Una comunità che accoglie tutti

a cura di Carlo Malavasi

 

Siamo nella periferia di Carpi, cittadina dell’Emilia (Italia). Se fino a qualche anno fa la gente di questa terra era in maggioranza di ideologia comunista, oggi è molto presa dagli affari e indifferente verso la religione. Come portare il Vangelo in questo contesto?

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Scoprire il positivo in ogni persona

Don Carlo Malavasi: Sono parroco della parrocchia del Corpus Domini, dove la frequenza alla Chiesa è appena del sette per cento. 

In questo contesto ho sentito particolarmente forte l’esigenza di aprire un dialogo con le persone di cultura non religiosa; un dialogo che è ancora all’inizio, ma che si è già rivelato fruttuoso. E dall’esperienza di questi anni sono maturati alcuni atteggiamenti “nuovi” nei loro confronti.

Il punto di partenza è la convinzione che Dio ama tutti, indistintamente, senza escludere nessuno. Ho provato ad assumere questo atteggiamento con ogni persona che incontro, cosciente che ognuno è amato da Dio. 

Come conseguenza  ho deciso di non dire  subito: “Questo non lo puoi fare”, ma piuttosto: “Puoi fare questo e questo altro ancora”. Sembra poco ma è un’altra logica, la logica dell’amore di Dio  per ciascuno.

Così alle persone che si sentono escluse dalla vita della Chiesa perché è stato loro detto, per esempio, che essendo sposati solo civilmente non possono ricevere l’Eucaristia, mi sento di ricordare che possono fare tante altre comunioni con Gesù: nella Parola, nel fratello, nel dolore… Quindi non sono persone escluse.

 

«Forse non ho la fede!» 

Un uomo mi viene a chiedere l’attestato di idoneità per fare da padrino in un battesimo. “Cos’è questo certificato?”, mi chiede. Spiego: una dichiarazione  che sei disposto ad aiutare questo bimbo a crescere nella fede. Mi risponde: “Ma io non pratico, forse non ho neppure la fede”.

Sarebbe giusto negare quel certificato, ma non mi arrendo. Chiedo perché vuole fare da padrino. Mi spiega che è per far piacere alla sorella. Un atto d’amore, io dico, un pezzo di Vangelo vissuto. Lui non sa di vivere il Vangelo, ne rimane sorpreso. Parliamo a lungo di Dio amore… un amore presente in ogni azione vissuta per gli altri. È affascinato. Quindi sul certificato posso scrivere che ha iniziato un cammino di conoscenza del Vangelo.

A volte occorre scavare molto per incontrare in loro quel sentimento religioso naturale che è in ogni essere umano. Scavare come? 

La spiritualità del Movimento mi ha insegnato una via straordinaria: l’arte di amare. Inoltre mi ha aiutato a scoprire che Gesù sulla croce, nel suo grido di abbandono, ha fatto suo ogni vuoto, scacco, peccato. Mi sto allenando, più che a ragionare sulle situazioni negative, a vedere in esse il suo volto e a guardarle con i suoi occhi: Lui è lì per salvare, per trasformare il negativo in risurrezione.

Un giorno vado a visitare un ammalato. Tocco il campanello e dall’interno sento la sua voce che mi risponde: «Non ho tempo». Mi sento rifiutato. Tornando a casa penso a Gesù che è stato rifiutato. Posso unirmi al più grande rifiutato della terra... e sono nella pace. Qualche tempo dopo questa persona è partita per l’altra vita fra le braccia della Chiesa.

È proprio vero: non tocca a me convertire le persone, ma solo amarle. La conversione è legata ad un incontro personale con Dio, all’accoglienza della sua Parola. 

 

Amare per primi

In parrocchia c’è un circolo di anziani: la maggioranza per educazione e ragioni storiche ha vissuto un rapporto di ostilità verso la Chiesa. Ora stanno costruendo una nuova sede. 

Ho proposto al Consiglio pastorale di dare un contributo. All’inizio c’è stata una sollevazione: il parroco cosa pretende fare? Sarebbe meglio andare a parlare loro di Dio…

Spiego che tocca a noi, che crediamo al Vangelo, amare per primi. Alla fine acconsentono di dare una piccola somma. L’accompagno con una lettera calda di ringraziamento per il  bene che fanno agli anziani del quartiere.

Il gesto ha parlato più di una predica: tutti gli anziani avevano le lacrime agli occhi. E  le loro case si sono aperte all’incontro con la Chiesa.

 Questo amare per primo, andando sempre oltre, ha dato vita a numerosi rapporti autentici. La gente dice che la parrocchia ora è una famiglia dove tutti possono sentirsi accolti e amati.

 

«L’ho fatto per amore...»

Cecilia: Avevo alle spalle un matrimonio fallito e vivevo da alcuni anni con Marco. Da bambina e giovanetta avevo ricevuto una formazione cristiana ed ora  mi sentivo lontana da Dio e rifiutata dalla Chiesa.

Un giorno che mi sentivo molto confusa sono entrata in chiesa ed ho incontrato don Carlo che mi ha salutato e ascoltato. Poi mi ha detto: “Ma sai, Dio ti ama immensamente”. E mi ha invitato all’incontro della Parola di vita1. È stata una luce: ho sentito che nella parrocchia c’era un posto anche per me.

È iniziato un cammino spirituale che mi ha portato a frequentare la chiesa e a vivere il Vangelo. E l’anno scorso, dichiarato nullo il matrimonio precedente, ho potuto sposarmi in chiesa con Marco.

Marco: Ho 45 anni. Anche se non sono credente, o comunque  non praticante, frequento la parrocchia. Perché vado in parrocchia? È successo qualche anno fa, quando ho scoperto che la parrocchia non è soltanto un luogo di culto, come io pensavo e che a me non interessava, ma un luogo dove si cerca di vivere l’amore reciproco, un valore che condivido. 

Ho iniziato a partecipare ad un gruppo della Parola di vita; e qui ho scoperto una profonda consonanza fra il Vangelo e i miei ideali di giustizia, di fraternità, che ormai avevo abbandonato perché non li vedevo vissuti in nessun luogo. Ed ora li ritrovavo vissuti in parrocchia.

Ho provato anch’io a vivere il Vangelo e questo ha sconvolto tutti gli aspetti della mia vita. Ad esempio il lavoro, che da tempo subivo in modo passivo, senza stimoli. Soffrivo di non poter realizzare nel lavoro gli ideali di fraternità che il Vangelo aveva risvegliato. Così ho deciso di perdere la sicurezza di un buon stipendio, di lasciare colleghi a cui ero legato da molti anni, per entrare in un’azienda dell’Economia di comunione2 che mi assicurava uno stipendio abbastanza modesto e di dedicare altrettanto tempo ad un’Associazione di solidarietà. Nel compiere questa scelta è stato fondamentale il  sostegno della comunità parrocchiale.

Questa vita basata sul Vangelo mi ha aiutato a compiere un’altra scelta, che mai avrei fatto, se non avessi incontrato persone che mettono l’amore reciproco sopra ogni altra convinzione.

Cecilia, con la quale convivevo, ha espresso il desiderio di ricevere l’Eucaristia. Si è rivolta al parroco che le ha indicato, come unica scelta possibile, quanto insegna la Chiesa: cioè vivere fra noi come fratello e sorella, in attesa di una possibile dichiarazione di nullità del suo precedente matrimonio. 

Cecilia, con coraggio e determinazione, mi ha chiesto di assecondarla in questo suo desiderio. Mi ricordo come fosse oggi quello che le ho risposto: “La castità non entra nelle mie convinzioni. Però, ora, nelle mie convinzioni entra la cultura dell’amore e per amore accetto di vivere la scelta che mi proponi”. 

È stato così per circa due anni, fino a quando abbiamo potuto sposarci.

Il parroco mi definisce un “non credente dubbioso”. Anch’io mi sento così: un non credente, che però sente di avere come sua cultura quella del Vangelo, l’amore verso gli altri.

 

«Mi arrendo all’amore»

Claudio Levrini: Sono nato nel ‘50. Da piccolo tenevo per gli indiani, nel ‘68 ero sulle barricate, poi mi sono impegnato nel partito comunista. Ho fatto gli studi di architettura.      

Nell’82 Lucia ed io abbiamo deciso di sposarci: io volevo sposarmi in municipio, lei in chiesa. Lucia ha accettato di sposarmi in municipio per amor mio, io di sposarla in chiesa per amor suo. Però accettare il matrimonio in chiesa mi è costato tantissimo, mi sembrava di non essere coerente. 

Ho deciso allora che non avremmo fatto battezzare i nostri figli: avrebbero scelto loro quando avessero avuto la consapevolezza per farlo.    

Un giorno Giulia, la nostra primogenita, ci comunica la sua ferma decisione di farsi battezzare. Frequenta la parrocchia per prepararsi al sacramento. 

Don Carlo invita mia moglie e me a partecipare al gruppo della Parola di vita e per la prima volta vengo a contatto con la realtà della Chiesa. 

Rimango fortemente sorpreso per l’accoglienza, la tolleranza, la reciprocità che si respira in quegli ambienti.

In questo periodo ho incontrato una grossa difficoltà. Lavoravo in una impresa per la diffusione della comunicazione non violenta, ma l’aspetto economico poco chiaro di questa azienda me la fece lasciare. Senza lavoro, mi sentivo fallito su tutti i fronti. 

Anche con Lucia le cose stavano precipitando tanto da parlare di separazione. Sono andato a trovare don Carlo. Il colloquio si è concluso con una lunga confessione. 

Ho cominciato ad andare a  Messa. Superando la vergogna e lo scoramento, ho ripreso a cercare lavoro e lo trovo ma con una remunerazione modesta. 

Dopo 10 giorni Lucia mi invita ad un incontro a  Castel Gandolfo3. Ogni attimo di quei tre giorni è stato intenso: cantare insieme sul palco, asciugare i vassoi della mensa, raccontare l’esperienza l’ultimo giorno. Tutte queste cose mi hanno dato il senso di essere vivo. 

Tornato a casa ho abbracciato Lucia e le ho detto che mi arrendevo. Mi ha chiesto a chi.  Ho risposto: “Mi arrendo all’amore”.  

Anche Riccardo e Teresa,  il secondo e l’ultima dei nostri figli, la notte di Pasqua venivano battezzati.

Prima credevo che la religione fosse oscurantismo, debolezza, buio. Ho scoperto che Dio è intelligenza, forza, luce che illumina la vita.

 

1)     Vedi nota a p. 38.

2)   Vedi nota 2, p. 63

3)     Si trattava di un incontro del Movimento dei focolari per il dialogo con persone di convinzioni diverse tenuto al Centro Mariapoli di Castel Gandolfo (Italia).