La psicoterapia messa a servizio della promozione umana e sociale

 

Prima di tutto creare rapporti

di Maria Inês Juliãn

 

Maria Inês dirige la Clínica Psichiátrica dell’Ospedale Sant’Ivo in Belo Horizonte, Brasile. È psichiatra e psicanalista e coordina nella sua città una ONG chiamata “Associazione di appoggio sociale”.

I primi passi

Guidavo la mia macchina, quando ad un incrocio ho dovuto fermarmi al semaforo. Di solito scambio qualche parola con i venditori ambulanti che cercano di smerciare qualcosa. Quel giorno ho trovato João che vendeva giocattoli di legno fatti da lui. Osservai attentamente gli oggetti di una rifinitura impeccabile ed ho fatto l’elogio del suo lavoro. Lui mi ha risposto, dicendo: «Sai qual è il mio sogno più grande? Insegnare ai bambini della favela a costruire questi giocattoli». Ed io ho risposto subito: «Se questo è il tuo sogno, non è molto difficile realizzarlo. Io lavoro qui vicino nel Centro Sanitario del Comune. È da un anno che facciamo officine d’artigianato, bigiotterie, musica, ecc. Tutti gli abitanti della favela della montagna sono nostri invitati. C’è tanto da fare, João, vieni a sognare con noi».

Così è nata la nostra storia, fatta passo dopo passo. Ed è incominciata proprio con la morte di Marlì Justina, vittima di suicidio. Marlì era collegata al nostro servizio come paziente depressa. Ho cercato di sapere cosa era successo e ho scoperto che aveva cercato aiuto, aveva chiesto che qualcuno la portasse al Centro Sanitario, ma non aveva trovato nessuno. Sono rimasta sconvolta, dato che la pratica della solidarietà era sempre stata presente tra loro. Qualcosa, dunque, stava cambiando, le persone diventavano sempre più povere in tanti aspetti.

Il contesto

La città di Belo Horizonte ha circa due milioni e mezzo d’abitanti. Il Centro Sanitario dove lavoro da quasi otto anni accoglie gli abitanti di sei villaggi che appartengono alla popolazione della parte collinosa con un totale di 46 mila persone (10% della popolazione delle favelas della città). Secondo le autorità del posto, l’area della regione metropolitana di Belo Horizonte costituisce il maggiore raggruppamento di persone denutrite e povere e tra loro si registra l’indice più alto di omicidi. E poiché ci sono ancora degli spazi non occupati, la tendenza è che questa popolazione possa aumentare, moltiplicando il numero di persone depresse.

Coloro che vengono a trovarmi non sembrano disposti a parlare di questi argomenti. Vogliono delle medicine o una soluzione immediata, però si sentono sempre socialmente esclusi. Chiedono degli attestati di malattia per non lavorare od una pensione come modo più facile per sopravvivere.

A me sembrava che il problema non era proprio questo, dato che, purtroppo, la medicina, nella maggior parte delle situazioni, non è il “rimedio”.

Durante alcuni mesi, nelle visite mediche che erano fatte nell’ambulatorio, ho lanciato una proposta a ciascuno dei pazienti: io avrei dato delle medicine, soltanto se prima loro si fossero trovati insieme e avessero parlato dei loro problemi e avessero cercato loro stessi le soluzioni.

Le persone si impegnano

Abbiamo iniziato con dei piccoli gruppi, che poi sono aumentati in modo progressivo. Ho costatato che la maggiore parte di queste persone che prendevano delle medicine, associava la propria sofferenza e l’ammalarsi alla mancanza di lavoro e d’opportunità d’inserimento sociale.

Avevo la sensazione di dover frenare una valanga perché il numero di coloro che cercavano lo psichiatra era spaventoso. A volte avevo l’impressione che, se non fossi stata attenta, sarei potuta diventare come una segretaria che deve solo mettere il timbro alla prescrizione medica.

I pazienti stessi si sono poi organizzati per essere visitati al Centro Sanitario in un certo ordine. Hanno creato un’agenzia di lavoro per avere un documento e dare lavoro a coloro che lo desideravano. Con degli oggetti regalati da loro e da altre persone hanno aperto un bazar permanente.

Una paziente che raccoglieva la spazzatura aveva un figlio che praticava la lotta libera. Questi si era sposato con una donna svizzera e si era trasferito in Europa. Questa paziente ha potuto avere un viaggio in aereo per partecipare al matrimonio del figlio. Quando è tornata ha riportato tre valigie piene d’oggetti per il bazar.

L’enormità del problema

Il problema più grave di queste zone è quello della violenza. I capi del traffico di droga sono i padroni che da una parte proteggono e dall’altra sottomettono gli abitanti delle favelas. Ci sono diverse gang e, perciò, diversi capi. Queste bande si contendono tra loro il potere. Per i tossicodipendenti e gli spacciatori è molto difficile uscire dalla droga, perché verrebbero perseguitati fino alla morte.

Tutti conoscono la legge della favela, ma nessuno osa dire qualcosa per paura delle rappresaglie. Anche noi professionisti che viviamo in questo mondo dobbiamo partecipare a questo patto del silenzio...

In una società nella quale le differenze sociali sono così grandi, la violenza è presente e minaccia tutti. Il paradosso sta nel fatto che, per fortuna, i trafficanti proteggono sempre quelli che aiutano il popolo, come il sacerdote e alcuni di noi.

Promuovere le loro capacità

Gli incontri settimanali hanno provocato uno scambio d’informazioni sulle capacità e l’interesse delle persone con la finalità di scoprire quelle cose che possono produrre degli utili.

Ho costatato che c’erano delle persone con competenze in tanti campi: cucina, edilizia, forno per il pane, acconciatura dei capelli, elettricità, informatica, e poi nell’ambito dell’amministrazione, della musica, della fisioterapia, della radiodiffusione, della falegnameria, dell’educazione, ecc. Ed erano tutti disoccupati.

Altri abitanti di quest’agglomerato sapendo, tramite i partecipanti dei gruppi, ciò che era successo, hanno manifestato il desiderio di partecipare a questa proposta. Oggi sono circa 400 le persone che si incontrano mensilmente.

Altri si uniscono a noi

Un momento decisivo è stato quando alcune persone che appartenevano ad un’altra condizione sociale, si sono unite a noi come volontari. Volevano fare qualcosa anche loro, ma non sapevano come. Sono medici, avvocati, ingegneri, musicisti, assistenti sociali, dentisti, pubblicisti, sarti, nutrizionisti, filosofi, studenti di medicina, di diritto, di ingegneria, di biblioteconomia, di sociologia, di storia, ecc. Quest’enorme gruppo ha preso contatto con diverse realtà della regione per aumentare le possibilità di cambiamenti sociali. Il parroco si è mostrato disponibile a collaborare, offrendo spazio e aiuto concreto.

Abbiamo aperto un centro di musica con quelli che arrivavano per i raduni di gruppo. Una musicista e una cantante delle favelas hanno formato dei cori. Alcune studentesse di diritto dell’università più vicina hanno iniziato l’assistenza giuridica con la supervisione di uno studio di avvocati amici. Mediante contatti via internet hanno convocato dei volontari per lavorare insieme a loro. Sono venuti in aiuto ben 15 avvocati, alcuni giovani laureati e diversi laureandi.

Tra loro c’è chi è specialista in diritto di famiglia, chi nel tributario, chi nel penale e uno in particolare ha preso in considerazione le questioni dei tossicodipendenti. Hanno poi proposto un lavoro educativo con i bambini, prendendo in esame i vari problemi della cittadinanza. Oltre a questo si sono associati ad un tribunale per cause sommarie. Tutto questo lavoro viene svolto al Centro Sanitario.

Abbiamo costituito una ONG per poter ottenere finanziamenti. Inoltre abbiamo avviato una proposta per stabilire un accordo con la vicina università, in vista di una integrazione tra quegli studenti e professori che svolgono servizi nelle aree della psicologia, del diritto, del design, della comunicazione e del servizio sociale. Cerchiamo pure di fare altri accordi con scuole di altri Paesi.

Ci hanno offerto una sala dove avrà luogo la nostra sede. In più potremo utilizzare i loro impianti. Non si potrebbe trovare un posto migliore di questo, giacché oltre ad essere pubblico è anche ricco di risorse naturali. È un’area rispettata sia dagli abitanti del posto che da quelli delle favelas. Un’area sicura che potrà rendere visibile il nostro progetto.

Quale il segreto del “successo”?

Mentre tutto sta andando avanti, mi domando quali siano state le condizioni che hanno favorito l’incontro di questi due gruppi così diversi socialmente.

Cos’è che ha permesso di collegare tante persone in un lavoro completamente spontaneo e senza retribuzione?

Cosa pensare del desiderio di comunione sia da parte dei volontari, sia da parte delle persone povere delle favelas?

Sembra che la nostra cultura capitalista abbia sviluppato, al posto della ottocentesca sindrome isterica, quella del disturbo dell’alimentazione negli aspetti dell’anoressia e della bulimia. Questa malattia moderna indicherebbe una difficoltà di identificazione, i cui effetti nella cultura sono: la morte della convivenza, la debolezza della funzione di scambio simbolico e la rottura del legame sociale, oltreché la chiusura in se stessi, al di fuori della dialettica propria della vita. Nell’anoressia le necessità vengono negate, ma viene preso in considerazione il culto dell’immagine. Nella bulimia invece si cerca di nascondere i vuoti in forma irresponsabile, mediante un consumo sfrenato, senza limiti, che conduce all’insoddisfazione e agli squilibri. In tutti due i casi comunque, c’è la rottura del legame sociale con l’altro.

Come imparare ad affrontare queste sfide? Da giovane, con l’esperienza che facevo nel Movimento dei focolari, avevo imparato e sperimentato che Dio è Padre e noi siamo tutti fratelli: dobbiamo perciò impegnarci per gli altri. Non sta qui il segreto ultimo dei frutti che stiamo raccogliendo?

 

Maria Inês Manna Julião