Il comandamento nuovo ravviva una parrocchia anglicana

di Christopher Evans

 

“Lavare i piedi” ai parrocchiani

Sono certo che ogni parroco prega per il rinnovamento della sua parrocchia. 

Negli ultimi sei mesi mi sono chiesto particolarmente che cosa fa di una parrocchia una “parrocchia nuova”? Certamente tutti abbiamo scoperto che la “parrocchia nuova” è quella dove si vive il comandamento di Gesù, non soltanto per se stesso, ma come condizione per avere Gesù in mezzo alla comunità, come  egli ha promesso: «Dove due o tre sono riuniti nel mio nome io sono in mezzo a loro» (Mt 18,20). 

Sappiamo anche che ha dato questo comandamento subito dopo che ha lavato i piedi agli apostoli nell’ultima Cena, volendo significare con ciò che essere al servizio l’uno dell’altro era la chiave del discepolato cristiano.

Quello di cui mi sono reso conto è che io, come parroco, devo dar l’esempio nel vivere il comandamento nuovo se voglio che la parrocchia diventi realmente una parrocchia nuova.

Certamente cerco di viverlo in famiglia. Come sapete, essendo un sacerdote anglicano sono sposato, ed ho sei figli. Ma ho capito che questo non bastava. Dovevo chiedermi decisamente: «Sto vivendo il comandamento nuovo nella parrocchia? Sto lavando i piedi dei parrocchiani? Sono pronto a sacrificarmi per loro?».

Potrei argomentare che io, come ogni prete, vivo una vita di sacrificio. Questo è vero. Però ho capito che per me vivere il comandamento nuovo e diventarne “modello” per la comunità richiedeva non tanto un cambio di comportamento, ma ancor più un cambio di mentalità.

Mi spiego. Sono stato ordinato sacerdote nel 1978. I sacerdoti anglicani della mia generazione – e forse questo è vero anche per quelli della Chiesa cattolica – siamo stati formati secondo un modello gerarchico, per cui nella struttura della parrocchia ci vedevamo come sulla cima di una piramide. Questo era ancor più reale per me in quanto ero stato nominato parroco dalla Regina d’Inghilterra dietro suggerimento dell’allora primo ministro, Margaret Thatcher.

 La mia formazione perciò mi portava a guardare la parrocchia in certo senso  come mio possesso.  Era la mia parrocchia, il mio popolo, il mio gregge. Eppure l’autunno scorso ho fatto un’esperienza che mi ha fatto guardare le cose in modo completamente diverso.

 

L’esperienza di comunione 

Ho trascorso un mese del mio riposo sabbatico alla  Scuola sacerdotale   del Movimento dei focolari nella cittadella  di Tagaytay nelle Filippine. Abitavo con 18 seminaristi cattolici che passavano un anno di formazione alla vita di comunione  in questa Scuola. Cucinavano, tenevano ordinata la casa, lavavano  la biancheria, curavano il giardino e altro ancora. Ma la cosa fondamentale era che vivevano il comandamento nuovo, pronti al servizio e al sacrificio. La ragione per cui sono stati di ispirazione per me era certamente frutto di Gesù presente fra loro.          

Tornando dal mio riposo sabbatico ho capito che il maggior dono che potevo dare ai miei parrocchiani era quello di amarli mediante il servizio e il sacrificio. Cosa che non si poteva raggiungere se io continuavo a considerare la chiesa come la mia chiesa, e la comunità come mia. Il mio modo di pensare doveva cambiare.

Così ho scritto al Consiglio parrocchiale dicendo che io volevo cambiare il mio modo di vedere il ruolo del parroco. Ho spiegato che non avrei più considerato la parrocchia come “cosa mia” ma come “cosa loro”, e che stavo cercando di capire cosa significava essere un “servitore” e non una guida gerarchica. Chiedevo il loro sostegno e incoraggiamento dal momento che stavo cercando di cogliere le conseguenze della mia decisione.

La lettera è stata accolta molto bene e nella stessa settimana due membri del Consiglio parrocchiale mi hanno scritto ringraziandomi del mio coraggio nel fare questo passo. Si sono sentiti liberi di proporre che loro avrebbero progettato e portato avanti un programma “laico” basato sugli interessi attuali dei membri della comunità. È stato questo il primo frutto della mia decisione. Difatti sono stati così attenti a creare un programma degno, che hanno proposto per l’apertura del progetto  una conferenza del Dr. Arthur Peackock, vincitore del Premio Templeton 2001.

Confesso che una parte mia era un po’ preoccupata riguardo a questo cambio. Il risultato sarà l’anarchia? Qualche superattivo membro della comunità cercherà di sostituire la sua autorità alla mia? Come fosse una risposta a queste mie domande inespresse,  dodici persone mi hanno invitato a condividere un pranzo con loro per cogliere ulteriormente le implicazioni della mia iniziativa. Abbiamo avuto una profonda comunione in cui ciascuno di noi esprimeva le proprie speranze  e i propri timori. Era per me evidente che questi membri della comunità cercavano di costruire una nuova unità con me basata sul comandamento nuovo. Stava nascendo qualcosa di assolutamente nuovo.

Ora so che il mio compito principale non è solo vivere e presentare come modello di vita il comandamento nuovo alla parrocchia,  ma incoraggiare con l’esempio insegnando sempre più a tradurlo concretamente nell’esperienza quotidiana. È vivendo insieme il comandamento nuovo che nascerà e crescerà la parrocchia nuova.

Non perché è la mia parrocchia, e neppure perché è la loro parrocchia, ma perché è la parrocchia di Cristo, presente in mezzo a noi. 

Christopher Evans