Gesù abbandonato, via maestra per una comunità in dialogo

Chiara Lubich ha dato vita nell’ambito dell’Opera di Maria, di cui è Fondatrice e Presidente, al Movimento parrocchiale e al Movimento diocesano, trasmettendo ai membri che vi aderiscono un’autentica "passione" per la Chiesa, perché contribuiscano ad un suo rinnovamento vivendo l’unità tra loro e con i propri pastori. In questo intervento presenta il mistero di Gesù crocifisso e abbandonato come l’icona di ogni vero dialogo.

 

Benarrivati all’attuale Convegno riservato al Movimento parrocchiale ed a quello diocesano!

Come tutti sappiamo, queste due realtà ecclesiali sono diramazioni del più vasto Movimento dei focolari.

Il loro scopo? 

Concorrere a dare un volto nuovo, atteso ai nostri tempi, alla parrocchia e alla Chiesa diocesana.

Ciò può essere possibile attraverso un particolare dono dall’Alto: il “carisma dell’unità”, offerto dallo Spirito alla Chiesa di oggi.

Chiesa-comunione

Volto nuovo, dunque, atteso ai nostri tempi, alla parrocchia ed alla diocesi; quindi desiderato dai fedeli e voluto dal Cielo: il volto dell’amore che fa la “Chiesa-comunione” ed è pienamente attuabile con l’aiuto della nostra “spiritualità dell’unità” se vissuta con fedeltà nei suoi vari cardini.

Chiesa-comunione desiderata già dal Concilio Vaticano II che vedeva la Sposa di Gesù ad immagine della Santissima Trinità1, la più alta e perfetta comunione che si possa pensare.

Chiesa-comunione, di cui parla spesso il Santo Padre, come ad esempio nella Novo millennio ineunte, chiedendo più precisamente che la Chiesa sia “casa della comunione” in se stessa, naturalmente, e cioè vera famiglia soprannaturale, che necessita di un’autentica “spiritualità di comunione”.

“Spiritualità di comunione” che, come abbiamo documentato più volte, è, nel pensiero del Papa, sinonimo della “spiritualità dell’unità”. Lo ha dichiarato lui stesso in una nota lettera ai cardinali e vescovi amici del Movimento dei focolari2.

Chiesa-comunione – come continua ancora il Papa nella Novo millennio ineunte – che sia pure “scuola della comunione”.

Per chi? Per tutti coloro che, nei territori affidati alle parrocchie ed alle diocesi, non conoscessero e non vivessero la comunione, che è unità, che è fraternità.

E cioè – e qui siamo al tema di oggi – per tutti coloro con i quali necessita aprire un dialogo per farla loro conoscere.

Comunità in dialogo

Ma una comunità, per poter essere in grado di aprire un dialogo, deve essere comunione in atto. Sì, comunione in atto perché, prima di rivolgere la parola agli altri, occorre testimoniarla con la propria vita.

Sappiamo però come nelle nostre parrocchie, così come nelle diocesi, solamente una certa percentuale di persone crede in Dio, nella Chiesa. Ed una percentuale, ancora minore, frequenta la chiesa.

Su chi puntare, allora, per avere al più presto una comunità in dialogo?

È ovvio: su chi crede e frequenta la Chiesa come fate voi: senza contatto con gli altri fedeli, non è possibile creare comunione, comunità. E senza l’Eucaristia, che la Chiesa dona, manca il vincolo dell’unità.

Le altre persone costituiscono il campo d’amore, d’attenzione, d’azione, di dialogo delle prime.

Per compiere il dialogo, poi, come dice il titolo di questo intervento, riportando parole del Santo Padre, esiste una «via maestra»3 e cioè: Gesù crocifisso e abbandonato, il «Volto dolente del Cristo»4 come lo definisce la Novo millennio ineunte.

Fra noi, molti senz’altro conoscono questo “volto”; alcuni, forse, no. 

Sarà, comunque, il caso di parlarne, perché chi non lo conoscesse, o non a sufficienza, abbia di che ammirarlo. E chi crede di conoscerlo, di scoprirne di più le infinite ricchezze.

Il mistero di Gesù abbandonato

Chi è, dunque, Gesù abbandonato? Ce lo ha rivelato un po’ il nostro Ideale. 

Hans Urs von Balthasar, infatti, un grande teologo del secolo appena trascorso, spiega che, quando lo Spirito Santo manda un carisma sulla terra è come se s’aprisse per la prima volta nel Cielo della Chiesa una finestrella5, attraverso la quale ci viene rivelata una verità nuova, pur contenuta nel patrimonio della fede.

Ecco: attraverso la finestrella aperta dallo Spirito Santo col nostro carisma dell’unità, si è intravisto qualcosa del mistero che si nasconde nel grido di Gesù in croce: «Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?» (Mt 27, 46): una prova abissale del Figlio di Dio per l’abbandono del Padre, ma per la fiducia sconfinata, che Gesù subito dopo dimostra in Lui, per chi è chiamato a realizzare il suo Testamento, la rivelazione di Colui che può dirsi porta, chiave dell’unità.

Ricordo che uno dei primi giorni della nostra storia, avendo compreso la finalità del Movimento nascente e cioè realizzare l’unità (misteriosissima parola divina), sintesi dei desideri e comandi di Gesù, oggetto della sua ultima preghiera, avevamo chiesto a Lui di rivelarci il modo d’attuarla, di darcene la “chiave”. 

Ed ecco che, poco dopo – è un altro episodio noto – ce ne ha svelato il segreto: Gesù crocifisso e abbandonato.

Quel Gesù abbandonato che tutti ci sforziamo di amare, di seguire, nostro unico tesoro, quando lo abbiamo compreso per davvero.

Ma, poiché Gesù abbandonato costituisce, col dialogo, il titolo del nostro tema, data la sua importanza, vediamo questa volta di approfondire un po’ di più il suo infinito dolore, chiedendoci, ad esempio: cosa dice di Lui la Scrittura?

A parlarne per primi sono i Vangeli, come quello di Matteo: «Dall’ora sesta fino all’ora nona si fece buio su tutta la faccia della terra, e all’ora nona Gesù gridò a gran voce: “Eli, Eli, lama sabactani?”, che significa: Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?» (Mt 27, 46).

Durante i primi secoli del cristianesimo, poi, è noto che si preferiva non parlare di questo suo particolare dolore: era un momento della vita di Gesù difficile da spiegare.

Solo secoli dopo, qualche raro mistico e teologo accenna a Lui.

Dice san Giovanni della Croce: «(...) proprio mentre ne era oppresso, Egli compì l’opera più meravigliosa di quante ne avesse compiute in cielo e in terra durante la sua esistenza terrena ricca di miracoli e di prodigi, opera che consiste nell’aver riconciliato e unito a Dio, per grazia, il genere umano»6.

Gesù nell’abbandono sembra perdere il vincolo che lo legava al Padre. Ma cos’era questo vincolo? Era lo Spirito Santo. Egli lo perde per darlo a noi. È lo Spirito Santo, infatti, che lega ciascun uomo a Dio e uomo a uomo. 

Avendoci generati in quel grido, qui nasce la Chiesa, il popolo nuovo. Qui è dato lo Spirito Santo. È lo Spirito Santo che, come Dio, legava Gesù al Padre. E nell’abbandono in Gesù è oscurato il vincolo col Padre.

«Essendo lo Spirito Santo – afferma L. Chardon – il vero Paraclito, cioè il perfetto Consolatore (...) opera interiormente nell’anima [di Gesù] una croce più disastrosa (...) [di quella esteriore] con la sospensione delle sue meravigliose consolazioni»7.

Fra i teologi contemporanei, si ricorda di frequente l’impressione che Gesù dà con questo suo tremendo strazio: quella che, in quel momento, la Santissima Trinità stessa, di cui è il Figlio, il Verbo, un tutt’uno col Padre e con lo Spirito Santo, quasi si spezzasse. “Quasi” perché non può essere così.

 Infatti il teologo ortodosso S. Bulgakov afferma: «(Nell’abbandono di Gesù) la stessa inseparabilità della Trinità Santissima sembra spezzarsi, il Figlio rimane solo (...). È questa la morte divina, perché “triste è l’anima mia fino alla morte”, fino alla morte spirituale, che è l’abbandono di Dio»8.

E S. Bulgakov aggiunge ancora: «Il calice è bevuto fino in fondo, e il Figlio rende il suo spirito al Padre: la SS. Trinità [che è sembrata spezzarsi] si ricompone nell’unità indivisibile»9.

Gesù aveva sofferto quel tremendo senso di abbandono, di separazione dal Padre, proprio per l’unità e cioè per riunire tutti noi uomini a Dio, staccati come eravamo dal peccato, e per riunirci fra noi. Era Lui, dunque, il modello, la strada per realizzarla.

Infatti, non è rimasto nel baratro del suo infinito dolore, ma con uno sforzo immane e inimmaginabile, si è riabbandonato al Padre, da cui si sentiva come uomo quasi respinto, dicendo: «In manus tuas, Domine, commendo spiritum meum», «Padre, nelle tue mani consegno il mio spirito» (Lc 23, 46). Ed ha così ricomposto l’unità con Lui.

Un altro teologo che parla di Gesù abbandonato è Hans Urs von Balthasar, già citato, che sottolinea l’immensità di quel dolore. Egli afferma: (Rimettendo) «esplicitamente nelle mani del Padre divino l’eterno vincolo d’unione, che a Lui lo legava, lo Spirito Santo», Gesù sperimenta «fino all’ultimo l’abbandono completo anche da parte del Padre», muore «nelle tenebre estreme abbandonato dallo Spirito»10.

Mentre Karl Barth vi vede il dono stra-grande che Egli ci ha fatto: «Dio non tiene per sé la sua divinità come un bottino, come il ladro tiene la borsa, ma Egli si dà»11. 

Nella Lettera Novo millennio ineunte Giovanni Paolo II dà una sua spiegazione, mirabile per la sua completezza, di questo dolore di Gesù. Egli, parlando di Gesù abbandonato, come dell’«aspetto più paradossale del suo mistero» (di croce) dice: «È possibile immaginare uno strazio più grande, un’oscurità più densa?» Poi lo spiega così: «In realtà, l’angoscioso “perché” rivolto al Padre con le parole iniziali del Salmo 22, pur conservando tutto il realismo di un indicibile dolore, si illumina con il senso dell’intera preghiera, in cui il Salmista unisce insieme (...) la sofferenza e la confidenza»12.

Pasquale Foresi, confondatore del nostro Movimento e teologo, precisa: «Anche se la redenzione è avvenuta per tutti i dolori spirituali e fisici di Gesù, tuttavia il dolore (...) che simboleggia tutta la redenzione è nel momento in cui egli sente la separazione del Padre; è lì che opera il ricongiungimento dell’umanità col Padre»13.

E qui non possiamo dimenticare i nostri Statuti approvati dalla Chiesa, maestra di dottrina. Essi danno a noi Gesù abbandonato come chiave dell’unità; Gesù abbandonato al quale dobbiamo riservare un posto particolare nel nostro cuore. 

Fissando una lunga esperienza di vita, essi dicono che «nel loro impegno per attuare l’unità (i membri del Movimento) amano con predilezione e cercano di vivere in se stessi Gesù crocifisso che, nel culmine della sua passione, gridando: “Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?” s’è fatto artefice e via dell’unità degli uomini con Dio e tra loro»14.

Via per ogni dialogo

Ora, da tutto quanto è stato detto, si può capire come Gesù abbandonato, avendo realizzato in sé l’unità, avendo riunito Cielo e terra e uomo a uomo, abbia dato compimento al più difficile, importante ed a chiunque altro impossibile dialogo.

E lo ha potuto fare perché Egli è l’Amore, il massimo Amore, sì da ridursi così, crocifisso, abbandonato dal Padre, per amore nostro. 

Lo ha fatto già nascendo su questa terra, col farsi uno di noi, come l’amore domanda: un uomo. “Figlio dell’uomo” amava chiamarsi.

Avendo assunto la natura umana, ha preso su di sé tutto quanto la riguardava: i nostri dolori, i nostri limiti, le nostre colpe, facendosi persino “peccato”, come dice Paolo, pur senza aver mai peccato, “scomunica”, pur senza essere mai stato scomunicato.

E tutto ciò perché il Padre ha caricato Lui, consenziente, dei nostri pesi, dei nostri guai, e a Lui ha chiesto di rimediarvi.

È divenuto maestro d’amore, svuotandosi completamente di sé, riducendosi a nulla, perdendo persino il senso d’essere Figlio di Dio, Dio stesso, per fare noi figli di Dio.

E così ha indicato a noi cosa significa dialogare: quali esigenze esso comporti, come vedremo in seguito.

Il dialogo e
la nuova evangelizzazione

E passiamo al dialogo vero e proprio, quello che dobbiamo condurre noi.

Di dialogo ha parlato il Santo Padre, cominciando dal 1983, quando ha lanciato una “nuova evangelizzazione”.

Egli, spiegando perché all’evangelizzazione ha aggiunto la parola “nuova”, ha affermato, fra il resto, che la «nuova evangelizzazione» sarà nuova «nelle sue espressioni»15. 

«È ormai tramontata – dice nella Novo millennio ineunte –, anche nei Paesi di antica evangelizzazione [come l’Europa], la situazione di una “società cristiana”, che (...) si rifaceva ai valori evangelici. Oggi si deve affrontare (...) una situazione (...) nel contesto della globalizzazione e del nuovo (...) intreccio di popoli e culture che la caratterizza»16. 

Per questo occorrono nuove espressioni di evangelizzazione.

E non c’è dubbio che fra le forme di evangelizzazione moderne emergano i dialoghi, nei quali è impegnata la Chiesa e sono impegnati soprattutto diversi Movimenti e Nuove Comunità ecclesiali.

Il nostro Movimento – come sapete – ha aperto sin dall’inizio il dialogo nella nostra Chiesa, fra singoli cattolici e più recentemente fra Movimenti ecclesiali e altre Associazioni, come pure con Famiglie religiose nate da antichi carismi.

È un dialogo che raggiunge proprio lo scopo di cui abbiamo parlato: la “Chiesa-comunione”.

Infatti, anche nel mio breve discorso il 24 gennaio 2002 ad Assisi, durante il convegno interreligioso indetto dal Santo Padre sulla pace, assieme a rappresentanti di altre confessioni cristiane e di altre religioni, ho affermato che la Chiesa, svolgendo il primo dialogo fra i suoi figli e le sue figlie, innesca quella comunione richiesta ad ogni livello, che è pace assicurata. Ora possiamo aggiungere: è unità, è fraternità assicurata e certa.

E già qui dobbiamo pensare a noi presenti in questa sala per ricevere un impulso al dialogo fra noi, figli e figlie della Chiesa. Come lo possiamo fare bene e con successo?

Dialogo fra cattolici

Al contatto con cattolici non privi di problemi, di dolori, di dubbi, di pesi, ma anche di gioie da condividere, dobbiamo comportarci come ho già detto di Gesù abbandonato: amarli anzitutto, con tutta l’arte di amare che conosciamo, farci uno con loro, operando un vuoto completo in noi per capire, comprendere appieno l’altro, farci uno, anzi “farci lui”, come Gesù s’è fatto uomo, s’è fatto “peccato”.

E – occorre ricordarlo bene – non pensare a ciò che dobbiamo dire, ma soffrire o godere con lui. Alla fine, quando l’altro ci avrà confidato ogni cosa, lo Spirito Santo ci darà la parola giusta per illuminarlo, sollevarlo, consolarlo o anche, se il caso è diverso, aiutarlo a godere bene delle sue gioie, dei doni di Dio, condividendo felicità, speranze, sogni.

Ho detto che lo Spirito Santo ci darà la parola... Sì, perché, come egli ha agito nell’abbandono di Gesù, così agirà anche con noi se, per amore del fratello, riviviamo un po’ l’abbandono di Gesù.

Dialogo ecumenico

Il nostro Movimento poi – e anche questo a tanti di voi è noto – nel 1961, ha iniziato il dialogo ecumenico, dove facciamo calcolo del molto che abbiamo in comune con i cristiani delle altre Chiese: il battesimo, la Scrittura, il Credo, i primi Concili, e la nostra stessa spiritualità dell’unità, che si vive insieme quasi integralmente. Essa, fra il resto, è ritenuta qua e là, spiritualità ecumenica.

In tal modo, per tutti questi elementi comuni, sentiamo di poter già formare con i cristiani di 350 Chiese e Comunità ecclesiali, che aderiscono al nostro Movimento, un solo popolo cristiano in attesa della piena unità. E ciò allevia di molto i dolori della divisione e inculca pazienza: saper attendere l’ora.

Anche di questo dialogo ho fatto cenno ad Assisi. 

Ora, se pure tutti voi vi comporterete nella maniera dettataci dal carisma, sprigionando cioè tutto l’amore di cui siete capaci a Gesù abbandonato nella disunità, facendo calcolo delle cose comuni e sentendovi con loro una sola famiglia cristiana (il battesimo, che è comune, ci fa tutti figli di Dio!), darete un colpo d’ala all’ecumenismo in parrocchia e, già uniti con tutti in questo modo, preparerete voi e questi vostri fratelli all’unità piena. Non solo. 

La nostra unità (di noi e loro insieme) sarà già una grande testimonianza di Gesù per altri fratelli: i fedeli di altre religioni e per le persone di convinzioni non religiose.

Dialogo interreligioso

Alla fine degli anni ’70 si è aperto fra noi il dialogo con i fedeli di altre religioni, nel quale, come primo passo, cominciamo col vivere assieme la “Regola d’oro” presente in quasi tutti i Libri Sacri; regola che, nel Vangelo, recita così: «Fate agli altri ciò che vorreste fosse fatto a voi» (Mt 7, 12). È quella regola menzionata recentemente ad Assisi dal Santo Padre e da altri.

Regola per la quale, dato l’amore al prossimo, che si chiede da ambo le parti, è già possibile mettere a base del rapporto fra noi e le persone di altre religioni l’amore reciproco. Ed ecco fiorire brani di fraternità. 

Poi, in questo clima, ponendosi sullo stesso piano, si può stabilire il dialogo col proprio partner, dialogo nel quale si cerca, come Gesù abbandonato, di farsi nulla per “entrare”, in certo modo, nell’altro.

Ci si pone quindi in quest’atteggiamento importantissimo e imprescindibile, che ha un duplice effetto: aiuta noi ad inculturarci nel mondo dell’altro, a conoscerne la cultura ed il linguaggio, e predispone l’altro ad ascoltare noi.

Si passa così al “rispettoso annuncio”17 – bella e indovinata espressione del Santo Padre – dove, per lealtà davanti a Dio, a se stessi, come pure per sincerità verso il prossimo, diciamo quanto la nostra fede afferma sull’argomento di cui si parla, senza con ciò imporre nulla all’altro, senza voler conquistare nessuno, quindi senza ombra di proselitismo. Ma per amore. 

Il nostro dialogo interreligioso abbraccia – come sapete – fedeli delle più importanti religioni: ebrei, musulmani, buddisti, scintoisti, indù, ecc., dai quali siamo spesso stimati ed amati sì da chiamarci a portare la nostra esperienza cristiana anche in moschee musulmane (in 40 finora negli USA), in templi buddisti, in centri ebraici e altri.

Ci può essere poi chi, rimanendo nella propria religione, l’approfondisce (e sono molti!) e chi abbraccia liberamente il cristianesimo, come è stato – anche questo lo sapete – di migliaia di persone a Fontem, nel Camerun, per le quali abbiamo dovuto costruire una chiesa ed è stata istituita la parrocchia.

Quante persone di altre religioni si sono ormai stabilite anche nei nostri Paesi, nelle vostre rispettive parrocchie, nelle vostre diocesi!

Il mio consiglio è individuarle, stabilire con loro l’amore reciproco, e pian pianino, con prudenza, dialogare, se si può, con esse come fa il Movimento.

Dialogo con persone
di convinzioni non religiose

Ma anche le persone di buona volontà, pur senza un riferimento religioso, si rendono conto che l’amare gli altri non è solo dei cristiani, ma è un imperativo inscritto nel DNA d’ogni essere umano, perché – così noi pensiamo – ogni essere umano è creato ad immagine di Dio che è Amore. 

Si può perciò amarsi a vicenda pure con loro e può nascere, anche con essi, il dialogo, col nostro “annuncio rispettoso” delle verità cristiane. 

E, poiché credono almeno nell’uomo, si lavora insieme, a gloria di Gesù, uomo oltre che Dio, a salvaguardare i grandi valori umani a cui danno anch’essi tanta importanza, quali la libertà, la solidarietà, i diritti umani, la pace.

Anche a questo proposito nelle nostre parrocchie, e nelle nostre diocesi, c’è molto da fare. Oggi incontriamo dovunque persone in ricerca, o non credenti. 

Occorre amarle con l’arte di amare vissuta alla lettera, vedendo in esse Gesù abbandonato e possibilmente lavorare con loro per ideali comuni.

Quelli spiegati fin qui sono i quattro dialoghi già annunciati da Paolo VI nell’Ecclesiam suam18, e oggi così attuali.

«Stella del nostro cammino»

Ma tutto riusciremo a fare se Gesù abbandonato sarà la stella del nostro cammino! Sempre nel nostro cuore, sempre presente alla nostra mente. Sempre nella nostra preghiera: «Sei Tu, Signore, l’unico nostro bene».

 

Chiara Lubich

NOTE

01)         Cf LG 4, EV 1, 288. UR 2, EV 1, 502.

02)         Messaggio di Giovanni Paolo II al Convegno spirituale dei vescovi amici del Movimento dei foco-

lari, 14.02.2001, in “L’Osservatore Romano” 15.2.2001, p. 5. Cf  “gen’s” 31 (2001/4), pp. 99-100.

03)         Ibid.

04)         Novo millennio ineunte, 25.

05)         Cf J. Cordes in “30 Giorni”, marzo 1986, p. 56.

06)         Giovanni della Croce, Salita del Monte Carmelo, II,7,11.

07)         L. Chardon, La Croix de Jésus, I, Paris 1895, pp. 262, 264.

08)         S. Bulgakov, L’Agnello di Dio, Roma 1990, p. 433.

09)         Ibid.

10)         H.U.v. Balthasar, Cordula ovverosia il caso serio, Brescia 19693, pp. 30, 48.

11)         K. Barth, Dogmatica in sintesi, Roma 1969, pp.174-175.

12)         Novo millennio ineunte, 25.

13)         P. Foresi, Conversazioni con i focolarini, Roma 1967, p. 100.

14)         Opera di Maria, Statuti generali (1999), art. 8, p.14.

15)         Ai Vescovi del CELAM, Port au Prince, Haiti, 9.3.1983, in “La Traccia” 3 (1983) p. 269. 

16)         Novo millennio ineunte, 40.

17)         Ibid., 56.

18)         Ecclesiam suam, EV 2, 163-210.