Uomo fatto Chiesa
di mons. Giuseppe Petroicchi
In apertura della messa del funerale al Centro Mariapoli di Castelgandolfo, mons. Giuseppe Petrocchi, vescovo di Latina, ha tratteggiato con poche ed essenziali pennellate questo profilo di d. Silvano Cola.
Permettetemi di comunicarvi alcuni pensieri, che mi sono scaturiti, di getto, nell’anima.
D. Silvano ha varcato la soglia del tempo ed è approdato nell’eternità di Dio. Nell’anima non avvertiamo il rintocco mesto delle campane a lutto, ma il suono gioioso delle campane a festa, che annunciano la Pasqua.
D. Silvano ha compiuto il santo viaggio, e il cuore ci assicura che vive già nella comunione dei santi, in Paradiso. Perciò, pur avvertendo il dolore del distacco, l’abito interiore che oggi ci sembra giusto indossare è quello della letizia, e i sentimenti opportuni sono quelli della riconoscenza e della lode.
Ricordo un episodio, avvenuto nel 1969. Insieme a mons. Luigi Bonazzi, mio compagno di seminario – oggi nunzio apostolico a Cuba – venimmo da Roma a Grottaferrata, a Villa Luce. Lì ebbi il mio primo colloquio con d. Silvano. Non ricordo cosa ci dicemmo, ho però molto nitida nella mente l’impressione forte che mi si stampò nell’anima: tanto che – uscendo – dissi a Gigi: «Se san Paolo vivesse oggi, io me lo immaginerei così, con la figura e con lo stile di d. Silvano. Quest’uomo è un gigante».
A distanza di quasi 40 anni da quell’incontro, sento di confermare quella intuizione, con l’aggiunta che i contatti avuti frequentemente con lui, in questo arco di tempo, mi consentono oggi di identificare meglio alcuni di quei “tratti paolini”, generati in d. Silvano dall’Ideale dell’unità: un pensiero vigoroso ed universale, la vita donata all’unità (per la quale si è consumato senza risparmio, fino all’ultimo), la libertà di spirito, la passione per la Chiesa, la lungimiranza profetica, il coraggio innovativo, la ricerca del dialogo a tutto campo, la perseveranza confidente anche nelle prove più dure, la testimonianza luminosa dell’amore che sa soffrire.
In lui ho avvertito sempre un “Cuore di Padre”, che compariva nel sorriso (non mancava mai dal suo volto!); nello sguardo, attento, ma sempre benevolo e mai indagatore; nella parola, essenziale e profonda, cadenzata da frasi brevi, ma spesso “folgoranti”: una esposizione convinta e pacata, la sua, intervallata da efficaci pause di silenzio.
Era un tipo intuitivo, capace di andare subito al centro della questione. Aveva, inoltre, una intelligenza creativa, robusta ed originale, capace anche di una travolgente dialettica. Su ogni espressione e su tutti i gesti si manifestava la sua affabilità accogliente; l’entusiasmo contagioso e la gioia coinvolgente, che scaturiscono dal vivere la carità.
Nel confronto interpersonale aveva un rispetto profondo: non imponeva nulla, ma lasciava che ognuno maturasse le idee giuste: da dentro, nel modo opportuno e con il tempo dovuto; guadagnava il consenso con mitezza, diventando trasparenza viva del Vangelo. Un amore, il suo, che scardinava difese e chiusure psicologiche, anche le più ermetiche. Aveva l’arte di capire e di dare consolazione e speranza.
Un maestro straordinario, perciò, anzitutto perché modello di una vita spesa per l’unità. Appariva interiormente “compatto”: senza linee di frattura dentro. Nell’avvicinarlo ciascuno poteva sentire d. Silvano come “suo”, ed era proprio così: intero per ciascuno e tutto di tutti. Lasciarsi accogliere nella grande casa del suo cuore significava immancabilmente incontrare tanti altri e fare con loro famiglia.
Ha formato, con l’Ideale dell’unità, molte generazioni di sacerdoti e di seminaristi. Dio gli ha dato anche la grazia di vedere nascere, da quella dedizione, un buon numero di vescovi. Tra questi, ci siamo anche noi, che concelebriamo questa Eucaristia.
Vorrei esprimere quello che mi passa nel cuore attraverso una immagine. Nell’orto botanico di Ninfa, non lontano da qui, si trova una pianta straordinaria, la “magnolia Campbelli” è un albero raro, proveniente dall’Himalaia. Man mano che cresce, i suoi rami si dispongono a raggiera, formando una serie concentrica di anelli, che si sviluppano in successione: dal più largo, alla base, fino al più piccolo, al vertice. Solo dopo molti anni, quando tutte queste “corone” si sono completate, l’albero comincia a fiorire. Inizia dall’anello più in basso, al quale si aggiunge, ogni anno, l’anello successivo. Quando è tutto fiorito, l’albero muore. Muore non perché decadente, ma perché ha raggiunto la pienezza della vita.
Così è avvenuto per d. Silvano: questo prezioso “albero di vita”, animato dal carisma dell’Opera di Maria, ha portato frutti splendidi nella Chiesa e nel mondo, e, quando è arrivata la stagione del compimento, è stato trapiantato nel giardino del Cielo, dove, ne siamo sicuri, continuerà a portare, ancora più di prima, i frutti della verità, dell’amore e della bellezza: cioè i frutti dell’unità. Se uno mi chiedesse: «Chi era – o meglio – chi è d. Silvano?», risponderei: «Un autentico figlio di Chiara; perciò, un uomo di comunione, e, proprio per questo, un uomo-fatto-Chiesa».
Sì, lo dico con fierezza evangelica, d. Silvano ha dato un importante contributo per rendere la Chiesa più-una, più-santa, più-cattolica, più-apostolica. In una parola: per fare la Chiesa più Chiesa.
La storia darà la possibilità di valutare meglio le dimensioni di questa “epifania” che lo Spirito Santo ha suscitato in lui e attraverso lui.
Con questi sentimenti, a nome della Chiesa, ringrazio Chiara per averci donato un sacerdote così. Ed ora, insieme con tutta l’Opera e con quanti hanno conosciuto ed amato d. Silvano, cantiamo il nostro “magnificat”, per le grandi cose che Dio ha compiuto in lui.
E per essere degni non solo di pregare “per” lui, ma anche di “pregare lui”, chiediamo perdono di tutte le nostre mancanze, affinché lo Spirito ci renda un “cuor solo e un’anima sola”, e, con la stessa voce, ci consenta di invocare il Signore Gesù, il Crocifisso-Risorto: Colui che era, che è e che viene!