La parrocchia: profezia del Regno

del card. James Francio Stafford

Riportiamo l’omelia pronunciata durante la celebrazione eucaristica dal card. J. F. Stafford, Presidente del Pontificio Consiglio per i Laici.

La parrocchia è il punto focale della nostra Messa odierna nonché del nostro incontro. La parrocchia è una delle strutture più antiche della società occidentale, la cui storia risale senza interruzioni alla fine del terzo secolo. Eppure, negli ultimi cent’anni, la parrocchia è stata oggetto degli attacchi più duri nella sua storia millenaria, attacchi derivanti dall’industrializzazione, l’urbanizzazione e il loro prodotto, la secolarizzazione. 

L’urbanizzazione ha trasformato le civiltà del passato, rurali, omogenee e religiose, in quelle tecnologico/industriali, pluralistiche e secolarizzate di oggi. Il ventesimo secolo ha visto rompersi l’equilibrio tradizionale tra le popolazioni rurali e urbane, a causa della proliferazione di città con oltre un milione di abitanti e l’espandersi di megalopoli in tutti i continenti. 

Poiché le parrocchie non sono state in grado di affrontare queste sfide, la Chiesa ha cercato di rispondervi in diversi modi, il più importante dei quali è stato il Concilio Vaticano II. Anche prima del Concilio, tuttavia, non sono mancate iniziative per risolvere la crisi delle parrocchie. Particolarmente notevoli sono stati il movimento liturgico e un impegno crescente verso la teologia pastorale. Il movimento liturgico include molti elementi che contribuiscono al rinnovamento dei sacramenti nella vita parrocchiale, soprattutto i sacramenti dell’iniziazione cristiana: Battesimo, Confermazione ed Eucaristia. Il nostro dicastero sta dedicando una lunga riflessione a questi tre sacramenti per capire il loro ruolo fondamentale nello sviluppo di una spiritualità laicale e ha già dato alle stampe diverse pubblicazioni in merito. Abbiamo ora in progetto di riflettere sulla natura e il ruolo della parrocchia nelle culture industrializzate. 

L’attività del nostro dicastero riflette lo sviluppo delle iniziative della Chiesa in Italia negli ultimi settantacinque anni. Penso al movimento liturgico e al Centro di Orientamento Pastorale, creato a Milano nel 1953. Forse ricorderete le figure profetiche collegate a queste iniziative, una delle quali fu don Primo Mazzolari che scriveva: «Dopo la Messa, il dono più grande: la parrocchia». Anticipava così la dottrina del Concilio Vaticano II sulla missione dei laici nel mondo. La loro funzione, scriveva infatti, è di essere intelligenti, coraggiosi e disciplinati al servizio della Chiesa mediante la loro inserzione nella città degli uomini, e al contempo metteva in guardia contro uno dei pericoli più gravi, ossia la clericalizzazione del laicato cattolico. 

Altro grande sacerdote e profeta italiano fu don Lorenzo Milani, iniziatore di una catechesi impregnata delle caratteristiche uniche dei suoi parrocchiani.

Infine vi è la figura di Padre Giulio Bevilacqua, creato poi cardinale, che ha descritto la parrocchia «come il luogo in cui la comunità cristiana prende coscienza della propria identità e in cui si produce e si ripete in qualche modo la consapevolezza della incompatibilità originaria… tra Cristo e il mondo. Tale incompatibilità non assume il significato di una condanna pregiudiziale nei confronti della cultura moderna, ma acquista invece il senso di un cammino ecumenico verso l’unità e la riconciliazione». 

L’Eucaristia:
presenza di Cristo tra noi

Desidero soffermarmi sull’ultimo punto sollevato dal Cardinal Bevilacqua: ossia la parrocchia come luogo di un dialogo sacro. Il Cardinale insiste sul fatto che la parrocchia è un luogo specifico, volendo dire con ciò che essa è il centro privilegiato dove il discepolo viene a conoscenza dell’incompatibilità originaria tra Cristo e il mondo. 

Questa incompatibilità si apprende mediante la partecipazione del laico alla proclamazione eucaristica della morte del Signore fino alla sua nuova venuta. Tale missione avviene nella parrocchia. Ivi infatti il laico apprende l’attitudine abituale del cristiano, la sua riserva escatologica. Nel sacramento dell’Eucaristia, i laici precisano la propria identità e consapevolezza confessando il Mistero della Fede: «Mangiando di questo pane e bevendo a questo calice proclamiamo la tua morte, Signore Gesù, fino alla tua venuta nella gloria». Da qui risulta chiaro come i laici abbiano un’identità escatologica. La gloriosa seconda venuta di Cristo è l’evento culminante nella salvezza del mondo e la sua anticipazione è centrale per la missione del popolo dì Dio. 

Nella sua Lettera Apostolica Dies Domini Papa Giovanni Paolo II afferma che l’Eucaristia proclama l’identità escatologica del popolo di Dio. «Nella prospettiva del cammino della Chiesa nel tempo, il riferimento alla risurrezione di Cristo e la scadenza settimanale di tale solenne memoria aiutano a ricordare il carattere pellegrinante e la dimensione escatologica del Popolo di Dio. Di domenica in domenica, infatti, la Chiesa procede verso l’ultimo giorno del Signore, la domenica senza fine» (n. 37). I pellegrini sono per definizione persone escatologiche: sono infatti in cammino per la loro santa destinazione. È in questo senso di essere dei meri ospiti temporanei che troviamo l’incompatibilità tra Cristo e il mondo. 

La stragrande maggioranza dei laici celebra l’Eucaristia nella propria parrocchia. La parrocchia è il segno che il Regno di Dio è già presente tra noi anche se non ancora in pienezza. L’Eucaristia domenicale è per loro il sacramento o segno dell’avvento finale di Gesù per stabilire il suo Regno. Essendo già presente nel mondo, la parrocchia indica ed è sacramento di ciò che non è ancora, la Città di Dio. Anche il Concilio insegna che la parrocchia in quanto Chiesa «è il Regno di Dio già presente in mistero» (LG 3). Nella Chiesa, il Regno cresce progressivamente nella storia come un seme nel terreno, che troverà il proprio compimento e la propria manifestazione piena alla fine dei tempi. Un giorno l’umanità coinciderà con il Regno di Dio. La parrocchia condivide la natura sacramentale della Chiesa. Resta un’istituzione nella storia con strutture, gerarchia, membri e confini visibili. La parrocchia allo stesso tempo rivela e nasconde la vera realtà delle cose. E il mondo, per parte sua, non è semplicemente soggetto al dominio del Maligno, come non è ancora il Regno di Dio. La Rivelazione attribuisce due significati al termine “mondo”, significati che sono inestricabilmente legati tra loro. Da un lato il termine “mondo” ha il significato di una “creatura molto buona”in cui Dio si è compiaciuto all’alba della creazione; dall’altro ha quello dell’instancabile nemico dei discepoli di Gesù, per il quale Egli non ha pregato. Più dei sacerdoti e dei religiosi, i laici nel mondo devono sostenere le tensioni della Chiesa, il mistero del già e del non ancora.

Comunità della speranza

La parrocchia è il luogo in cui i laici sono persone del Maranatha. Essi prendono consapevolezza della riserva escatologica della comunità cristiana. Nell’Eucaristia la loro preghiera più profonda è: «Maranatha – Vieni Signore Gesù». Ogni volta che la morte del Signore viene proclamata nel banchetto eucaristico e si eleva il Maranatha, si fa presente a Dio l’acme incompiuta dell’opera di salvezza. Solo quando Gesù verrà di nuovo, sarà raggiunta la consumazione della salvezza, iniziata con la sua morte. Ecco il significato del comandamento di Gesù che sentiamo in ogni Messa: «Fate questo in memoria di me»: la morte del Signore non viene proclamata in ogni celebrazione eucaristica come un evento del passato, ma piuttosto come un evento escatologico, come l’inizio della Nuova Alleanza che giungerà a compimento solo con la sua seconda venuta. 

La parrocchia è il luogo in cui viene celebrata l’Ultima Cena del Signore. È il luogo in cui nel banchetto pasquale la comunità anticipa la parusia, la venuta finale del Messia. Mangiando il pane benedetto e bevendo il calice della salvezza, il segno del sangue versato per loro, i credenti ricevono un pegno della gloria futura, la comunità con Gesù in una terra trasformata. Allora sarà rotto il grande digiuno del Messia e del suo popolo: «In verità vi dico che io non berrò più del frutto della vite fino al giorno in cui lo berrò di nuovo nel Regno di Dio» (Mc 14, 25). 

La riserva escatologica del popolo di Dio è intimamente associata con la virtù teologale della speranza. Descrive un tipo di evangelizzazione propria dei laici nella loro missione nel mondo e viene esercitata quando i membri del laicato «proclamano Cristo con le parole e la testimonianza della loro vita» (LG 35). Proprio informando tutti i loro giudizi e le loro azioni nel secolo con una riserva escatologica, i laici «non nascondono questa speranza nell’interno del loro animo, ma con una continua conversione e lotta “contro i dominatori di questo mondo tenebroso e contro gli spiriti maligni” (Ef 6, 12) la esprimono anche attraverso le strutture della vita secolare» (LG 35). La riserva escatologica scaturisce dall’amore eterno che s’irradia dall’unione di Cristo e la croce. 

La testimonianza
del Vangelo vissuto

Il mondo ha bisogno di vedere nuovamente la testimonianza di confessori laici della fede. Vivendo il già e il non ancora delle beatitudini, dei doni dello Spirito e del Padre Nostro, il beato Federico Ozanam in Francia e Orestes Brownson negli Stati Uniti, entrambi “confessori” laici cattolici del diciannovesimo secolo, hanno proclamato la loro fede e la loro speranza nel fine escatologico dell’uomo. La loro vita è stata un segno del fatto che «la Chiesa è sacramento universale di salvezza».

Associata alla riserva escatologica è la chiamata universale alla santità. Il tema della “santità” occupa l’intero quinto capitolo della Lumen Gentium. Ogni persona è chiamata ad essere santa e ha ricevuto una missione divina nella società e nella storia. Nessun pretesto può giustificare una rinuncia a questa missione. Nella sua Enciclica Veritatis Splendor, il Papa fa presente che le beatitudini sono «indicazioni normative per la vita morale. Nella loro profondità originale sono una specie di autoritratto di Cristo e, proprio per questo, sono invitati alla sequela e alla comunione di vita con Lui» (n. 16). Con i doni dello Spirito, le beatitudini sono segni di santità. Proclamano la speranza nel futuro preparato da Cristo per coloro che credono in lui. Quanti vivono le beatitudini sono in grado di discernere la complessità delle domande ricorrenti su natura e soprannatura, potere e grazia, pretese del potere e croce inevitabile. 

Le beatitudini: etica dei laici

Il Discorso della montagna è l’etica anche dei laici, è la loro via alla santità. Gesù ha espresso la sua pretesa assoluta di essere Figlio di Dio proprio mentre ha reso visibili la sua povertà e vulnerabilità rinunciando ad ogni potere e bene terreno. Coloro che ricevono la promessa della salvezza nella speranza sono i poveri di ogni genere, ossia coloro che nella loro libertà diventano poveri nel loro atteggiamento di fondo, coloro che sono stati interiormente svuotati e purificati, i piccoli e gli ultimi. Così li descrive Hans Urs von Balthasar: sono «coloro che vivono nel lutto del presente e nella fame e sete per ciò che dovrebbe essere, facendo tutto ciò che possono nella loro impotenza – essendo misericordiosi, mettendo pace tra gli incattiviti mediante il loro stesso stato di esseri riconciliati – e tutto ciò nell’impotenza che porta loro persecuzione per il bene di ciò che non hanno e che non possono far accadere».

Sono i poveri in spirito, coloro che berranno il frutto della vite di nuovo nel Regno dei cieli.

Card. James Francis Stafford