Dialogo ecumenico

Intervista di Adolfo Raggio a Gabriella Fallacara

Gabriella Fallacara, è incaricata del Centro Uno – segreteria centrale del Movimento dei focolari per l’ecumenismo – dove lavora fin dagli anni sessanta.

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Il Concilio Vaticano II ha sottolineato che l’atteggiamento da tenere nei confronti delle varie Chiese o Comunità ecclesiali è quello di riconoscere il patrimonio comune che ci unisce a cominciare dal Battesimo, “vincolo sacramentale dell’unità che esiste fra tutti i cristiani”1, e portare avanti il dialogo in modo da maturare una comunione sempre più profonda. Il Movimento dei focolari ha una lunga esperienza  nel dialogo ecumenico. Puoi dirci come è iniziato e quali sono stati  i suoi sviluppi?

L’esperienza del dialogo ecumenico nel Movimento è nata da circostanze provvidenziali preparate da Dio. Ricordo che Chiara dice: «Il progetto di quest’Opera non è stato e non è pensato da mente umana, ma viene dall’Alto e sono in genere le circostanze che manifestano ciò che Dio vuole»2.

I primi contatti con evangelici della Germania e con riformati della Svizzera si sono avuti negli anni ‘60. Chiara parlando della storia del Movimento ad un gruppo di luterani in Germania, trovò in loro una vera comprensione della spiritualità dell’unità.

La comunione in Cristo con i fratelli evangelico-luterani della Germania è diventata sempre più profonda finché si decise insieme – d’accordo con i rispettivi responsabili – di dare vita ad una cittadella ecumenica ad Ottmaring, vicino ad Augsburg (Germania).

Inaugurata nel 1968, vi abitano cattolici ed evangelici. In questi  trenta anni di vita è divenuta un segno di grande speranza per l’unità dei cristiani nella terra dove nacque la Riforma.

L’esperienza è andata avanti: dagli evangelici luterani (nella allora Germania occidentale e poi nella ex Germania dell’Est sotto il comunismo), agli anglicani (prima in Inghilterra, poi nelle varie parti del mondo), ai riformati (Svizzera, Olanda), agli ortodossi e ai fedeli delle Antiche Chiese Orientali. Oggi sono 50.000 le persone di circa 350 Chiese e Comunità ecclesiali che seguono la spiritualità dell’unità; ci sono 49 focolari con 95 focolarini e focolarine di varie Chiese, in 19 Paesi: questo ci dice che lo Spirito Santo è all’opera.

Guardando a questa esperienza evidenzierei quattro punti.

– Il primo: vivere il Vangelo. Fa parte dell’anima del Movimento ecumenico. Il Vaticano II dice: «Quanto più vivranno il Vangelo, tanto più si uniranno tra loro»3.

– Il secondo lo vedo nello sguardo “nuovo”, largo, caloroso, necessario, che ci fa guardare  le persone delle varie Chiese con occhi nuovi: sono nostri fratelli e sorelle, realmente, per il Battesimo.

– Il terzo è: amarli in modo da poter avere poi uno scambio reale dei beni spirituali e materiali. Quando Chiara donò la sua esperienza, diciamo il suo bene spirituale, iniziò un autentico dialogo nella carità.

Papa Paolo VI e i successivi Pontefici hanno sempre seguito e incoraggiato tale dialogo, così il card. Agostino Bea e i successivi Presidenti del Pontificio Consiglio per l’unità dei cristiani, e tantissimi vescovi locali.

– E qui vedrei un quarto punto: l’ecumenismo si fa, nel posto dove ognuno si trova, d’accordo con il pensiero del vescovo e del parroco del luogo: informandoli dei progetti, dello svolgimento, delle difficoltà e dei successi. In ogni diocesi c’è in genere una Commissione ecumenica (a volte con la presenza di persone del nostro Movimento).

Nell’ecumenismo si è parlato di dialogo teologico, dialogo della preghiera, dialogo della carità, dialogo del servizio comune all’umanità. Riferendosi all’ecumenismo del Movimento dei focolari Chiara Lubich lo ha caratterizzato come “dialogo della vita” o del popolo”. In che senso? Sostituisce i tipi di dialogo menzionati sopra?

Certamente non li sostuisce.

Ma come focolarina del Centro Uno, in questi 33 anni, ho visto lo stagliarsi di una fisionomia propria dell’ecumenismo che emerge nel Movimento: è il “dialogo della vita”, che porta ad un “dialogo di popolo”.

Cos’è questo dialogo?

Per delinearlo meglio userò ampiamente testi di Chiara come lo ha spiegato a Londra nel 1996.

Con i fratelli e le sorelle delle varie Chiese, sforzandoci nel vivere insieme il Vangelo, conoscendoci, rafforzando il nostro amore reciproco, abbiamo scoperto quanto siano grandi le ricchezze del nostro patrimonio comune: il Battesimo; il Nuovo e l’Antico Testamento,  i dogmi dei primi Concili, che condividiamo, il Credo (niceno-costantinopolitano), i Padri greci e latini, i martiri  e altro ancora come la vita della grazia, la fede, la speranza, la carità, tanti altri doni interiori dello Spirito Santo…4

Oltre a ciò ci unisce la spiritualità dell’unità.

Prima non vivevamo come se ciò fosse realmente vero o ne fossimo coscienti del tutto. Ora ci rendiamo conto che sono le condizioni per realizzare il “dialogo della vita”.

Il “dialogo della vita” di cui anche i responsabili delle rispettive Chiese sono al corrente, ha portato – dicevamo – a un “dialogo del popolo”. Perché?

Siamo già una famiglia, siamo già, si può dire, “un popolo cristiano” che ha la sua cultura dell’unità: esso interessa laici, ma non solo, sacerdoti, pastori, vescovi, ecc. È di tutto il popolo di Dio. Non è quindi un dialogo della base che si contrappone o giustappone a quello dei cosiddetti vertici o responsabili di Chiesa. Ma un dialogo di tutti coloro che fanno parte del Corpo Mistico di Cristo.

Da questi inizi possiamo fondatamente sperare che altre forme di dialogo, come quello della carità, del servizio comune, della preghiera, quello teologico, potranno venire potenziate dal “dialogo della vita”.

E questo è l’impegno, il proposito: «Considerare sempre l’altro come facente parte dell’unico popolo cristiano».

La vita insieme – riconoscendoci davvero fratelli e sorelle – ce ne ha reso più coscienti, perché ci ha convinto di questi vincoli reali che già ci uniscono.

Nella seconda Assemblea ecumenica europea del 1997 a Graz (Austria) Chiara Lubich, per la sua ricca e fruttuosa attività ecumenica, è stata invitata a presentare la spiritualità che la anima, la spiritualità dell’unità. Questa è stata accolta e riconosciuta come una spiritualità ecumenica. Ci puoi spiegare perché? 

Effettivamente abbiamo constatato che i vari punti della spiritualità dell’unità possono essere condivisi, in maniera diversa, dalle persone delle varie Chiese.

Accenniamo a questi punti:

– Dio Amore5 si rivela personalmente a tutti i battezzati e li porta a credere al suo amore6.

– Tutti sono chiamati a rispondere all’amore di Dio facendo la Sua volontà. 

– Tutti possono vivere la volontà di Dio per eccellenza, che è il comandamento nuovo: «Amatevi gli uni gli altri; come io ho amato voi, così amatevi anche voi gli uni gli altri»7.

– Quindi attirare la presenza di Gesù tra i suoi, perché «dove due o più sono riuniti nel mio  nome, io sono in mezzo a loro»8.

– È comune vocazione  vivere la Parola, rievangelizzarsi.

– Fino a realizzare tutta quell’unità che è possibile.

E così gli altri punti della spiritualità li possiamo condividere in vario modo:

– Gesù crocifisso e abbandonato lo condividiamo: basta pensare come Lutero parlava di una theologia crucis, o ricordare come la storia della Chiesa armena sia stata sempre una “via crucis”.

– Anche Maria, se la vediamo come Madre di Dio e la donna modello del cristiano, rivestita della Parola...

Le nostre difficoltà sono più sul concetto di Chiesa, sull’ecclesiologia.

Ma con le due grandi realtà di “Gesù in mezzo”9 e di “Gesù abbandonato”10 proseguiamo un cammino insieme, secondo l’augurio di Chiara: «Noi ci portiamo avanti. Ci comprendiamo, ci aiutiamo, mettiamo insieme i nostri beni. Andiamo avanti».

E qui viene in rilievo  un altro punto: è lo Spirito Santo che ci conduce, quindi affidarsi a Lui. Il card. Bea si auspicò che lo Spirito Santo fosse il nostro protettore.

Così possiamo dire che non è neanche una spiritualità, ma è Cristo vivo – il Risorto – che ci unisce.

Diceva Chiara: «Se tu credi che “dove due o tre sono uniti nel suo nome” lì è Cristo11 – e io lo credo – perché non lo crediamo [presente] tra di noi?  Noi lo crediamo. E nessuno ci separerà. “Chi ci separerà dall’amore di Cristo?”12».

Constatiamo che in tante parrocchie si impone l’esigenza di un rapporto più profondo con le persone di varie Chiese o Comunità ecclesiali, sia dove queste sono in maggioranza sia dove sono in minoranza. Anche se in una parrocchia non esiste una presenza stabile di persone appartenenti ad un’altra tradizione cristiana, capita di incontrarle di passaggio o per turismo o per motivi di lavoro. Pure nell’ipotesi che non ci fossimo mai trovati con persone di Chiese diverse dalla nostra, è necessario sempre avere un’anima aperta all’ecumenismo: la vocazione ecumenica nasce dal Battesimo. 
È utile, quindi, per tutti noi sapere come iniziare e come far progredire questo dialogo. Guardando all’esperienza che il Movimento dei focolari ha attuato nel campo ecumenico quali suggerimenti ci daresti? 

Inquadrerei la situazione generale in cui può venire a trovarsi una parrocchia. È evidente che l’ecumenismo si fa con le varie Chiese o Comunità ecclesiali. Un discorso diverso andrebbe fatto riguardo a quei gruppi che sono conosciuti sotto il nome di sette13.

Condivido il pensiero del card. Kasper, presidente del Pontificio Consiglio per l’unità dei cristiani, che qui richiamerei:

«L’epoca dell’entusiasmo ecumenico, caratteristico del periodo immediatamente successivo al Concilio, è ormai conclusa.

Le conseguenze sono, a volte, la disillusione e lo scetticismo; come anche, molto spesso, una dura critica rivolta alla Chiesa istituzionale, atteggiamenti e atti di protesta, o un ecumenismo selvaggio (...) che è controproducente. (...)

Come possiamo vivere e come possiamo plasmare questa situazione intermedia? (...)

“L’ecumenismo dell’amore” e “l’ecumenismo della verità”, che mantengono certamente tutta la loro importanza, debbono essere attuati per mezzo di un “ecumenismo di vita”. (…)

Senza pericoli per la nostra fede e la nostra coscienza, noi potremmo fare già molto di più insieme di quanto facciamo generalmente. (…)

Dobbiamo... fare ciò che è possibile fare oggi».

Così il card. Kasper14.

Allora, cosa fare?

– Fare sempre il primo passo, con fiducia e con libertà, sapendo che l’altro crede nella vita del Dio Uno e Trino come te, che vuole vivere il Vangelo come te.

– Incominciare, ad esempio, dalla preghiera. Pregare insieme. Incontrarsi per pensare insieme come pregare. Un’occasione unica è la Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani.

– Amare, con l’ascolto pieno, interessato, sapendo che da un fratello cristiano possiamo imparare qualcosa: la sincerità del rapporto con Dio, l’intensità e frequenza della preghiera anche spontanea, la capacità del silenzio in ascolto di Dio, il digiuno degli ortodossi, e così via.

– Vivere la spiritualità dell’unità e, per esempio, offrire la Parola di vita15 (magari quella che viviamo in quel mese) accompagnandola con esperienze spirituali proprie, personali.

– Offrire aiuto, ospitalità. Nelle parrocchie, in questi ultimi anni, c’è stato un vivace scambio di aiuti tra Chiese. So, per esempio, che da Torino sono partiti dei camion carichi per un valore di oltre 60.000 Euro per contribuire a impiantare laboratori di riparazioni tessili, di ceramiche, destinati a comunità di altre Chiese in situazione di povertà, e così via.

Già in tante parrocchie si è cominciato il dialogo ecumenico: le Chiese si avvicinano l’una all’altra, si conoscono, si aiutano in tutto ciò che è possibile fin d’ora.

È bellissima, è toccante l’esperienza anche attuale di parrocchie che vivono così: penso, ad esempio, a quella di Matera nella zona di Napoli, a quella di Platanos nei pressi di Buenos Aires in Argentina.

Allo stesso tempo è importantissima la formazione ecumenica, cioè la preparazione. Conoscere un po’ della loro storia, della loro liturgia.

Per concludere lasciatemi fare una confidenza. Anche se nella vostra vita non doveste conoscere mai una persona di un’altra Chiesa – ma questo non succede qui: per quanto so, sono presenti anglicani e luterani – vorrei chiedere che tutti teniamo nel cuore viva, aperta, la responsabilità di dare il nostro contributo per arrivare un giorno alla piena comunione visibile.

Tutti dobbiamo pregare per ottenere questa grazia.

Ma occorre vivere, vivere, vivere!

Non è l’ultima chance: è la prima; perché l’unità piena, visibile, non sarà opera solo umana, ma un dono, uno straordinario dono dello Spirito Santo.

 

01)   Pontificio Consiglio per la promozione dell’Unità dei Cristiani, Direttorio per l’applicazione dei principi e delle norme sull’Ecumenismo, (1993) n. 92.

02)   Chiara Lubich, Lublino (Polonia), 19.06.1996.

03)   Cf UR 7.

04)   Cf UR 3 .

05)   1Gv 4, 8. 16.

06)  Cfr. 1Gv 4, 12.

07)   Gv 13, 34.

08)   Mt 18, 20.

09)   Chiara ha spiegato che «Gesù in mezzo è un formidabile aiuto per un vitale ecumenismo» (Cristo nella comunità, “Città Nuova”, 11/1981, p. 40), e «una necessità ecumenica» (Norimberga, Germania, 7.12.1964 cit. in J. M. Povilus, Gesù in mezzo nel pensiero di Chiara Lubich, Città Nuova, Roma 1981,  p.108).

10)  Parlando al Katholikentag , a Dusseldorf (Germania) il 3.9.1982, Chiara  ha detto che è stato Gesù Abbandonato  «a lanciarci nell’avventura ecumenica, a darci coraggio di oltrepassare con amore ogni spacco prodotto attraverso i secoli dal poco amore dei cristiani».

11) Cfr. Mt 18, 20

12) Cfr. Rm. 8, 35

13) Il Direttorio ecumenico già citato alla nota 1, ai nn.  35-36, fa riferimento al documento Il fenomeno delle sette o nuovi movimenti religiosi: una sfida pastorale, [pubblicato nel 1986 da quattro dicasteri della Curia Romana] il quale «attira l’attenzione sulla distinzione fondamentale da fare fra le sette … da una parte e le Chiese e Comunità ecclesiali dall’altra. (…) Bisogna insistere sul fatto che i principi della condivisione spirituale  o della cooperazione pratica dati in questo Direttorio si applicano unicamente alle Chiese o Comunità ecclesiali con le quali la Chiesa cattolica ha stabilito relazioni ecumeniche».

14) W. Kasper, Situazione e visione del movimento ecumenico, in “Il Regno-Attualità”, 4 (2002) pp.132-141 passim.

15)   Sulla pratica della “Parola di vita”, vedi supra, p. 51, nota n. 1.