Dialogo con i lettori

 

«Sono responsabile di una parrocchia dove la maggioranza è immersa nel materialismo pratico, ma ciò nonostante non sono rari i casi di persone che per vari motivi, dopo anni di lontananza dalla fede, vengono a contatto con il sacerdote. Purtroppo non sempre quest’incontri hanno esito felice. Come stabilire con loro un dialogo vero che dia speranza e faccia riscoprire i valori della nostra fede?».

Un parroco della Romagna – Italia

“Farsi uno”
con chi non crede

Sono anch’io un parroco nella terra di Romagna e capisco la sua domanda perché me la sono posta da anni. Quanto dirò, quindi, è frutto della mia piccola esperienza.

Sono arrivato alla conclusione che il vero dialogo esige alcuni atteggiamenti di fondo molto impegnativi.

Innanzi tutto l’ascolto. Ascoltare fino in fondo, senza pensare alla risposta, fino a diventare l’altro. È importante, mentre si ascolta, non pensare a cosa rispondere, non lasciarsi prendere dal desiderio di voler correggere, illuminare, ecc. La cosa più importante è prendere l’altro dentro di sé, diventare in qualche modo l’altro.

Posso dire per esperienza che le persone lo percepiscono. Avvertono che non le giudichi, che non vuoi indirizzarle da nessuna parte, che le ami in modo disinteressato. Quando viene per te il momento di parlare ti ascoltano nella libertà piena, una libertà anche da se stesse. Il tuo parlare allora – nella misura in cui è veritiero ed è condito di sapienza evangelica – incide profondamente e tocca il cuore di chi ascolta.

Per far questo bisogna avere il coraggio di passare dall’altra parte. Ovviamente avverto la distanza fra il mio modo di credere e di concepire la vita rispetto a quello di una persona formata in una cultura laica. Spesso per quanto riguarda la fede, per esempio, da una parte si avvertono serenità, gioia e pace, mentre dall’altra c’è l’ombra del dubbio, dell’insicurezza e non raramente anche un velo di tristezza. E in genere senza colpa.

Nell’amare queste persone è proprio necessario superare questa distanza, fare lo sforzo per “passare dalla parte dell’altro”: sperimentare cosa vuol dire dubbio e insicurezza con chi vive in questa situazione esistenziale, ricordando le parole di san Paolo: «Chi è debole, che anch’io non lo sia?» (2Cor 11, 29). Deve stabilirsi con l’altro una vera unità di fondo.

Non è possibile compiere questo salto (ed è un vero salto nel vuoto) senza l’amore hic et nunc a Gesù abbandonato, che ha fatto proprio questo: è passato dalla nostra parte e si è fatto dubbio, tenebre, peccato per noi.

Nel vivere quest’esperienza spesso ho provato smarrimento, insicurezza: è un vero distacco dal mio mondo interiore, dalle mie certezze religiose. In un certo senso è un “perdere Dio” al quale ho donato tutta la mia vita.

Se questo rapporto è vissuto intensamente, si sperimenta un vero abbandono, si rimane come sperduti. Inoltre, tante volte ho avuto l’impressione di non adempiere bene il mio ministero, quasi di tradirlo. Mi sono chiesto se stavo osservando bene le norme sagge della Chiesa, se la mia misericordia era vero amore o una porta verso la permissività, ecc.

Ho sentito allora il bisogno di consigliarmi con chi poteva dirmi una parola sicura e sono stato incoraggiato ad andare avanti senza timore, perché quando si semina nei cuori l’amore, essi ricevono anche la luce per capire le esigenze del Vangelo, e la forza per metterle in pratica. Non spegnere mai il lucignolo fumigante, ma riaccenderlo sempre. E i tanti frutti raccolti in questi anni me l’hanno poi confermato.

Accenno a qualche esperienza. Alle persone adulte che vengono a chiedere il sacramento del matrimonio o della cresima, diciamo sempre che è nostra intenzione non imporre nulla: «Non abbiamo alcuna pretesa di cambiarvi, potete quindi manifestare liberamente le vostre convinzioni così come noi vi manifestiamo tutte le esigenze della fede e della vita cristiana senza nasconderne alcune o addomesticarne altre».

Durante un affollato corso di cresime per adulti ci siamo trovati proprio su due sponde diverse: da una parte noi animatori e dall’altra tutti i partecipanti in una situazione di difesa, quasi di sospetto. Abbiamo avvertito il dovere di passare dalla loro parte per superare diffidenze e difficoltà. Abbiamo raccontato loro come, nonostante il dono della fede, avevamo anche noi le nostre incoerenze, i nostri dubbi e sentivamo tutto il peso della nostra natura umana così imperfetta. Nonostante però tutti i nostri sbagli, non volevamo mai arrenderci.

Dopo questa nostra apertura si è stabilito un clima di mutua confidenza ed anch’essi hanno avuto il coraggio di raccontarci della loro vita e del desiderio di cambiare. Alla fine del corso, davanti a persone felici e piene di fiducia, abbiamo spiegato il passo compiuto da noi mesi prima: come eravamo passati dalla loro parte. La risposta unanime è stata: «Voi siete passati dalla nostra parte, adesso siamo noi a passare dalla vostra!». Ed hanno fatto scelte coraggiose di vita cristiana persino nel campo della castità.

Per rispondere alla sua domanda vorrei aggiungere che dobbiamo guardare l’umanità con l’ottica di Gesù, perché solo quando si entra in quest’ottica si può percepire il significato vero e la preziosità di ogni situazione umana, anche la più disastrata.

Infatti, ogni vuoto, ogni peccato non è solo vuoto e peccato (ottica umana), ma è innanzitutto il volto di Gesù abbandonato (ottica divina), presente in quella vicenda da lui già redenta. Non si coglie la verità profonda delle vicende umane se non si vedono nel mistero dell’abbandono di Gesù.

Questa visione di fede è richiesta a noi pastori e ad ogni cristiano ed essa è già l’inizio della soluzione dei problemi, innanzitutto dentro di noi che ascoltiamo e poi anche in chi ci sta davanti, perché in quest’ottica anche situazioni che sembrano senza speranza, s’illuminano.

Nella nostra regione incontriamo tante separazioni, tante infedeltà, tanto materialismo. Ognuna di queste situazioni ha un nome: il Separato che si riunisce al Padre, Colui che fa l’esperienza della solitudine e si riabbandona a Dio, l’Uomo Dio che sembra rimanere senza Dio e pronuncia l’atto supremo di fede.

Solo facendo questo legame delle vicende umane con la grande vicenda di Gesù abbandonato si scopre il vero senso della nostra condizione e la sua profonda spiegazione. E da qui nasce la speranza e una visione nuova del mondo che non è pieno solo di errori e di colpe, ma è pieno di lui, è quasi un santuario di Gesù abbandonato ed ogni persona ne è tempio vivo.

Mi vengono spesso alla mente le parole di Gesù: «Io sono con voi tutti i giorni fino alla fine del mondo»; e le altre: «Non temete, io ho vinto il mondo». È vero: Gesù abbandonato lo troviamo continuamente presente in ogni piaga dell’umanità. Tocca a noi farlo risorgere col nostro amore, perché lui risorto ha vinto il mondo.

Carlo Malavasi