Dialogo: urgenza improrogabile

 

«Dialogare per non morire»: questa espressione del teologo  Tillard1 evidenzia in modo un po’ paradossale ma efficace un’urgenza ineludibile del mondo d’oggi. Viviamo infatti in una società che diventa sempre più multietnica, multireligiosa e multiculturale, con un infittirsi di rapporti fra persone le più varie, ma anche con l’accentuarsi di contrasti e barriere, che esigono improrogabilmente di aprire un dialogo a 360 gradi. Non un dialogo “slavato”, o che si ferma ai gesti cordiali e fraterni2, pur imprescindibili, ma un dialogo integrale, orientato alla conoscenza, all’ascolto, alla comprensione dei valori di ognuno, superando pregiudizi e affrettate valutazioni e rispettando la fede dell’altro3.Un dialogo che tenda a suscitare rapporti d’amicizia e miri alla fraternità universale4, prendendo come modello quell’amore disinteressato e radicale che Gesù ha insegnato e vissuto, e come meta il suo testamento: «che tutti siano uno». 

Èdi questo tipo di dialogo che necessitano oggi le parrocchie e le diocesi, che sempre più risentono della mobilità e molteplicità variegata delle persone presenti nel loro territorio. Esigenza cui ha inteso andare incontro il Congresso internazionale “Per una comunità in dialogo”5, promosso dal Movimento parrocchiale e dal Movimento diocesano, diramazioni del Movimento dei focolari composte da sacerdoti e laici che operano a servizio della Chiesa locale, animandone le strutture e attività con la spiritualità dell’unità.

Argomento di scottante attualità perché il cammino del dialogo, lanciato dal Concilio Vaticano II e già delineato nell’enciclica Ecclesiam suam di Paolo VI ed in altri documenti del magistero, non sempre ha trovato piena attuazione nelle comunità parrocchiali e diocesane, dove esistono tuttora prevenzioni e paure che lo frenano: prevenzioni che nascono da pregiudizi antichi, da immobilismo, da forme di integrismo e di proselitismo; paure perché si teme che il dialogo possa affievolire la fede e portare ad un sincretismo religioso. Eppure il dialogo vero, soprattutto se fondato in una visione  cristiana della persona umana6, permane uno strumento essenziale per fomentare rapporti d’amicizia, di mutua comprensione, e giungere alla comunione nel rispetto delle differenze, eludendo scivolamenti nel relativismo e nell’annacquamento dell’annuncio della Buona Novella.

Significativa al riguardo è l’esperienza di dialogo del Movimento dei focolari: un’esperienza valida, riconosciuta tale dalla Chiesa e ormai comprovata da molti anni.         

Suo fondamento è l’icona di Gesù crocifisso e abbandonato: colui che ha aperto la via al dialogo universale, colui che ha svelato la radicalità del dialogo intimo della SS. Trinità. Tema questo che, nel suddetto Congresso, è stato approfondito da Chiara Lubich parlando di «Gesù abbandonato, via maestra per una comunità in dialogo». Con sapienza e chiarezza ha guidato passo passo i partecipanti a penetrare nell’abisso del mistero del suo abbandono, ed ha spalancato orizzonti sorprendenti mostrandone l’incidenza nei dialoghi che il Movimento dei focolari sta realizzando.

Da notare la piena consonanza con quanto il S. Padre scrive in una sua lettera ai vescovi amici del Movimento dei focolari: «L’amore al crocifisso, contemplato nel momento culminante della sofferenza e dell’abbandono, costituisce la via maestra non soltanto per rendere più effettiva la comunione a tutti i livelli della compagine ecclesiale, ma anche per aprire un fecondo dialogo con le altre culture e religioni»7. 

Una introduzione a questa prospettiva è stata la sintesi del cammino di dialogo delineato nei documenti pontifici e attuato nella vita della Chiesa, dal Concilio Vaticano II alla recente Giornata di Assisi, magistralmente presentata da Mons. Piero Coda, professore  all’Università Lateranense.

Le caratteristiche che il dialogo assume quando è attuato secondo la spiritualità di comunione tipica del Movimento dei focolari e i frutti che esso porta, sono emersi dalla tavola rotonda con gli incaricati nel Centro del Movimento per ciascuno dei quattro dialoghi.

Nel dialogo all’interno della propria Chiesa, Silvano Cola ha messo in rilievo l’impegno del Focolare, in particolare dopo l’incontro dei Movimenti col Papa a Roma nella Pentecoste ’98, nel suscitare e favorire una sempre maggiore comunione fra i Movimenti e i frutti maturati dalle varie Giornate fatte a questo scopo. A livello parrocchiale è stata di luce l’esperienza della comunità di Vargem Grande Paulista (Brasile) dove i vari Movimenti, e sono una dozzina, collaborano in fraterna armonia.

Sulla ricca esperienza ecumenica del Movimento ha parlato Gabriella Fallacara, facendo notare come la spiritualità dell’unità sia una spiritualità ecumenica che suscita il dialogo del popolo, il dialogo della vita, portando così un nuovo elemento di unione fra coloro che la vivono. Una prova del riflesso che ne deriva nelle comunità parrocchiali delle varie Chiese ove essa è vissuta, si poteva cogliere dall’esperienza forte ed incisiva del sacerdote anglicano Christopher Evans dell’Inghilterra.

L’ascolto, il farsi uno, il vivere l’altro, cogliere i “semi del Verbo”, vivere la “regola d’oro”, sono alcune delle sfaccettature che Natalia Dallapiccola ha messo in luce nel dialogo interreligioso. Un dialogo questo che investe anche comunità nelle quali in passato neppure se ne prospettava la possibilità, ma che diventa sempre più attuale nel contesto multiculturale in cui oggi vengono a trovarsi. E già in tante parrocchie, come  ha mostrato quella di S. Lucia a Verona, sono nate iniziative e attività per fomentarlo.

Di grande rilievo per le comunità parrocchiali e diocesane l’esperienza fatta dal Movimento dialogando con persone di convinzioni non religiose. Troppo spesso nelle nostre  parrocchie si spendono tante energie per curare le persone che frequentano la Chiesa e non si pone altrettanto impegno per andare incontro a coloro che non hanno una fede religiosa e che, anche nei Paesi di tradizione cristiana, stanno diventando la maggioranza. Arnaldo Diana ha mostrato quali siano i punti di contatto per un fecondo dialogo anche con queste persone, che sono sensibili ai valori umani, sono pronte a impegnarsi a fondo per promuoverli e a volte dimostrano una generosità straordinaria. Uno stile questo che apre nuove prospettive all’azione pastorale delle parrocchie, orientandole ad un atteggiamento di apertura e comprensione che riscopre e mette in luce i lati positivi che sottendono la mentalità laica e positivista di tante persone del nostro tempo. Ne ha dato una testimonianza incisiva la parrocchia del Corpus Domini di Carpi.

Nel contesto del Congresso non poteva mancare una riflessione puntuale  sulla parrocchia. L’ha offerta il card. James Francis Stafford, Presidente del Pontificio Consiglio per i Laici, che ha presieduto la celebrazione della S. Messa il sabato 20 aprile. Nell’omelia ha messo in rilievo l’importanza della parrocchia quale segno del Regno di Dio già presente fra noi, luogo della formazione dei laici, della celebrazione eucaristica e della speranza escatologica dove il popolo di Dio, chiamato alla santità, vive in preparazione del “Signore che viene”.

Il Congresso si è concluso domenica 21 in piazza S. Pietro con la benedizione e il saluto del S. Padre dopo il Regina Coeli.

Un Congresso vivo, contrassegnato dalla gioia, dall’entusiasmo, dal clima di intenso amore fraterno e d’unità, che faceva sperimentare la presenza di Dio e testimoniava la maturità degli animatori parrocchiali e diocesani. Da rilevare anche l’apporto dato dal complesso musicale “Hope” del Movimento diocesano di Fermo e da momenti artistico-musicali fra cui una splendida danza coreana. 

A conferma dell’altissima atmosfera creatasi, citiamo almeno una fra le tante impressioni dei partecipanti: «In questi giorni ho compreso come il dialogo sia la vita della Trinità e come questa vita è il timbro della nostra natura creata. Siamo immagine di Dio, e mi sento, dopo questi giorni straordinari, tutto proteso a rianimare la comunione anche nella mia parrocchia. Grazie per averci lanciato in questa meravigliosa avventura. Grazie soprattutto per averci fatto comprendere la via per suscitare comunità in dialogo: è fare di Gesù abbandonato, finestra aperta sulla comunione trinitaria, “la stella del nostro cammino”, come ha detto Chiara»8.

Adolfo Raggio

 

 

1)     È il titolo che J.M.R. Tillard  ha dato al libro a cui si sentiva più legato (trad. it. EDB, Bologna 2000).  

2)     Scrive Tillard: «La mia esperienza nel movimento ecumenico mi ha insegnato che il dialogo non può durare e ben presto muore se si trasforma in semplice relazione di convivialità». (Ibid., p. 8).

3)     Quando si instaura il dialogo l'altro non è più qualcuno di cui spontaneamente diffidare o aver paura (Ionesco), presenza che dà fastidio e da evitare o, secondo la nota espressione di Sartre, “l'altro è l’inferno”, ma un partner chiamato a diventare ” e “sorella” in umanità. (cf ibid., pp.11-12). 

4)     Scrive Chiara Lubich: «Penso che il dialogo superi di gran lunga la tolleranza... Il dialogo è tutta un’altra cosa: è  un arricchirsi reciproco, è un volersi bene, è un sentirsi già fratelli, è un creare una fraternità universale già su questa terra». (Michel Vandeleene [a cura di], Chiara Lubich, la dottrina spirituale, Mondadori, Milano 2001, p. 384).

5)     Il Congresso si è svolto al Centro Mariapoli di Castel Gandolfo (Roma)  il 19-21 aprile 2002, presenti  2250 animatori provenienti da oltre 30 nazioni dei vari continenti.

6)     Martin Buber fa notare che «ogni singolo tu è una breccia aperta sul Tu eterno».  (Il Principio dialogico e altri saggi, S. Paolo, Milano 1993, p. 111).

7)     In “L’Osservatore Romano”, 15/2/2001, p. 5..

8)     Cf infra, p. 16.