Perché tutti siano uno

Notizie dal mondo dei seminari

A cura della segreteria internazionale del movimento gens

Studio e vita

 

Quando alla fine degli anni ‘70 il cardo Martini era ancora rettore dell’Università Gregoriana, un gruppetto di studenti di varie nazioni si recò da lui per uno scambio di idee sulla vita dell’università. Profondo conoscitore della Scrittura, e specialmente degli Atti degli Apostoli, p. Martini ci teneva infatti molto alla comunione con studenti e professori.

Nel corso del colloquio suonò il telefono: qualcuno gli chiese di tenere una conferenza. Ma p. Martini declinò l’invito, gentilmente e decisamente. Spiegò poi agli studenti: «Non accetto più l’invito per conferenze, se non c’è almeno un dialogo». E motivò questa scelta con quello che egli chiamava il “dinamismo della Parola”: essa va proposta ed accolta, ma poi va vissuta, e poi bisognerebbe condividere i frutti di questa vita. La Parola soltanto annunciata - affermò con sorprendente chiarezza - rischia di ingenerare l’ateismo.

E fece subito l’applicazione alla vita universitaria: bisognerebbe rivederla a fondo, osservò. Perché qui, senz’altro, si annuncia e si studia la Parola, e speriamo che la si viva anche, benché su questo di rado si insista nel corso dell’attività accademica. Ma manca, certamente, la condivisione degli effetti dello sforzo di mettere in pratica la Par:ola. La nomina ad arcivescovo di Milano, pochi giorni dopo, fece sì che questa visione non si concretizzasse a tempi brevi in passi concreti.

Eppure, il passaggio dallo studio alla vita e dalla vita allo studio è fondamentale per chiunque vuole addentrarsi con la mente nelle realtà di Dio. Ne parlò, durante il 20 Congresso internazionale di seminaristi a Castel Gandolfo, alla fine del dicembre ‘89, Chiara Lubich. E non esitò a lanciare loro, senza mezzi termini, questa i sfida: «Tu sai tante cose sulla Trinità, ma la vivi? Sai tante cose sulla carità, ma sei la carità viva?». E non nascose il motivo di questa “divagazione”, come la chiamò, inserita a braccio nel discorso preparato: «So che nel momento presente ci sono difficoltà nella vita dei sacerdoti. Alcuni abbandonano lo stato sacerdotale. Ci saranno tante motivazioni, ma senz’altro una è questa: non basta lo studio per seguire Gesù. Bisogna mettere in pratica la Parola che si studia. Allora si costruisce sulla roccia».

Studiare teologia ha in effetti un “prima” e un “dopo” e, in tutta verità, anche un “durante”, che sono di vitale importanza per ogni vera conoscenza teologica. Un capitolo di metodologia dello studio che attende di essere sviluppato o che va, almeno, sempre di nuovo riscritto con la nostra vita. E che può dare equilibrio e completezza non solo al cammino dei singoli, ma trasformare pure quel tempo tante volte difficile, nei seminari, che si chiama “periodo degli esami”.

 

Non di solo studio…

 

«Ho cercato di dare al mio

insegnamento un taglio concreto»

 

Brasile. «Anche se non ho ricevuto ancora il diaconato, al rientro dai miei studi a Roma il vescovo mi ha affidato in diocesi un corso di teologia per laici. Sin dall’inizio, ho cercato di mettere alla base delle lezioni la fede vissuta, e gli studenti hanno molto apprezzato questo modo di fare. Ricordo ad es. una serie di lezioni sulla cristologia. Mi sono accostato a questa materia proponendo agli studenti una lettura della realtà odierna con lo “sguardo” di Cristo. Immediatamente nell’aula si è creata un’atmosfera di ascolto profondo. Risultava a tutti evidente che la vera realtà a ben oltre la percezione delle cose che ci guida normalmente nel quotidiano. A un certo punto, un signore ha preso la parola e mi ha ringraziato: “Mai nessuno ci ha parlato in questi termini”, diceva.

Qualche tempo prima, avevamo invece terminato una serie di lezioni sulla Trinità. Anche in questo caso, avevo cercato di dare all’insegnamento un taglio concreto e più volte avevo inserito qualche mia esperienza di vita. Così un giorno avevo raccontato della comunione di beni che avevo

realizzato a Roma assieme ad altri seminaristi. Successivamente è venuta a trovarmi in parrocchia una signora che segue il corso, e mi ha detto quanto era rimasta toccata dal fatto che esistono

persone che rivedono insieme il proprio guardaroba e mettono in comune quanto vi trovano di superfluo. Mi ha comunicato quindi che lei possedeva 50 paia di scarpe ma che ne usava solo alcune. Desiderava far dono di tutte le altre». (M.S.)

 

«Il mio cervello mi ha fatto

uno scherzo»

Italia. «Avevo fissato con il professore un appello straordinario per l’esame di patrologia. Per prepararmi, avevo impiegato parecchio tempo, facendo anche orari un po’ “notturni”, ed ero sicuro che tutto sarebbe andato bene. Il mattino dell’esame, insieme a me si è presentata un’altra persona. La vedevo molto preoccupata ed ansiosa. Anziché sfruttare il tempo per ripassare la materia, ho instaurato allora un colloquio, per tranquillizzarla. E intanto io stesso ho dimenticato la mia preoccupazione. Arrivato il momento dell’esame, il professore mi ha chiesto un

argomento a piacere, ma ecco che il mio cervello mi ha giocato un brutto scherzo: si è completamente “resettato”, non mi ricordavo più assolutamente di nulla. Dopo cinque minuti interminabili, durante i quali non sapevo proprio cosa dire, il professore ha concluso: “È meglio che ritorni un’altra volta”.

Era un duro colpo, un momento doloroso. Sono scappato in cappella ed ho impiegato dieci minuti per capire che Gesù voleva incontrarmi anche attraverso questa situazione, questa volta crocifisso e abbandonato, ma era sempre Gesù. Sono uscito dalla cappella, felice! Certo, i miei compagni mi hanno detto che ero pazzo perché parlavo della mia bocciatura con serenità ed un grande sorriso…». (A.G.)

 

«Ero stato onorato per i voti

che avevo riportato, ma…»

Brasile. «Partecipando al Congresso nazionale di seminaristi Vita di comunione per la Chiesa-comunione, ho avuto modo di interrogarmi a fondo sulla dimensione accademica della mia formazione. Mi è sempre piaciuto studiare e dedicavo una buona fetta di tempo alla lettura, alla ricerca ed all’approfondimento dei corsi. Sentendo durante il Congresso l’invito di accompagnare gli studi con un’autentica vita cristiana, mi sono reso conto che c’era qualcosa da migliorare in me. Mi sono ricordato che, alla fine dell’anno passato, ero stato onorato per i voti che avevo

riportato, ma allo stesso tempo due compagni della mia classe non erano riusciti bene in alcune materie. Avevo studiato abbastanza per me stesso, ma forse non avevo amato abbastanza al punto da aiutare gli altri. Ho avvertito allora con

chiarezza che Dio mi chiamava a rafforzare ancora di più la mia esperienza di vita. Ho fatto quindi una scelta importante.

D’accordo col mio vescovo e con la diocesi, ho deciso di trascorrere un anno nella Mariapoli Ginetta [cittadella del Movimento dei focolari, nei pressi di San Paolo; n.d.r.] per approfondire la vita del carisma dell’unità». (P.H.)

 

 

Fare spazio al fratello

Gli studi non vanno sottovalutati. Quando si affronta un argomento, bisogna conoscere tutti gli sforzi, le conquiste, anche gli sbagli che si sono fatti attraverso la storia per avvicinarci a una soluzione. Se si vuol dire qualcosa che abbia valore, bisogna studiare, documentarsi, non lo si può fare in genere con una sorta di semplice intuizione. Quello però che vorrei rilevare è il fatto che non bastano erudizione, conoscenza delle lingue, biblioteche attrezzate dal punto di vista scientifico, ecc. Ci sono infatti persone che con grande fatica si sono formate una vasta cultura riguardo a un dato problema, senza tuttavia essere arrivate a cogliere il senso più profondo del problema stesso, e quindi senza riuscire a dire nulla di valido o di nuovo. L’erudizione conta, ma solo secondariamente. La scienza è utile ma non basta. Perché?

Uno dei motivi si trova nella costituzione stessa della realtà. Nel fatto cioè che verità e bene coincidono ontologicamente. Non c’è una verità che non sia al tempo stesso bene. (…) In realtà, sia nell’uomo che nella realtà, così come sono stati presentati ad esempio da Platone e Aristotele, e nella rivelazione giudaico-cristiana, verità e bontà coincidono: ciò vuol dire che l’uomo può capire veramente in quanto è buono e virtuoso. E questo non è un principio religioso o pietistico, ma una verità profondissima che coinvolge tutto l’essere e la conoscenza umana.

Se poi guardiamo l’uomo in se stesso, vediamo che è dotato di sensi-intelletto-volontà, ma allo stesso tempo constatiamo che colui che conosce è l’uomo attraverso quelle sue capacità, l’uomo uno prima ancora di essere distinto.

Questo è un altro motivo per cui non si può più concepire un tipo di cultura che implichi solo il raziocinio e l’intelligenza nel senso moderno della parola. È l’uomo nella sua globalità che deve venire implicato, l’uomo anima-corpo. (…)

Si tratta di passare da un piano di studio nel senso di nozioni astratte e di erudizione, a uno studio basato su un altro concetto di uomo e di cultura. Un uomo “unificato” che vale non per quello che possiede o che sa ma per quello che è. Una cultura intesa come essere, come vita, come profondità, come saggezza umano-divina. (…)

Dobbiamo cominciare a realizzare in un’autentica comunione di vita questa nuova scuola, dove la formazione sia umana, piena, totale, che impegni tutto il nostro essere e che determini la nostra vita, la nostra esistenza per sempre. È soltanto dalla vita che viene la gioia, la pace, un tipo di conoscenza che i libri da soli non possono dare. Questo lo capisce non colui che si stacca dall’essere, non chi si basa solo sulla cultura nozionistica o sulla ragione astratta, ma colui che in realtà s’impegna e vive.

Da «Conversazioni di filosofia», Roma 2001, pp. 23ss.

 

Giovane sacerdote

Riportiamo qui alcuni brani della corrispondenza con un giovane sacerdote colombiano, ordinato poco più di un anno fa ed ora al lavoro in una zona del Paese fortemente segnata dalla violenza.

«Sto vivendo una gioia grande. L’incontro con Gesù crocifisso ed abbandonato, reale e presente in ogni circostanza, mi fa sentire libero per amarlo in ogni momento. Dopo l’ordinazione sono stato assegnato ad una parrocchia nella periferia della città: povertà, ragazzi di strada, droga e molta miseria. Ma in tutto questo Dio è presente: tanti giovani sono impegnati a vivere per un ideale grande, ci sono vari gruppi di preghiera e sono presenti diversi Movimenti ecclesiali che promuovono il valore della famiglia. Dal primo momento mi sono detto: ho un solo ideale, vivere per Gesù, non voler fare nulla, ma solo amarlo in quanti incontro, nella certezza che saranno poi loro a portare questo amore a tanti altri. Così ho sperimentato che la pastorale prende una dimensione di famiglia, dove tutti ci sentiamo impegnati a vivere il comandamento nuovo».

«Il 22 dicembre, al risveglio, mi sono ricordato di tutti i bambini poveri della mia parrocchia. Mi sono chiesto che cosa potevo fare perché essi potessero sorridere in questo Natale. Sono andato quindi dai proprietari di alcuni grandi magazzini ed ho chiesto loro un aiuto. Ma la loro risposta era negativa. Sono rientrato in parrocchia con un grande dolore. Veniva da chiedersi quale era la volontà di Dio, e mi pareva evidente che era quella di amare ogni bambino. Durante una telefonata, qualcuno mi ha promesso 50 doni. Più tardi è venuta una famiglia e mi ha portato 100 doni. E così di seguito, tanto che il 24 sera avevo ricevuto più di 500 doni senza aver chiesto niente a nessuno. Quest’esperienza mi ha fatto capire che devo riporre tutta la mia fiducia in Dio e non nei ricchi. Dio è tutto, e la sua Provvidenza agisce sempre».

«Mi trovo molto bene, grazie a Dio. Vivo il momento presente, con la vita tutta orientata all’unico Signore della storia, il punto luminoso che accende le nostre lampade. La vita della Parola è per me il motore nell’apostolato difficile e doloroso che si vive in questa terra. E l’arte d’amare è la mia benzina. Godo della presenza di colui che ho scelto, il Cristo crocifisso ed abbandonato: guardo a lui ogni qualvolta mi trovo davanti ad un fratello. Ogni sera poi, davanti a Gesù eucaristia, mi chiedo quanto ho amato e racconto a lui le mie esperienze.

La Parola di vita del mese di novembre, “Vegliate, dunque, perché non sapete né il giorno né l’ora”, mi ha spinto a vivere il momento presente come il più alto incontro con Dio.

Una sera è venuta in parrocchia una signora che piangeva. Sono andato incontro a lei, disponendomi a farmi carico del suo dolore. Mi ha parlato di una persona anziana che era grave e che aveva bisogno di potersi confessare. Era questo che Dio mi chiedeva in quel momento: aiutare quell’uomo ad accendere la “lampada” della sua vita. Mi sono quindi recato di corsa da lui e ho cercato di amarlo con tutto il cuore. Dopo averlo confessato, ho letto con lui il commento alla Parola del mese. Poi, con un sorriso, l’ho lasciato. Egli è rimasto ad attendere il Signore e dopo alcuni minuti è partito per il Cielo…

Un mese fa mi sono trovato a celebrare il funerale di un giovane che era morto di AIDS. Erano presenti alla cerimonia solo tre persone. Mi sono detto: è Gesù. Voglio celebrare questo funerale con tutto il cuore, con tutta l’anima, con tutta la mente, come se fosse la mia prima Messa. Da quel giorno risuonano in me con forza nuova le parole “mio Dio e mio tutto”».