Un gruppo di operatori nei media impegnati a coniugare serietà professionale e fedeltà alla propria fede

 

Giornalisti per una «nuova» comunicazione

di Manuel Maria Bru Alonso

 

L’autore, dopo aver conseguito il dottorato in giornalismo all’Università della capitale spagnola, è stato nominato delegato episcopale dell’arcidiocesi di Madrid per le comunicazioni sociali. Prima di assumere questo incarico aveva fatto per tre anni un tirocinio come redattore dell’informazione ecclesiale nella rivista “Ciudad Nueva”.

La vocazione del giornalista oggi

Mentre frequentavo l’Università e portavo avanti un piccolo programma d’informazione ecclesiale nella radio, sono venuto a contatto con alcuni giovani che con me studiavano giornalismo e partecipavano attivamente alla vita della Chiesa.

Essi sentivano ben chiara la vocazione al giornalismo, ma allo stesso tempo sperimentavano la problematica del rapporto tra fede, esperienza cristiana, appartenenza reale e gioiosa alla Chiesa da una parte e dall’altra il difficile mondo della comunicazione sociale.

Un mondo che si presentava loro come una gigantessa macchina che ingoiava inesorabilmente i suoi operatori. Chi entrava nel  suo ingranaggio doveva lottare senza scrupoli se voleva farsi largo, lasciando da parte la propria fede religiosa, che restava confinata nel microcosmo dei piccoli gruppi cristiani senza alcuna incidenza rilevante nel macrocosmo della complessa professione di chi desiderava operare nei media.

Davanti alla tentazione di chiudersi nel privato pensando ai propri interessi di carriera, ho invitato i miei amici a riflettere insieme. E abbiamo scoperto questo “areopago” moderno della comunicazione sociale come una realtà che ci chiamava al servizio della comunione e del progresso fra gli esseri umani e i popoli, un luogo privilegiato dell’evangelizzazione e un cammino verso la realizzazione di un mondo unito.

Ed abbiamo visto la bellezza della nostra professione: per noi cristiani una missione profetica attraente, una vera vocazione.

In questi anni alcuni di questi giovani, mentre portavano avanti gli studi, sono entrati a far parte di un gruppo chiamato “Cronaca bianca” e adesso, già laureati, lavorano in diversi ambiti del mondo della comunicazione sociale.

La loro formazione teorica e pratica ricevuta nell’Università è stata accompagnata da incontri con giornalisti che hanno trasmesso la provocante e attraente testimonianza della propria fede con momenti di preghiera e di comunione fraterna. Erano incontri nei quali ognuno aveva la possibilità di aprire il proprio cuore.

Ricordiamo con grande emozione il giubileo dei giornalisti nel 2000 e l’invito del Papa ad essere «autentici cristiani ed eccellenti giornalisti». Parole toccanti che ancora risuonano in noi come un dono e una sfida, e ci spronano a fare il nostro lavoro lasciandoci guidare da questa luce.

In occasione del giubileo abbiamo partecipato anche ad un congresso organizzato dal Movimento dei focolari su “Comunicazione e unità”. Qui questi giovani hanno potuto conoscere di prima mano la spiritualità dell’unità come spiritualità per il comunicatore, quella realtà che io già da tempo, anche se imperfettamente, avevo cercato di trasmettere loro, e che costituiva l’attrattiva della mia proposta.

Di ritorno da Roma ho scritto al mio arcivescovo, il card. Antonio Maria Rouco Varela, una breve relazione del viaggio, confidandogli che il poter condividere con questo gruppo di giovani comunicatori la spiritualità dell’unità era per me il più prezioso e importante lavoro come suo delegato per i mezzi di comunicazione. Due anni dopo, quando avevo già dimenticato questa lettera, l’arcivescovo mi ha detto: «Non dimentichi quello che mi ha scritto l’anno scorso, perché è proprio vero: questo lavoro pastorale con i giovani giornalisti è molto importante, nonostante possa sembrare poco appariscente».

In questi anni è stato molto proficuo per “Cronaca Bianca” il rapporto con “NetOne”, iniziativa del Movimento dei focolari per il collegamento tra le persone e i gruppi che operano nella comunicazione sociale nel rispetto assoluto della dignità della persona umana e avendo come fine il “mondo unito”. Il rapporto con i promotori di questa iniziativa mondiale e con l’équipe della rivista “Ciudad Nueva” qui a Madrid è stata una buona base per confrontarci continuamente con l’ideale di una comunicazione di nuovo stile.

Ma cos’è «Cronaca Bianca»?

Come abbiamo già accennato sopra, il gruppo “Cronaca Bianca” è nato dall’esperienza di giovani studenti e professionisti del giornalismo di Madrid che, in rapporto con l’équipe dei responsabili della Delegazione dei mezzi di comunicazione sociale dell’arcidiocesi di questa città, vogliono fare un’esperienza di comunità, di scuola e di laboratorio di giornalismo, cercando di far convergere la vocazione fondamentale del cristiano in quella specifica del giornalista.

Una comunità di credenti

In primo luogo, come comunità, vogliamo vivere l’unità e la fraternità tra di noi, aiutandoci a vicenda, personalmente e professionalmente, per attuare tra noi il comandamento del Signore: «Amatevi gli uni gli altri come io vi ho amato» (Gv 13, 34). Cerchiamo quindi di fare in modo che sia la presenza di Gesù in mezzo a noi (cf Mt 18, 20) a radunarci, guidarci, orientarci.

Si tratta di una comunità di vita, di preghiera e d’azione. Siamo coscienti, infatti, che questo bell’albero della missione giornalistica resta in piedi se il tronco che sostiene i rami è a sua volta alimentato dalle radici di una comunione profonda con Dio e tra di noi, una comunione che è anche contemplazione, un “vivere dentro per vivere fuori”, come Maria. Soltanto così possiamo attingere a quell’acqua pura che ci permette di fare “giornalismo genuino”, un giornalismo cioé che vada incontro alle più profonde esigenze della vita umana.

Così si è espresso a questo riguardo Giovanni Paolo II, rivolgendosi ai giornalisti: «L’incontro con Cristo – “il perfetto modello del comunicatore” (Communio et Progressio, 126) sia il punto di partenza della vostra vicenda personale e professionale. Mentre il servizio all’uomo – qualunque uomo, specie il meno protetto dalle manipolazioni,  e in qualunque fase della vita o circostanza egli si trovi – deve essere il vostro punto di arrivo e il contenuto inalienabile della missione di giornalisti, che in tal senso non esiterei a definire militanti: militanti, ossia non acquiescenti, per la causa della dignità e della libertà dell’uomo.

«Più che il denaro, la carriera, il successo voi dovete amare la gente, il pubblico a cui vi rivolgete, perché solo amandolo potete rispettarlo, trattarlo da adulto, da interlocutore serio, da soggetto e non da oggetto a cui vendere comunque il prodotto-giornale. Per questa via potete instillare nei lettori l’inquietitudine per la libertà specialmente interiore, l’irrequietezza di fronte  ai conformismi opprimenti e mortificanti, la sete di sapere sempre di più e di andare sempre più a fondo nella comprensione delle vicende umane»1.

Impegnati a vivere una spiritualità comunitaria, dove l’esperienza cristiana è comunicata sempre come donazione, stimolo e testimonianza, cerchiamo di realizzare una comunicazione che parta dall’ascolto profondo dell’altro, dal “farsi uno”, creando una reciprocità che sottolinea il positivo, il costruttivo, quello che dà speranza, tenendo presente che “l’importante è la persona e non il mezzo”.

Siamo convinti, infatti, che il vero comunicatore deve avere uno sguardo capace di generare mezzi non invasivi ma solidali, non guidati da interessi particolari ma dal bene pubblico, non strumentalizzanti ma rispettosi della presenza di Dio in ogni persona, non banali ma radicati nei valori umani universali, non appiattiti ma capaci di veicolare la comunione tra civiltà e culture2.

“Cronaca bianca” è dunque una comunità, i cui membri si propongono uno stile nuovo di comunicazione, che essi cercano di attuare nei loro rapporti interpersonali e professionali. È uno stile che si ispira alla visione cristiana di Dio-Trinità, modello originario di ogni autentica comunicazione.

Una scuola di vita

In secondo luogo, come scuola, vogliamo imparare – partendo dal magistero della Chiesa e dalle riflessioni e testimonianze di noi stessi e degli altri giornalisti cristiani –  a perfezionarci come comunicatori, ispirandoci al Vangelo nel discernere, sentire e agire nel mondo del giornalismo, vissuto come servizio alla società.

Stiamo scoprendo che gli insegnamenti della Chiesa in questo campo sono un impressionante corpus di sapienza evangelica che insegna ad essere critici davanti al mondo della struttura comunicativa a volte poco affidabile nei nostri giorni. Essere “scuola” significa per noi fare in modo che questo magistero – grande sconosciuto – sia il fondamento robusto e agile allo stesso tempo, che ci faccia  veritieri e fermi, responsabili davanti alla nostra coscienza e alla società e non schiavi del potere politico, economico e ideologico.

Ma ci comprendiamo anche come scuola in cui impariamo gli uni dagli altri, soprattutto dai nostri fratelli maggiori, professionisti che hanno attraversato tante maree, remando spesso contro corrente. Guardando uomini e donne del giornalismo spagnolo –  come Cristina López Schilinchting, Ramón Pi o José Luis Restán, per citarne soltanto qualcuno, – abbiamo imparato a non lasciarci abbagliare, ma a trasmettere una visione oggettiva e concreta della realtà, guidati appunto dalla visione cristiana della vita.

Laboratorio per imparare

In terzo luogo, come laboratorio, collaboriamo nelle diverse iniziative giornalistiche dedicate in vari modi alla trasmissione della vita ecclesiale e partecipiamo alle attività teoriche e pratiche per migliorare nella metodologia delle comunicazioni sociali.

In questo laboratorio abbiamo imparato a lavorare insieme per una verifica del rapporto tra  vita di fede e comunicazione sociale in modo tale che non vi sia separazione tra la prima e la seconda, rispettando scrupolosamente l’autonomia delle leggi, del linguaggio e i suoi processi, e non cadendo nei convenzionalismi. Ed è proprio per questo che spesso il nostro lavoro giornalistico professionale è stato riconosciuto e apprezzato anche dagli altri.

È risaputo che, superando l’assurda dicotomia tra “cattolici nei mezzi o mezzi cattolici” e testimoniando quello che veramente  siamo, l’iniziativa cattolica nei mezzi di comunicazione è tra le migliori e più esigenti scuole. Perché non c’è da illudersi: dichiararsi pubblicamente cristiano oggi in questa professione significa correre il rischio di essere visti come persone che hanno rinunciato alla libertà, all’apertura, all’indipendenza.

È questa una difficoltà che si aggiunge al già difficile tentativo di entrare in quello che chiamiamo “mercato del lavoro”. Perché c’è un ampio margine tra il lavoro durante l’Università con borse di studio nelle diverse forme di pseudocontrattazione, e la ricerca poi della minima stabilità nel lavoro, di per sé così versatile e instabile.

Tutto ciò ci obbliga ad essere “migliori”, non presentandoci come tali di fronte agli altri, ma migliorando ogni giorno noi stessi nella professionalità e nella coerenza.

Forse per questo, nonostante tutte le difficoltà incontrate in questi anni, da quel piccolo gruppo di studenti sono già venuti fuori professori universitari, delegati diocesani dei mezzi di comunicazione, redattori di giornali e presentatori televisivi di tutto rispetto. Allo stesso tempo i giovani di “Cronaca bianca” hanno capito che l’appartenenza a questo gruppo non è – almeno per adesso – una pedana di lancio per una facile sistemazione nel mondo del lavoro.

Una goccia nel fiume

Comunità, scuola e laboratorio, sperando che “Cronaca Bianca” possa essere una goccia d’acqua nel fiume – non nello stagno, perché è in movimento – della presenza ecclesiale nella comunicazione sociale, un contributo per portare una boccata di vita evangelica nella cultura mediatica della nostra società.

“Cronaca Bianca” è stata per me un vero dono di Dio, perché mi ha permesso di costatare ogni giorno che il Vangelo può vivificare la comunicazione e che la spiritualità dell’unità può dare un contributo affinché il soffio vitale dello Spirito penetri ed illumini il mondo della comunicazione.

“Cronaca Bianca” vuol essere un minilaboratorio in questa direzione.

Manuel Maria Bru Alonso

 

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1)    Giovanni Paolo II ai redattori del quotidiano “Avvenire” in “La Traccia” 14 (1993) p. 487.

2)    Cf C. Lubich, Il Movimento dei focolari e i mezzi di comunicazione sociale, in “Gen’s” 30 (2000) pp. 110-117.