Amare la Chiesa dell’altro come la propria: esperienza di un pastore riformato

 

Verso un autunno ricco di frutti

di Peter Dettwiler

 

Peter Dettwiler, pastore riformato, è da nove anni incaricato della Chiesa riformata del Cantone Zurigo per l’ecumenismo, la missione e lo sviluppo. Parlando nell’ottobre scorso a vescovi e responsabili di varie Chiese, riuniti a Morges (Lausanne), alla luce della sua esperienza personale, ha offerto ai presenti un’originale riflessione sull’attuale stagione ecumenica.

Quale metafora
per l’ecumenismo oggi?

«La primavera dell’ecumenismo è passata» – così afferma una frase del card. Lehmann citata spesso nei mesi passati. Ricorrendo ad un’altra immagine, sovente si afferma addirittura che l’ecumenismo sarebbe incappato in una via senza uscita. Ma più adeguata mi sembra la metafora di un’escursione in montagna. Siamo avanzati rapidamente sulla via ecumenica durante gli ultimi decenni. L’atmosfera dirompente degli anni ’60 e ’70 ha contribuito ad accelerare gli sforzi verso l’unità: celebrazioni ecumeniche, documenti di convergenza, collaborazione in gruppi di lavoro ecumenici, molti matrimoni misti, ecc. La cima – ovvero la méta dell’unità visibile – pareva avvicinarsi a grandi passi. Ma in realtà, sembra che solo adesso inizi la vera scalata, e così il nostro passo rallenta e ci è chiesto ben maggiore impegno.

Sono convinto che il Movimento ecumenico è innanzi tutto un dono dello Spirito Santo, e perciò alla primavera dell’ecumenismo seguirà un autunno ricco di frutti. Ma non è meno vero che le vicende di questo Movimento si snodano di pari passo col tempo in cui viviamo. Negli anni ’60, traeva la sua spinta dalla percezione di un’epoca “nuova” che era diffusa un po’ ovunque nella società. Ai nostri giorni, anche in altri campi, come ad esempio nella cooperazione per lo sviluppo, questa percezione del nuovo ha fatto spazio alla sfida della perseveranza.

Sono dunque richiesti più che mai costanza ed instancabile impegno per l’ecumenismo. Ma non meno necessari sono nuove visioni ed esperienze che possano riaccendere la nostra speranza. E qui mi rendo sempre più conto di quanto la passione per l’ecumenismo dipenda da esperienze a sfondo fortemente personale. Più che i documenti sono infatti le persone concrete che rendono vicina a noi l’altra Chiesa. Così almeno è stato per me.

Una singolare
esperienza ecumenica

Ricordo alcuni incontri con sacerdoti cattolici.

Un giorno, uno di loro venne a trovarmi in parrocchia, assieme ai ragazzi che si preparavano alla cresima. Fui subissato di domande sulla Chiesa riformata: «Perché qui non c’è l’immagine del Crocifisso? Perché non ci sono quadri, non c’è tabernacolo, non c’è acqua santa, non c’è neppure una candela? Perché i riformati non fanno il segno della croce?». Da attenti osservatori, i ragazzi non mancarono di schiettezza nei miei confronti.

Al mio collega cattolico non sfuggì la difficoltà che trovai al tentativo di spiegare loro il mondo tanto diverso della fede e delle celebrazioni nella Chiesa riformata. Rispose allora lui al mio posto. Prese la Bibbia dal pulpito, la mostrò ai ragazzi e disse: «Questo è il tesoro dei riformati. Essi pongono al centro la Parola di Dio. Ed è su di essa che loro concentrano tutta la loro attenzione. È questa la fonte cui attingono per la loro vita. Tutto il resto per loro è secondario».

Fu un’esperienza singolare d’ecumenismo. Un parroco cattolico spiega ai suoi ragazzi il segreto della vita della Chiesa riformata.

Ma avvenne pure il contrario. Durante una gita, nel corso di un incontro-vacanza, un ragazzo cattolico mi interrogò sul significato della confessione. Cercai di rispondergli alla meglio. Commentò un sacerdote cattolico che casualmente aveva seguito la nostra conversazione: «Non avrei potuto spiegarlo meglio».

Due esempi, questi, che illustrano che cosa possa significare amare la Chiesa dell’altro come la propria.

Lo «spazio» dell’incontro

Nel suo intervento alla II Assemblea ecumenica europea nel 1997 a Graz, Chiara Lubich ha affermato che ci vuole “un supplemento d’amore” nelle nostre Chiese, per superare quell’indifferenza e quell’incomprensione, se non addirittura l’odio reciproco, che fecero sì che ogni Chiesa nel corso dei secoli si pietrificasse, in certo modo, in se stessa. Sono convinto che un tale supplemento d’amore potrebbe conferire nuova fecondità agli attuali sforzi ecumenici.

Ma in che cosa consiste concretamente ed anche teologicamente questo supplemento d’amore? Esso ha il suo fondamento in Gesù che promette di essere presente là dove due o più sono riuniti nel suo nome (cf Mt 18, 20), e quindi in Gesù che dona la vita per i “propri amici”. Gesù fra noi e Gesù crocifisso ed abbandonato sono i due punti-cardine della “spiritualità dell’unità”.

L’esperienza con sacerdoti cattolici di cui ho riferito, poggia su questa realtà di “Gesù in mezzo”. Lui fra noi rende possibile quell’unità nel piccolo che è come un presagio di quell’unità fra le Chiese verso la quale siamo in cammino.

Questa unità che ha origine da lui si contraddistingue per la stima reciproca, per il vicendevole interesse per la Chiesa dell’altro, per l’amore scambievole. La tua gioia è anche la mia gioia. Il tuo dolore è anche il mio dolore. Inizio a vedere e scoprire la Chiesa dell’altro con i suoi occhi. E giacché questa relazione è caratterizzata da grande fiducia, possiamo incontrarci anche nella verità, senza appiattire né ignorare le differenze.

Così la nostra differenza e quella delle nostre Chiese può trasformarsi in dono e rimane allo stesso tempo sfida a realizzare fra noi un incontro sempre più profondo.

La via dello spogliamento

Gesù fra noi spalanca uno spazio in cui l’uno non finisce per annullare l’altro. Ed apre così lo spazio in cui possiamo incontrarci e in cui possono incontrarsi i carismi delle nostre Chiese. Con lui, il Christus solus non è dalla parte di me che sono riformato, ma è in mezzo a noi. E da lui si sprigiona una luce che illumina la mia e la tua Chiesa.

Ciò significa, però, distaccarmi in certo senso dal “mio” Gesù, saper posporre le mie convinzioni, per aprirmi radicalmente a Gesù che mi viene incontro nel fratello o nella sorella, ma anche nella tradizione e nella vita dell’altra Chiesa. Ogni autentico incontro ecumenico è pertanto anche un incontro con Gesù nel suo spogliamento, con lui crocifisso ed abbandonato. Egli spalanca quello spazio nel quale l’altro può svilupparsi.

Con un supplemento d’amore

Il dialogo ecumenico si svolge a molteplici livelli: quello teologico, quello fraterno, quello ecclesiastico, quello liturgico, quello di servire insieme l’umanità, ecc. Sono convinto che questo supplemento d’amore può far crescere e portare in profondità il dialogo a ciascuno di questi livelli.

Intervenendo alla presentazione del mio libro “A chi appartiene Gesù?”1, Clara Squarzon, corresponsabile del Movimento dei focolari in Svizzera, ha espresso così questo amore che ci fa scoprire Cristo in un modo nuovo: «Ho trovato Gesù in te, nella Chiesa riformata, e penso di parlare in tuo nome se dico: tu hai scoperto Gesù in me, nella Chiesa cattolica. Gesù appartiene a te, a me, a noi tutti, a tutte le Chiese. È con una tale apertura d’anima che possiamo crescere nel “comprendere… quale sia l’ampiezza, la lunghezza, l’altezza e la profondità, e conoscere l’amore di Cristo che sorpassa ogni conoscenza” (Ef 3, 18)».

Peter Dettwiler

 

 

1)   P. Dettwiler, Wem gehört Jesus? Kirche aus reformierter Sicht, Lembeck, Frankfurt a. M. 2002.