“Onirici” e “Unisono”: due complessi musicali composti da utenti di servizi psichiatrici

 

La musica risana

a cura di Roberto Marchioro

 

Un gruppo di utenti di servizi psichiatrici e di giovani volontari appassionati di musica stanno portando avanti un’esperienza valida anche dal punto di vista terapeutico. Alcuni dei giovani animatori, come Giovanni e Karla che partecipano alla narrazione dell’esperienza, appartengono ai Gen, diramazione giovanile del Movimento dei focolari.

I primi passi

Lavorando da 17 anni in questo campo (5 come neurologo e 12 come psichiatra) mi rendo conto che il trattamento delle persone con disturbi psichiatrici gravi necessita di una visione globale dell’essere umano, in cui vengano considerate e valorizzate tutte le sue componenti, non solo quelle istintive o “organiche”, ma soprattutto quelle affettive, relazionali, sociali e anche spirituali e artistiche.

L’esperienza in atto nei nostri due gruppi musicali a Parma sta suscitando un notevole interesse perché punta a questa visione integrale della persona.

La mia esperienza inizia tre anni e mezzo fa, quando mi trasferisco da una città del Centro Italia a Parma, una città piccola, ma vivace e famosa non solo per le industrie alimentari, ma anche per essere ai vertici della qualità di vita nella nostra nazione.

Da allora sono nel servizio sanitario pubblico – precisamente nell’Azienda Sanitaria Locale o ASL – e lavoro in un ambulatorio in città e in una residenza per malati psichici gravi.

La situazione di Roberto

Tra i 20 ricoverati affetti da svariate patologie psichiatriche conosco Roberto di 32 anni, affetto da schizofrenia paranoica. Egli ascolta musica da solo tutto il giorno con le cuffie ad alto volume per non sentire le “voci” che gli provocano tanta angoscia. Ma questo non risolve i suoi problemi, anzi lo isola ancor più dal contesto sociale in cui vive. Prima di ammalarsi suonava bene la chitarra con altri, ma l’effetto della malattia, insorta sei anni prima del mio arrivo, era stato così devastante che aveva perso qualsiasi stimolo a ricominciare, rifiutando ogni proposta di tipo riabilitativo o risocializzante.

Il primo fattore terapeutico è stato per me, come psichiatra, quello di mettermi in silenzio per ascoltare il suo silenzio, per cogliere il significato profondo delle poche parole da lui pronunciate. Poi prestare attenzione ai suoi interessi, provare gusto per tutto quello che ci accomuna; sentire la sua stessa difficoltà nel sopportare persone care molto invadenti e pessimiste. Ci accorgiamo di avere qualcosa in comune: la passione per la musica rock, ma lui è più bravo di me. In passato suonava con la chitarra elettrica i pezzi più famosi dei Pink Floyd e di Eric Clapton, io solo li ascoltavo. Questa musica – come era avvenuto per tanti milioni di giovani – ci aveva fatto sognare.

Scatta tra noi due qualcosa, un’intesa profonda: io potevo dare la mia competenza nel campo terapeutico, lui il suo sogno raccontato con la musica.

La situazione di Angelo

Il secondo paziente, grazie al quale è cominciata quest’esperienza, è Angelo, anche lui residente in quella vecchia struttura psichiatrica, ora chiusa perché indecorosa. Ha 30 anni ed è affetto da lieve oligofrenia e disturbi del comportamento, per cui di fronte a problemi piccoli (secondo noi) ha reazioni molto eclatanti. Spesso diventa aggressivo e chiede il ricovero in una struttura più protetta; solo che a volte lo chiede ad alta voce, altre volte rompendo qualcosa o scaricando la sua insoddisfazione contro qualcun altro.

C’è una forte tensione in lui e intuisco che tali reazioni emotive incontrollate sono scatenate da semplici dinieghi o delusioni, che denotano una grave povertà affettiva.

Il suo inserimento nel gruppo musicale, sebbene sfavorito dalle sue scarse competenze in merito, è supportato da un grande entusiasmo e sta andando bene, proprio perché ha trovato un giovane volontario che, seduto di fianco a lui, gli assicura quel supporto emotivo, affettivo e quella vicinanza “fisica” che gli danno sicurezza e coraggio.

Con loro due e poi con gli altri è stato molto utile, anzi determinante, far sperimentare un rapporto medico-paziente meno distaccato, più caldo ed empatico. Inoltre cerco di finalizzare la nostra relazione non a discutere quello che non va in loro, accentuando il loro senso di fallimento, ma soprattutto a valorizzare il talento artistico che c’è in ognuno e infine a condividere con loro un progetto: quello di formare un complesso musicale professionalmente preparato e competitivo.

Non sapendo né cantare né suonare, anche se mi piace ascoltare musica, per iniziare e sostenere un’iniziativa così complessa avevamo bisogno di qualcuno che ci aiutasse. Ho quindi proposto l’idea di formare un complesso musicale a Giovanni, che ci racconta come ha vissuto questa esperienza.

Importanza dei “volontari”

Giovanni:

«Ho 24 anni e da cinque vivo a Parma e frequento il corso universitario di scienze e tecnologie alimentari.

Ho sempre avuto una forte passione per la musica, che mi ha portato a fare scelte sempre più importanti e, crescendo, più mature. Vivo la musica come fosse la colonna sonora della mia vita.

La proposta di Roberto mi ha subito interessato, in quanto da tempo desideravo che la mia passione per la musica potesse essere in qualche modo un servizio per gli altri. Avvertivo però un po’ di paura verso questo ambiente a me completamente sconosciuto. Sentivo di avere molti pregiudizi; pensavo ad esempio che questi ragazzi fossero violenti oppure che fosse molto difficile instaurare un rapporto con loro. Fidandomi però di Roberto, spostai le mie paure e mi buttai deciso in questa avventura. In seguito scoprii che il mio timore era veramente infondato.

Incominciai da solo con quattro di loro e cercai subito di impostare un rapporto di amicizia vera in un clima di reciproca fiducia, fino al punto di trascorrere insieme dei momenti in cui, smettendo di suonare, parlavamo spontaneamente dei nostri problemi. Una volta, per esempio, uno di questi ragazzi incontrò una mia cara amica e le chiese come secondo lei io stavo, perché lui mi aveva visto un po’ giù di corda, e le raccomandò di starmi particolarmente vicino.

La provvidenza e la comunione dei beni con altri gen ci aiutarono molto, all’inizio, a recuperare tutti gli strumenti musicali che ci servivano, anche se vecchi, ma funzionanti.

Nel corso del primo anno capii che dovevo distaccarmi dalla fretta di ottenere risultati immediati, ma ricominciare sempre e guardare in avanti, maturando così un senso di continuità sempre più forte. Dovevo apprezzare e valutare ogni loro piccolo miglioramento, pur deciso nel dare serietà e continuità all’esperienza.

Dopo qualche delusione in campo musicale, ma anche in aspetti molto importanti come le relazioni all’interno del gruppo, decisi di chiedere rinforzi, allargando la proposta a quattro altri gen.

La formazione del gruppo cambiò ancora diverse volte, qualcuno se ne andò perché poco interessato o discontinuo, altri pazienti, vedendoci suonare, si avvicinarono e noi volentieri li accogliemmo, finché circa un anno fa, la formazione si è definita. Ora siamo in dieci: cinque gen volontari e cinque pazienti. Ho capito, infatti, che accanto ad ogni paziente ci deve essere una persona che lo segue da vicino musicalmente, senza sostituirsi a lui.

A questo punto gli “Onirici”, superate diverse difficoltà, hanno realizzato più di una ventina di concerti, non solo in città ma anche fuori provincia come a Trento, Bologna, Reggio Emilia, ed hanno raggiunto un livello musicale e un genere di spettacolo apprezzato e piacevole per un pubblico molto vario. È stata realizzata una videocassetta di un nostro concerto e ora speriamo di ottenere un finanziamento dalla Comunità Europea per un CD audio e un video-clip».

L’esperienza va avanti

Riguardo al volontariato in psichiatria, grazie anche alla positiva esperienza di questi giovani, ora la ASL lo vede positivamente e ha deciso di incentivarlo, proponendo un corso di formazione, pagando l’assicurazione contro gli infortuni e dando la possibilità di rimborsare le spese concordate per le varie iniziative.

Quanto ai miei colleghi psichiatri e infermieri, la mia proposta è stata subito accolta con favore dal primario e in generale da tutti i medici. Naturalmente accoglienza non significa coinvolgimento, ma devo dire che due infermieri ci stanno aiutando moltissimo sotto l’aspetto organizzativo per i viaggi e la preparazione dei concerti.

Dopo i primi quattro spettacoli del 2000, il primario si mostra entusiasta e mi incoraggia a presentare il progetto e a chiedere un cospicuo finanziamento al direttore dell’Azienda Sanitaria Locale di Parma.

In Italia, ogni anno, quando si parla di deficit dello Stato subito ne viene data la colpa alla sanità, e quindi vengono operati nuovi tagli al finanziamento della sanità pubblica. Il nostro direttore dell’ASL è molto attento su questo punto. Io sono l’ultimo arrivato dei medici psichiatri, ma il primario m’incita a chiedere il massimo. Chiediamo un colloquio, presento il progetto e chiedo un finanziamento per comperare tutti gli strumenti nuovi. Il direttore è contentissimo del progetto e approva, seduta stante, tutte le richieste. Ora ogni tanto lo aggiorno. So che ha letto l’articolo pubblicato su di noi nella rivista “Città Nuova” e la tiene ancora sul suo tavolo. È orgoglioso della nostra esperienza.

Risultati

Alcuni importanti effetti che abbiamo riscontrato negli utenti sono stati:

Superamento della paura di esibirsi in pubblico e di fare fallimento. Quest’ostacolo è stato superato esponendo gradualmente il gruppo e inviando alcuni di loro in forma anonima in concerti più impegnativi.

Miglioramento dell’autostima, grazie alle ripetute prove, agli incoraggiamenti e alla verifica sul campo dei miglioramenti. Rossano diceva che ora si sente molto meglio di prima, proprio perché è valorizzato e apprezzato, tanto da incontrare persone sconosciute per strada che lo riconoscono come musicista di quel gruppo e si congratulano con lui.

Miglioramento dei rapporti con i familiari, che vedono il loro figlio non più come un fallito o un pazzo, ma come una persona che, nonostante la persistenza di alcune tematiche di difficile comprensione, nonostante alcuni fallimenti passati, sta dimostrando di avere delle buone capacità musicali e quindi di essere portatore di valori.

A livello clinico, si è notato:

Un grosso cambiamento motivazionale: è come se prima questi utenti vagassero senza meta, mentre ora hanno uno scopo importante per cui vivere.

I comportamenti devianti di alcuni, che sfociavano in abusi alcolici, spese eccessive per dipendenza patologica da videogiochi, ecc., si sono notevolmente ridotti ed essi hanno acquistato un maggiore autocontrollo.

È migliorata la socializzazione anche all’esterno del gruppo, sia a livello quantitativo che qualitativo.

È migliorata la compliance (condiscendenza) verso la terapia – tutti la continuano, anche se a dosaggi inferiori rispetto a due anni fa – e verso il primo farmaco, che è il proprio psichiatra curante.

Inizialmente si sono molto ridotti i ricoveri in reparti psichiatrici, per cui l’effetto ci sembrava quasi “miracoloso”: poi, dopo circa due-tre anni, le giornate di degenza sono tornate ai livelli precedenti. Vi è però una differenza sostanziale: i ricoveri ora sono richiesti dai pazienti stessi, quando avvertono di non sentirsi “in forma”, e durano di meno e la demissione è più rapida, in quanto c’è un grosso stimolo a tornare a suonare.

Abbiamo fatto uno studio su quali sono i sintomi che migliorano di più, usando il test B.P.R.S. (Brief psychiatric rating scale), ottenendo la conferma di un ottimo miglioramento di alcuni sintomi come l’ostilità, le tendenze suicide, il disorientamento, i sentimenti di colpa, la depressione, il pensiero insolito, l’appiattimento affettivo, il ritiro emotivo, l’iperattività motoria, la preoccupazione somatica.

Ma ciò che più ci dà soddisfazione è vedere questi ragazzi felici, contenti, vivi, in quanto hanno trovato uno scopo per cui vivere e un gruppo di veri amici con cui condividere questa passione musicale e, speriamo, altre.

Alcuni frutti

Giovanni:

«Personalmente dopo quattro anni di questa magnifica esperienza sento di aver dato molto, ma anche di aver ricevuto tantissimo. È stata per me una palestra dove ci si allena a dare proprio tutto. Ho avuto modo di farmi uno con loro, con le loro preoccupazioni, ascoltandoli attentamente.

I problemi non mi hanno spaventato o sconvolto, perché cercavamo sempre di tenere vivo l’amore scambievole, vedendo il positivo, valorizzando sempre di più le loro capacità e trasmettendo la stima che ho per loro. Non mi mancava poi l’appoggio degli altri gen, anzi ognuno di loro sta vivendo con me questa avventura.

Un’esperienza forte l’abbiamo vissuta l’estate scorsa quando siamo andati in vacanza all’isola d’Elba. Eravamo circa 600 persone tra pazienti, operatori della salute mentale e volontari di tutta Italia, per una serie di tornei di calcio e pallavolo. Noi abbiamo animato due serate con la nostra musica. Sei giorni e sei notti con questi ragazzi tanto originali, ma anche così sensibili all’amicizia e all’amore, ci hanno convinto che sono i primi a voler veramente costruire un mondo dove regni la fraternità universale».

Roberto:

«Ho cominciato a suonare la chitarra elettrica a 21 anni e mi dava molta soddisfazione. Però ho passato una crisi molto forte e non sono più riuscito a suonare. Vedevo tutto nero. Ho perso tutti gli amici e mi sono ritrovato solo, più volte ho pensato a quella cosa brutta che è il suicidio.

Poi con l’aiuto delle medicine, dei dottori, dei familiari, soprattutto della musica ho ritrovato la speranza di vivere e di andare avanti. Il mio sogno era quello di suonare davanti a migliaia di persone e grazie agli “Onirici” questo sogno si sta realizzando».

Angelo:

«Ho iniziato suonando in questa orchestra. Prima non riuscivo mai a parlare, a scherzare con gli altri, perché ero sempre impillolato di psicofarmaci, di alcool o di droga. Vivendo in questo gruppo da quasi tre anni, ho imparato a rapportarmi con gli altri, a scherzare, a giocare, a vivere».

Nuovo gruppo musicale

Karla:

«Sono brasiliana, musico-terapeuta e risiedo a Parma da un anno. Mi sono laureata in Brasile, ma non avevo mai lavorato nel campo delle malattie mentali, a parte il tirocinio nelle strutture pubbliche, che oltretutto non è stato tanto positivo.

Quando il dr. Roberto Marchioro mi ha proposto di presentare all’ASL un progetto di musico-terapia, mi sono sentita a disagio soprattutto per l’esperienza negativa vissuta con questo tipo di patologia che mi aveva procurato molte insicurezze e paure. Il progetto non si è concretizzato subito e il dottore mi ha riproposto un volontariato nel Centro di salute mentale dove lui lavora, di modo che io potessi lavorare con la musica, coinvolgendo gli utenti, conoscendoli e cercando di vincere queste mie paure personali. L’esperienza è durata tre mesi con sedute una volta alla settimana ed è stata molto positiva.

Effettivamente vedevo risultati favorevoli in pazienti più gravi, ma gli utenti affetti da disturbi psichici meno gravi, come schizofrenici compensati, chiedevano altro: volevano cantare oppure imparare a suonare uno strumento, perché l’attività musico-terapeutica per loro non era molto interessante.

Allora facendo una verifica con il dr. Roberto abbiamo pensato di provare con queste persone, che tra l’altro avevano competenze musicali, a formare un complesso seguendo più o meno l’esperienza del gruppo “Onirici”. La formazione iniziale era composta solo da donne, ma strada facendo abbiamo perduto pazienti e volontari e, non avendo noi molte abilità musicali, abbiamo deciso di aprirci e siamo diventati un gruppo misto denominato “Unisono”.

La scelta del nome è stata interessante perché quando l’ho suggerito insieme ad altri nomi, tutti l’hanno preferito. Valerio il tastierista ha detto: “È bello ‘Unisono’, perché mi dà l’idea di suonare in sintonia, di essere una cosa sola, insomma una sola voce…”.

Egli è un ex-tossicodipendente che, attraverso la musica, ha ritrovato una motivazione in più per vivere, ha scritto quattro canzoni incidendo un CD, dove canta suonando tastiera e sassofono. Ormai siamo in otto persone, di cui cinque vengono da situazioni diverse di vita e tre sono volontarie.

Altre due ragazze si sono rese disponibili per aiutarmi in questo volontariato, ma non è stato facile con loro perché non hanno una motivazione ideale. Questo a volte mi ha fatto provare una sensazione di solitudine, stanchezza e demotivazione. In questi momenti, insieme a Roberto, abbiamo ravvivato l’impegno di vivere l’arte di amare, che ha trasformato ogni difficoltà in una pedana di lancio per continuare con impegno il nostro lavoro. Oggi una delle due ragazze, da anni lontana dalla vita della Chiesa, partecipa con altri giovani agli incontri mensili promossi dal Movimento dei focolari per illuminare la propria vita col Vangelo.

Ad un certo momento abbiamo proposto al nostro gruppo di visitare la cittadella dei focolarini a Loppiano (Firenze) il 1° maggio, quando si ritrovano lì migliaia di giovani per una giornata di testimonianza e di vita evangelica. La visita ha senz’altro toccato ognuno a suo modo e li ha aiutati a conoscersi reciprocamente e ad approfondire il rapporto di collaborazione e amicizia.

La mia riflessione finale è che se la musica è un linguaggio universale e l’amore è  così essenziale per ogni essere umano, le due cose messe insieme si completano e possono veramente potenziare tanti aspetti della vita umana, soprattutto se si cerca di costruire un rapporto di comunione.

Un mese fa abbiamo debuttato nella città di Imola e il momento più forte è stato quando ci siamo allontanati da tutti per fare insieme una preghiera e per un momento di rilassamento. Tutti hanno partecipato e qualcuno ha detto che in quel momento ha buttato via molte emozioni negative. Infatti sono entrati nel palco meno ansiosi e più sicuri.

Patrizia, la cantante che tra l’altro soffre di epilessia ed era stata in coma un mese prima, era entusiasta e ha detto: “Non stavo bene questa settimana, ma ho detto al dottore che sabato dovevo cantare, perciò se avessi dovuto essere ricoverata per un controllo, doveva farlo da lunedì in poi”.

Adesso dobbiamo andare avanti. Ho imparato che un laboratorio musicale può portare al gruppo effetti benefici importanti, così come la musico-terapia, e che se faccio volontariato non svaluto la mia professionalità, anzi cresco come dono di me stessa agli altri e imparo a cogliere il centuplo che Dio mi fa arrivare attraverso di loro; tanto è vero che poco tempo fa è stato approvato dalla ASL il mio progetto iniziale di musico-terapia».

Conclusione

Dalla nostra esperienza con questi due complessi musicali ci sembra di poter dire che l’approccio psicologico relazionale, come intuito da Chiara Lubich e approfondito in questo Congresso, appare molto utile anche nel rapporto con i pazienti affetti da grave patologia psichiatrica.

La musica è un ottimo strumento comunicativo, che crea nuove relazioni e legami, al di là delle storie precedenti di ognuno. Anche se non si hanno basi molto approfondite di musico-terapia, i risultati possono essere positivi.

L’esperienza di gruppo mi sembra fondamentale, un gruppo in cui tutti sono paritetici, perché tutti hanno qualcosa da donare e qualcosa da ricevere, in vista di un obiettivo comune.

Il contatto con altri giovani stimola i pazienti a dare il meglio di sé ed essendo l’ambiente molto aperto e disponibile, si superano facilmente le diffidenze reciproche e si riesce a sperimentare un buon inserimento sociale.

Il miglioramento soggettivo della qualità della vita, fino alla guarigione clinica e al reinserimento sociale dei nostri pazienti più gravi, può talvolta sembrare una chimera, ma questa piccola esperienza dimostra che molto si può fare per incamminarsi in quella direzione.

 

a cura di Roberto Marchioro