui Lucia,  rapita e portata a forza nel castello dell’Innominato, si aggrappa alla sua corona e se ne fa scudo. Quanti aneddoti di questo tipo si potrebbero raccontare! Il rosario si è rivelato nei secoli  una preghiera alla portata di tutti,  ed insieme  preghiera capace di  far innalzare  l’animo verso le vette della più alta contemplazione.

Si può apprendere qualcosa di questo vissuto mistico  leggendo San Luigi Maria Grignion de Montfort9, o anche l’apostolo pompeiano del rosario, il beato Bartolo Longo. Mi limito a citare, di quest’ultimo, il  brano che il Papa stesso fa suo nella Rosarium Virginis Mariae: «Come due amici, praticando frequentemente insieme, sogliono conformarsi anche nei costumi, così noi, conversando familiarmente con Gesù e la Vergine, nel meditare i misteri del rosario, e formando insieme una medesima vita con la Comunione, possiamo divenire, per quanto ne sia capace la nostra bassezza, simili ad essi, ed apprendere da questi sommi esemplari il vivere umile, povero, nascosto, paziente e perfetto»10.

È da notare, in questo passaggio, la relazione intima che il Beato vede tra rosario ed Eucaristia. In un articolo del 1914, che acquista attualità dopo che il Papa, nell’anno del rosario, ha promulgato anche l’Enciclica Ecclesia de Eucharistia, il Beato scriveva: «Nessuna devozione come quella della Santa Corona predispone così bene all’Eucaristia, ce ne accende nell’animo l’amore, ce ne desta il desiderio»11.

Il cammino del Magistero

Interventi di Papi sul rosario si registrano fin dal Medioevo. Ma la stagione aurea è quella che comincia con Leone XIII, non a torto detto “Papa del rosario”, per i numerosi documenti che dedicò a questa preghiera, a partire dall’enciclica Supremi apostolatus del primo settembre 1883. Fu, la sua, una sorta di “politica del rosario”, funzionale al disegno di una nuova progettualità cristiana dopo la grande crisi successiva alla Rivoluzione francese. Mentre delineava, con il neotomismo e l’impegno sociale, i tratti di un cristianesimo impegnato nella storia, col rosario si assicurava un “esercito di contemplativi” grande quanto tutto il popolo cristiano, unendolo, col rosario, in una supplica corale di fronte ai mali della società.

Fu in risposta a questo appello che, nello stesso 1883,  Bartolo Longo formulò la celebre Supplica. Se si guarda ai contenuti, all’inizio il magistero leoniano sul rosario accentua la prospettiva mariana, poi va emergendo il profilo cristologico, a cui Maria introduce come Madre e Maestra. Così scrive nell’enciclica Magnae Dei Matris dell’8 settembre 1892: «E questa ordinata successione di ineffabili misteri, nel rosario, è spesso e insistentemente richiamata alla memoria dei fedeli, e quasi spiegata davanti ai loro occhi; in modo che coloro che recitano bene il rosario, ne hanno l’anima inondata di una dolcezza sempre nuova, e provano la medesima impressione ed emozione che proverebbero se sentissero la voce stessa della loro dolcissima Madre, nell’atto di spiegare loro questi misteri e d’impartire loro salutari esortazioni»12.

Sulla base del magistero leoniano, anche i Papi seguenti hanno incoraggiato il rosario, e quasi tutti ne hanno fatto oggetto di significativi interventi. Pio XI, nella Ingravescentibus malis del 20 settembre 1937, risponde a una obiezione che ancora si sente ripetere, a proposito del carattere monotono e cantilenante del rosario. Il Papa fa appello alla logica dell’amore, sottolineando che è proprio dei sentimenti di amore che «pur rinnovando tante e tante volte le stesse parole, non per questo ripetono sempre la stessa cosa, ma sempre esprimono qualcosa di nuovo…»13.

Con Pio XII,  nella Ingruentium Malorum,  del 15 settembre 1951 comincia ad essere  sottolineato il  significato del rosario per la  famiglia, sullo sfondo della crisi crescente di questa  istituzione e dei conseguenti problemi per l’intera società.

Il Pontefice scrive: «Invano, infatti, si cerca di portare rimedio alle sorti vacillanti della vita civile, se la società domestica, principio e fondamento dell’umano consorzio, non sarà diligentemente ricondotta alle norme dell’Evangelo. A svolgere un compito così arduo, noi affermiamo che la recita del santo rosario in famiglia è mezzo quanto mai efficace. Quale spettacolo soave e a Dio sommamente gradito, quando, sul far della sera, la casa cristiana risuona al frequente ripetersi delle lodi in onore dell’augusta Regina del Cielo! Allora il rosario recitato in comune aduna davanti all’immagine della Vergine, con una mirabile unione di cuori, i genitori e i figli, che ritornano dal lavoro del giorno; li congiunge piamente con gli assenti, coi trapassati; tutti infine li stringe, più strettamente, con un dolcissimo vincolo di amore, alla Vergine santissima, che, come madre amorosissima, verrà in mezzo allo stuolo dei suoi figli, facendo discendere su di essi con abbondanza i doni della concordia e della pace familiare. Allora la casa della famiglia cristiana, fatta simile a quella di Nazaret, diventerà una terrestre dimora di santità e quasi un tempio, dove il rosario mariano non solo sarà la preghiera particolare che ogni giorno sale al cielo in odore di soavità, ma costituirà altresì una scuola efficacissima di virtuosa vita cristiana»14. Pagina di sapore lirico, che anticipa la riflessione sullo stesso tema dell’attuale Pontefice, che di fronte alla famiglia insidiata dalla mancanza di comunicazione, non esita a riproporre il rosario come «preghiera della famiglia e per la famiglia»15.

E siamo ormai in epoca conciliare.  Giovanni XXIII, nella Lettera apostolica Il Religioso convegno del 29 settembre 1961, parla del rosario rilanciandolo come preghiera meditativa, distinguendo i diversi livelli implicati nella sua recita. Scrive: «La vera sostanza del rosario ben meditato è costituita da un triplice elemento che dà all’espressione vocale unità e coesione, discoprendo in vivace successione gli episodi che associano la vita di Gesù e di Maria in riferimento alle varie condizioni delle anime oranti e alle aspirazioni della Chiesa universale. Per ogni decina di Ave Maria, ecco un quadro, e per ogni quadro un triplice accento, che è al tempo stesso: contemplazione mistica, riflessione intima, e intenzione pia»16.

Toccherà a Paolo VI nella Marialis Cultus del 2 febbraio 1974 delineare il rosario sullo sfondo biblico, cristologico ed ecumenico della teologia conciliare. Il rosario ne esce come «compendio del Vangelo» e preghiera evangelica, «in quanto dal Vangelo esso trae l’enunciato dei misteri e le principali formule, al Vangelo si ispira per suggerire, muovendo dal gioioso saluto dell’angelo e dal religioso assenso della Vergine, l’atteggiamento con cui il fedele deve recitarlo; e del Vangelo ripropone, nel susseguirsi armonioso delle Ave Maria, un mistero fondamentale – l’incarnazione del Verbo – contemplato nel momento decisivo dell’annuncio fatto a Maria»17.

Un’indicazione magisteriale, quella di Paolo VI, nitida e al riparo da qualunque obiezione. E tuttavia ciò non è valso a scongiurare la crisi che si è abbattuta, nel posto-Concilio, su questa preghiera, talvolta proprio negli ambienti teologicamente e pastoralmente più vivaci, compresi i seminari. Questa crisi ha trovato in Giovanni Paolo II una coraggiosa e profetica risposta. Per comprendere quanto è avvenuto in Piazza San Pietro il 16 ottobre 2002, con la firma della Rosarium Virginis Mariae, occorre sottolineare che, per il Papa, questa Lettera apostolica è il “coronamento” mariano della Novo millennio ineunte18. È come il secondo quadro di un dittico. Rispetto al primo, il tema resta lo stesso: “contemplare il volto di Cristo”. Ma come in una sinfonia, se ne fa una variazione, arricchendo il tema cristologico con la prospettiva mariana. Il Papa comincia col replicare ai critici del rosario, mostrando come le obiezioni non abbiano motivo d’essere, se si coglie bene la fisionomia di questa preghiera, mariana sì, ma dal “cuore cristologico”19, centrata sul mistero di Cristo, in totale armonia con la Scrittura e la liturgia, in nulla pregiudizievole all’ecumenismo. Occorre comprenderla bene. E il Papa ne lumeggia i fondamenti, i contenuti, il metodo, l’efficacia. I fondamenti sono delineati nel bisogno della Chiesa di contemplare Cristo mettendosi alla scuola di Maria. Nel rosario Maria ci “presta” il suo sguardo e il suo cuore. Ci mette a parte dei suoi ricordi di Cristo, ci “insegna” Cristo, e ci aiuta a conformarci a Lui. Su questa base il rosario è supplica efficace, forte dell’intercessione della Madre di Dio. È, infine, percorso di testimonianza ed evangelizzazione. La riflessione si porta poi sui contenuti: i “misteri” del rosario, tra gioia, dolore e gloria – i tre scenari classici –, a cui il Papa aggiunge l’arco dei misteri della luce.

Si entra poi nella metodologia del rosario, compresa nei suoi diversi elementi, dall’enunciazione del mistero alla Parola di Dio, dal silenzio alle singole preghiere vocali. E il discorso non si sottrae allo stesso simbolo materiale della corona, vista non soltanto come “catena dolce” che ci rannoda a Dio, ma anche come catena che ci affratella, vincolo di comunione20.

Preghiera «militante»
a servizio della pace

Al rosario, nel corso dei secoli, il vissuto di fede ha attribuito sempre grande efficacia rispetto ai pericoli che insidiano la vita. È rimasta particolarmente legata al rosario la vittoria delle armi cristiane su quelle turche a Lepanto nel 1571. La connessione, in verità, nel clima odierno di dialogo interreligioso, è alquanto imbarazzante, tanto che il Papa vi fa solo un cenno molto velato21. Resta il fatto che, da quel caso storico in cui la corona accompagnò una vera e propria guerra, molti interventi magisteriali hanno riproposto questa sua funzione “militante”, ma vista sempre più in termini di milizia spirituale. Emblematici questi accenti di Pio XII: «Grande è la speranza che noi riponiamo nel santo rosario, per risanare i mali che affliggono i nostri tempi. Non con la forza, non con le armi, non con l’umana potenza, ma con l’aiuto divino ottenuto per mezzo di questa preghiera, forte come Davide con la sua fionda, la Chiesa potrà affrontare impavida il nemico infernale...»22. La prospettiva del combattimento si è venuta così purificando, e in certo senso rovesciando, fino a fare del rosario, con gli ultimi Papi, una preghiera privilegiata per la causa della pace. Paolo VI, nell’Esortazione apostolica Recurrens mensis october del 7 ottobre 1969, immaginava che la recita del rosario riproducesse per noi la situazione delle nozze di Cana, inducendo la Madre a dire al Figlio: «Non hanno più pace». In questa linea si pone Giovanni Paolo II, ma facendo un passo avanti. Non si limita infatti ad affidare la pace all’intercessione di Maria, ma la presenta come frutto di questa preghiera anche in virtù della sua interna dinamica: il rosario è preghiera di pace perché, facendo contemplare Cristo, fa assimilare il senso della pace; perché il suo stesso metodo litanico esercita un’azione pacificante che rende più aperti al dono di Dio; perché spinge alla pratica della solidarietà, insegnando a decifrare i lineamenti di Cristo sul volto dei fratelli23.

La storia che verrà

Ho iniziato parlando di “preistoria” del rosario. Mi piace concludere immaginando il futuro di questa preghiera, nella convinzione – ogni giorno confortata dall’esperienza del Santuario di  Pompei – che essa sia destinata a riprendere slancio nella vita del popolo di Dio. Occorre ovviamente sottrarla alla tentazione della recita meccanica e farla passare da “devozione” a “meditazione”. Occorre che i “grani” della corona diventino “gradini” di amore, anzi, pedagogia di “innamoramento” di Cristo, alla scuola di colei che ne è, oltre che la Madre, l’innamorata per eccellenza. Nella Novo millennio ineunte il Papa ha additato nella contemplazione una grande sfida che il cristianesimo del nostro tempo deve raccogliere. Sfida resa pressante dal dialogo con le altre religioni24. Il rosario, riscoperto nei suoi fondamenti e ben praticato, animato dalla lectio divina e rispettoso della centralità della liturgia, è una risposta significativa a questa esigenza. Ha un futuro luminoso davanti a sé. Credo che il Movimento dei focolari, come Opera di Maria, abbia motivo di sentirsi in sintonia naturale con questa preghiera. Non mi sorprende, e mi rallegra molto, che abbia preso tanto sul serio l’invito del Papa a impegnarsi per la sua promozione.

Domenico Sorrentino

 

1)    Cf W. M. WILLAM, Storia del rosario, Orbis catholicus, Roma 1951; si veda anche: AA.VV., Rilanciamo il Rosario, Temi di Predicazione, Edizioni Domenicane Italiane, Napoli 1973; E. D. STAID, Rosario, in S. DE FIORES - S. MEO (a cura), Nuovo Dizionario di Mariologia, Edizioni Paoline 1985, pp. 1207-1215; R. BARILE, Il Rosario nella storia: dagli inizi al consolidamento della sua attuale struttura, in “L’Osservatore Romano” 11 gennaio 2003.

2)    Cf Meditazione/Mistica, in H. WALDENFELS (a cura), Nuovo Dizionario delle religioni, San Paolo, Cinisello Balsamo 1993, pp. 568-579.

3)    Cf R. SCHERSCHEL, Der Rosenkranz - das Jesusgebet des Westens, Herder, Freiburg-Basel-Wien 1982; H. SCHÜRMANN, Rosenkranz und Jesusgebet. Anleitung zum inneren Beten, Herder, Freiburg-Basel-Wien 1986.

4)    Nella Lettera apostolica Rosarium Virginis Mariae  n. 5 Giovanni Paolo II fa appunto questo parallelo tra Rosario e Preghiera di Gesù dell’Oriente.

5)    Cf RVM 1.

6)    Cf Rosario della gloriosissima Vergine Maria, Venezia 1521.

7)    Questa colletta ora è stata sostituita, ma significativamente il Papa l’ha citata in RVM 35.

8)    Non sono mancati nemmeno nel nostro tempo teologi di vaglia che hanno trattato del Rosario. Si pensi a Romano Guardini, Il Rosario della Madonna, Morcelliana, Brescia 1945, e ad Hans Urs von Balthasar, Il Rosario, la salvezza del mondo nella preghiera mariana, Jaca Book, Milano 1978.

9)    Il segreto meraviglioso del Santo Rosario per convertirsi e salvarsi: Opere, 1, Scritti Spirituali, Roma 1990, pp. 724-843.

10)  I Quindici Sabati del santissimo Rosario, 27a ed., Pompei 1916, p. 27.

11)  Il Rosario e l’Eucaristia, in “Il Rosario e la Nuova Pompei”, luglio-agosto 1914, p. 248.

12)  EE 3/1039.

13)  EE 5/1333.

14)  EE 6/880.

15)  Cf RVM 41-42.

16)  Acta Apostolicae Sedis 53 (1961).

17)  n. 44; Enchiridion Vaticanum 5/75.

18)  RVM 3.

19)  RVM 1.

20)  RVM 36.

21)  «In momenti in cui la cristianità stessa era minacciata, fu alla forza di questa preghiera che si attribuì lo scampato pericolo e la Vergine del Rosario fu salutata come propiziatrice della salvezza»: RVM 39.

22)  Parole conclusive dell’Enciclica Ingruentium malorum (15 settembre 1951).

23)  RVM 40.

24)  NMI 33.