Alcuni stralci dell’intervento al Consiglio ecumenico delle Chiese

 

Gesù abbandonato: il «Crocifisso ecumenico»

 

Di Chiara Lubich

 

Per invito del dott. Konrad Raiser, segretario generale del Consiglio ecumenico delle Chiese, Chiara Lubich, il 28 ottobre 2002, ha parlato ai collaboratori di questo importante organismo ecumenico su “L’unità e Gesù crocifisso e abbandonato fondamento per una spiritualità di comunione”. Riportiamo qui alcuni brani salienti dell’ampio discorso al quale è seguito un appassionato dialogo.

L’unità e Gesù abbandonato, come forse loro sanno, costituiscono i due principali cardini su cui si fonda la “spiritualità dell’unità” che anima il Movimento dei focolari, questa moderna realtà carismatica, nata nella Chiesa cattolica, ma ora composta da cristiani di oltre 350 Chiese e Comunità ecclesiali. […]

Oggi si pensa che l’unità sia un segno dei tempi e cioè un’esigenza attuale della società civile e religiosa. […] Ora, in questa attuale tensione mondiale all’unità si inserisce pure il Movimento dei focolari con un suo speciale carisma.

Infatti, un momento importante per esso è stato quando, durante la seconda guerra mondiale, a Trento (in Italia), in una cantina–rifugio, sotto una incursione aerea, alcune mie compagne ed io, abbiamo aperto il Vangelo a caso ed ecco apparirci la preghiera di Gesù per l’unità sotto una luce nuova: «Padre, che tutti siano uno» (cf Gv 17, 21). Quelle parole, piuttosto difficili, si erano infatti illuminate (effetto, pensiamo, del carisma), sì da rendersi a noi comprensibili, mentre avvertivamo in cuore la certezza che quella pagina era la magna charta del Movimento nascente.

La chiave dell’unità

Consce tuttavia della difficoltà di mettere in pratica quelle parole, avevamo chiesto a Gesù, con fede, la grazia di insegnarci a viverle.

E ben presto – attraverso una circostanza – ci siamo rese conto che eravamo state esaudite. Lo Spirito Santo ci ha svelato infatti il vero “segreto”, ci ha mostrato la preziosa “chiave” per realizzare l’unità: Gesù crocifisso che grida: «Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?» (Mt 27, 46).

Ci è stato, infatti, chiaro che Egli aveva sofferto quel tremendo senso di abbandono, di separazione dal Padre, proprio per riunire tutti gli uomini a Dio, staccati come erano a causa del peccato, e per riunirli fra loro. Era evidente, quindi, che quel dolore immenso aveva a che fare col mistero dell’unità.

Non solo: ma Egli, che non era rimasto nel baratro di quell’infinita sofferenza ma, con uno sforzo immane e inimmaginabile, si era riabbandonato al Padre («Padre, nelle tue mani consegno il mio spirito» – Lc 23, 46), ci insegnava il modo di comportarsi nelle più varie disunità, nelle separazioni, negli abbandoni, e cioè la maniera di superarli. […]

Il suo volto nelle divisioni

A noi Egli si è presentato non solo per esser contemplato, ma soprattutto come modello da imitare in tutte le prove, anche se – occorre dirlo subito – in modo speciale nei dolori delle disunità. […]

Infatti ogni dolore fisico, morale o spirituale non sono che un’ombra del suo immenso dolore. […]

Gesù abbandonato è il solo, il derelitto... Appare inutile, scartato, scioccato...

E in tutti questi dolori, che si possono provare personalmente, si può scorgere Lui.

Ma […] Gesù abbandonato è anche la luce per ricomporre la piena comunione visibile dell’unica Chiesa di Cristo. Possiamo vederlo come il “Crocifisso ecumenico”.

E qual è il miglior modo per superare ogni disunità personale o collettiva?

Di fronte alle une ed alle altre io devo dire: «Se Egli ha assunto tutti i dolori, le divisioni, i traumi, posso pensare che, dove vedo una sofferenza, vedo anche Lui. Questa sofferenza mi ricorda Lui, è una sua presenza, un suo volto».

E, come ha fatto Lui, anche noi non dobbiamo fermarci in quegli spacchi. Se Gesù si è riabbandonato al Padre che l’abbandonava, similmente noi dobbiamo andare al di là e superare la prova col dire: «Amo in essa Te, Gesù abbandonato, Ti voglio, Ti abbraccio! »

Se siamo poi così pronti, generosi ed attenti a continuare ad amare ciò che Dio vuole da noi nel momento seguente, sperimentiamo che, il più delle volte, il dolore, come per un’alchimia divina, sparisce. E ciò perché l’amore chiama i doni dello Spirito: gioia, luce, pace, cosicché il Risorto in noi prende il posto dell’abbandonato.

Un solo popolo cristiano

E quali frutti porta l’amore a Gesù abbandonato visto e amato proprio nella non piena comunione fra le nostre Chiese?

Moltissimi. Ne viene anzitutto, dalla loro fin qui possibile unità, una forte testimonianza evangelica, dove si affronta con coraggio costruttivo e nella pace la realtà dolorosa della non perfetta e visibile comunione e ciò che essa ancora comporta.  […]

Ora, dopo 40 anni di vita ecumenica del Movimento, vediamo che si delinea uno specifico contributo nel campo ecumenico proprio a motivo della spiritualità dell’unità.

Con i fratelli e sorelle delle varie Chiese, sforzandoci nel vivere insieme il Vangelo, conoscendoci, rafforzando il nostro amore reciproco, abbiamo scoperto quanto siano grandi le ricchezze del nostro patrimonio comune: il battesimo, l’Antico e Nuovo Testamento, i dogmi dei primi Concili che condividiamo, il Credo (niceno-costantinopolitano), i Padri greci e latini, i martiri e altro ancora, come la vita della grazia, la fede, la speranza, la carità, e tanti altri doni interiori dello Spirito Santo. E oltre a ciò ci unisce la spiritualità dell’unità.

Prima vivevamo come se tutto ciò non fosse realmente vero o non ne eravamo coscienti del tutto. Ora ci rendiamo conto che sono invece le condizioni per poter realizzare un dialogo particolare: quello della vita.

Per esso noi ci sentiamo già una famiglia; sentiamo di comporre fra noi “un popolo cristiano” che interessa laici, ma non solo, sacerdoti, pastori, vescovi, ecc.

Ovviamente c’è ancora da comporre la piena e visibile comunione fra le nostre Chiese, ma possiamo già essere così.

Non è un dialogo della base che si contrappone o giustappone a quello dei cosiddetti vertici o responsabili di Chiesa, ma un dialogo al quale tutti i cristiani possono partecipare.

E questo popolo è come un lievito nel Movimento ecumenico che ravviva fra tutti il senso che, essendo cristiani, battezzati, nella possibilità di amarci, tutti possiamo contribuire alla realizzazione del Testamento di Gesù.

 

Chiara Lubich