La scoperta dell’amore:

sua importanza per il bambino e in ogni età della vita

 

I cardini fondamentali per un sano sviluppo evolutivo

di Ezio Aceti

 

Quali i presupposti e le caratteristiche delle relazioni che facciano crescere un essere umano maturo e realizzato? L’autore le descrive con competenza, in un’efficace sintesi, semplice ed esperienziale.

Lo sviluppo umano appare come un processo permanente e continuo che investe tutte le varie dimensioni della persona.

Esiste un’enorme differenza tra il piccolo essere indifeso, vulnerabile, che cresce nel corpo della madre, e il bambino che già ad un anno di vita è ben avviato verso l’acquisizione del linguaggio e l’autonomia del movimento.

Sappiamo, infatti, che lo sviluppo individuale è caratterizzato da un insieme eterogeneo di influenze genetiche (e/o ereditarie) e di influenze ambientali che interagiscono reciprocamente.

È grazie a questa interazione e ad una serie di leggi inserite nella natura dei rapporti dialogici, che pian piano il bambino sarà in grado di raggiungere la capacità non solo di vivere e gestire le emozioni autonomamente, ma anche quella di oblazione e sacrificio di sé, per una realtà più grande.

Se solo diamo uno sguardo sintetico alle tappe di sviluppo della socialità, ci accorgiamo come il raggiungimento della forma più evoluta può avvenire solo mediante esperienze significative che il bambino prima, l’adolescente poi e la persona matura dopo, possono vivere in piena sintonia con l’ambiente e le persone con le quali vengono in contatto.

I quattro cardini dell’evoluzione

I più grandi studiosi dell’infanzia concordano sul fatto che qualsiasi evoluzione necessita di alcuni ingredienti fondamentali, senza i quali, la personalità che andrà strutturandosi, presenterà carenze più o meno gravi.

Carenze affettive, povertà di stimoli, ambienti carichi di aggressività, abbandoni primari, sono quasi sempre cause principali di bambini e adolescenti fortemente disagiati, con comportamenti carichi di ansia, e spesso con tendenze devianti e asociali.

Occorre tuttavia precisare che è sempre possibile, per ciascuna personalità, trovare opportunità di crescita, in quanto anche in condizioni difficili, il passaggio da uno stadio meno evoluto ad un altro più evoluto è presente sin dalla nascita in ogni essere umano.

Questa legge evolutiva non riguarda solo l’aspetto fisiologico della persona, ma anche quello psicologico e spirituale.

Tuttavia non vogliamo, per ora, soffermarci su questa legge evolutiva, ma riflettere sugli ingredienti basilari caratteristici di ogni presupposto per una buona evoluzione.

I primi due cardini:
l’ascolto e la parola

L’individuo è un essere sociale. Il paradosso della condizione umana è che l’individualità si realizza solo nella relazione e che il soggetto non esiste al di fuori del riconoscimento reciproco con l’altro da sé.

Tutto ciò ha come conseguenza la totale interdipendenza degli esseri umani non solo durante la loro vita adulta, ma sin dalla nascita.

Un neonato non potrebbe vivere senza le cure della madre o di un adulto, così come nessuna relazione potrebbe esistere senza qualcuno che ascolti, tenendo conto dell’altro.

Françoise Dolto, la famosa psicoanalista francese, ha scritto fiumi di pagine sull’importanza dell’ascolto e della parola come strumenti indispensabili per la crescita del bambino.

Per la Dolto, il dialogo, inteso nel significato esistenziale di donazione incrociata di esistenza e di senso, rappresenta il fulcro centrale dell’educazione.

L’ascolto

Porsi all’ascolto è pertanto costitutivo dell’altro e della relazione, momento inaugurale di ogni scambio vero, condizione necessaria di ogni educazione.

Tuttavia spesso questo ascolto può essere disturbato dalla presunzione o dalla superiorità.

Se ci soffermiamo sulla diade madre-bambino, spesso ci imbattiamo in atteggiamenti che testimoniano purtroppo il presunto potere da parte dell’adulto, retaggio di una mentalità arcaica e retorica.

Quando il genitore crede di saper tutto e si ritiene depositario di alcune verità, allora la diade col figlio non può portare frutti, ma crea spesso dipendenza e sofferenza.

Occorre allora pensare il bambino non come un piccolo adulto che necessita di essere istruito e carente in tante sue manifestazioni, bensì, invece, come un “pianeta sconosciuto” e “nuovo”, “affascinante”, dal quale ci si appresta a conoscerne il funzionamento e la ricchezza.

Quante volte i genitori tendono inconsciamente ad attribuire ai più piccoli una serie di emozioni, pensieri e sentimenti che per la maggior parte delle volte non sono veri.

Tali emozioni e sentimenti sono solo alcune proiezioni dei sentimenti più nascosti dei genitori, i quali hanno desideri e aspettative particolari.

Solo un ascolto profondo può portare i genitori a prendere atto dei pensieri del bambino, favorendo così un dialogo profondo.

Carl R. Rogers, nel suo libro La terapia centrata sul cliente, parla di una “forza di base” presente nel cliente, definita “tendenza attualizzante”, considerata come la forza essenziale che è all’origine della crescita e dello sviluppo di ogni persona.

L’ascolto profondo è quindi il presupposto per un rapporto empatico fra la madre e il bambino, per una comprensione profonda e reciproca, che accompagnerà per tutta la vita la relazione con gli altri simili.

Se tutto ciò è vero per il bambino, a maggior ragione lo è per l’adulto.

Quante volte, ad esempio, ci è capitato di avere un problema, una preoccupazione, e di confidarla a qualcuno che ci ha ascoltato in modo pieno e profondo, e di avvertire poi sollievo, leggerezza, forza e una nuova luce per continuare.

La parola

Altro cardine basilare della relazione e presupposto per lo sviluppo è la parola.

Occorre sempre parlare al bambino!

Il neonato comprende, al di là del contenuto del messaggio, che lo si considera una persona umana e che non s’intende manipolarlo come una cosa.

La “parola”, infatti, sostiene, umanizza, mentre il silenzio e l’inganno animalizzano il bambino che si sentirà escluso dalla comunicazione.

Sempre secondo la Dolto, la parola che aiuta il bambino è quella che viene pronunciata in una situazione di dialogo, nella quale l’adulto sappia ascoltare rispettosamente il più piccolo, lasciando che quest’ultimo possa esprimere il desiderio più profondo che è quello di essere accolto e aiutato a crescere.

Parlare è dunque un’esigenza fondamentale e lo è sempre per tutti gli esseri umani.

È per questo motivo che tutte le cose che riguardano un bambino, le buone, come le meno buone, devono essere dette.

Ogni genitore, al di là di ogni buona intenzione, non dovrebbe mai ingannare il bambino, il quale ha bisogno di un’attenzione priva di interferenza.

Se la parola è vera e frutto dell’ascolto, allora è anche efficace e diventa nutrimento per la crescita.

La parola inoltre “umanizza” ogni sofferenza, dando la possibilità a chi ne è colpito di gestirla e di viverla in modo non traumatico.

Immaginiamoci un bambino che vive un rapporto felice con il nonno. Talvolta succede che, alla morte del nonno, i genitori, con l’intento di preservare il bambino dalla sofferenza, nascondono la verità al bambino e spesso non gli fanno vedere il nonno morto. Quanto è atroce e ingiusto tutto ciò!

Occorre invece parlare, spiegare al bambino la naturalità della morte.

È così che la sofferenza e il lutto diventano naturali, umani e dunque vivibili.

Il bambino avrà così modo di portare il nonno dentro di sé perché il distacco è stato spiegato, vissuto, umanizzato.

Un adulto affidabile agli occhi del bambino deve essere sempre sincero a se stesso e senza menzogna, e deve anche saper ammettere le proprie colpe, i propri limiti.

Ciò che l’adulto otterrà in cambio sarà la fiducia e la stima dell’interlocutore più piccolo, poiché rappresenterà per quest’ultimo, il riferimento al quale raccontare quanto gli preme.

Non tutte le parole però sono adeguate

Occorre tener conto che l’educazione è sì un processo comunicativo, ma allo stesso tempo è un processo che rende libero e autonomo.

Quindi, in sintesi, ascoltare e dire rappresentano due cardini basilari di un processo educativo condiviso.

Ascoltare e dire sempre a fronte di attese, speranze, aspirazioni, diventano allora gli elementi fondanti di un’educazione come comprensione/condivisione.

È così che l’educazione è sempre un rapporto fra soggetti.

Solo con una visione dell’altro come “altro da sé” e come “importante per me” può nascere un’autentica comunicazione.

E questo è vero per tutte le età!

L’ascolto di un adolescente, ad esempio, da parte di un adulto deve non solo essere accogliente e rispettoso, ma anche sostanziato dalla conoscenza dei problemi propri dell’età in questione, e di quelli inerenti al rapporto dialogico.

L’adolescente deve sentirsi amato per quello che è, con le inadeguatezze che incontra nel misurarsi con se stesso, con il mondo e con chi lo circonda direttamente, con le sue ribellioni e con i suoi slanci generosi, con la sua goffaggine e con la contrapposizione nei confronti dell’universo degli adulti.

Ne va da sé quindi che i genitori, in particolare, devono “continuare” ad amare il figlio non più bambino che sta loro sfuggendo, anche quando avvertono il rifiuto di quest’ultimo per le loro attenzioni.

Gli altri cardini:
il sacrificio e il sostegno

John Bowlby (1907-1990) ritiene che il bisogno di attaccamento sia la motivazione fondamentale e prioritaria dell’essere umano.

Per Bowlby l’interdipendenza tra le persone è una forza vitale per il soggetto, che rimane attiva dalla culla alla tomba.

Quest’attaccamento è, se così si può dire, genetico, ereditario, al punto tale che lo si può trovare in qualsiasi cultura.

Se con una cinepresa riprendessimo il rapporto madre/bambino nei primi giorni di vita di quest’ultimo, potremmo osservare quasi sempre la stessa scena, anche se con modalità differenti.

Vedremmo come di fronte al pianto del piccolo, la madre non solo lo tranquillizzi e cerchi di accudirlo, ma anche lo vezzeggi, lo coccoli, insomma cerchi di rinforzare il sé del bambino.

La madre, dunque, grazie al suo buonsenso, è in grado di prendere su di sé il pianto e l’angoscia del piccolo, restituendogli in cambio, tenerezza, dolcezza e amore.

Il sacrificio

Questo dialogo iniziale è spesse volte spontaneo, amoroso: il bambino potrà in seguito amare perché qualcuno l’ha amato prendendo su di sé la sua angoscia.

Gli studi di Melanine Klein hanno messo bene in rilievo l’importanza di questa capacità della madre di prendere su di sé l’angoscia del bambino: un’ansia raccolta ha l’enorme valenza di non rimanere nel bambino.

Questo dolore comporta sempre la possibilità che qualcuno possa rispondere.

La madre, allora, sacrificando sé, risponde a questo richiamo, nutrendo d’amore il neonato.

Questa capacità oblativa della madre e del padre, rappresenta il presupposto fondamentale affinché il bambino comprenda che la nascita non rappresenta un rifiuto, bensì una opportunità straordinaria: la sua vita e la sua identità come essere umano.

Certo è che se questa “angoscia” primaria non ottiene risposta, la crescita può essere difficoltosa e irta di ostacoli.

La casistica sulle complicazioni dovute all’abbandono primario è ricca e purtroppo testimonia come una tale situazione possa evolvere in adulti spesso disagiati e a rischio di devianza.

La natura ha inscritto in ogni essere umano un mezzo per richiamare l’attenzione dell’altro: il grido.

È con il grido che il neonato richiama la madre per calmarsi.

È con il grido che ogni bambino si rivolge al padre per ottenere protezione dai cattivi.

È con il grido che ogni essere umano lancia la sua invocazione per preservare la sua integrità.

Questo grido, espressione esterna di un bisogno profondo, trova risposta solo se qualcun altro si sacrifica per prenderlo su di sé.

È spesso la madre che sacrifica sé per accudire amorevolmente il bambino, soprattutto nei momenti più carichi di angoscia.

È il padre che spesso risponde alle paure sociali del bambino, accompagnandolo nella realtà con insegnamenti pazienti e ripetuti e a volte anche con ammonimenti appropriati, che comportano spesso pacatezza e sacrificio.

È grazie al sacrificio di tanti uomini e donne verso “gridi” disperati di tanti simili, che la società ha potuto progredire.

Di fronte ad ogni difficoltà è importante che il bambino ottenga non solo comprensione e atteggiamenti di condivisione, ma anche possibilità di crescita e opportunità di evoluzione.

L’importante è che il bambino sperimenti questo amore gratuito che comprende la capacità di sacrificio dell’adulto.

Donald Winnicot, il famoso pediatra inglese, esperto in psichiatria infantile, ritrova in questa preoccupazione materna primaria, la fonte della sicurezza e della fiducia del bambino.

Infatti, almeno per i primi mesi di vita il bambino, essendo completamente dipendente dalla madre, necessita di avere qualcuno che pensi completamente a lui.

Gli psicologi infantili dunque concordano sull’ipotesi che cure adeguate, sostegni appropriati e sacrifici pertinenti, accompagnati dall’ascolto profondo e da parole adeguate, sono ingredienti vincenti per la crescita del bambino.

Questi atteggiamenti di fondo verranno interiorizzati dal bambino ed entreranno a far parte del suo stile di vita.

Gli studi, infatti, dimostrano come fin dal primo anno il bambino “interiorizza” i genitori, portandoli in sé, insieme alle modalità relazionali e comunicative vissute.

Il sostegno

L’ultimo cardine dell’educazione è il sostegno, perché solo tramite questo supporto il bambino potrà entrare nella realtà sociale.

Non bastano genitori che ascoltano, comunicano e si sacrificano.

Occorrono genitori che sostengono il distacco del figlio, altrimenti possono comparire manifestazioni patologiche di eccessivo attaccamento come le simbiosi e le varie fobie compensatorie.

Testimonianza e libertà

È utile ricordare le parole del grande poeta libanese Gibran:

«I vostri figli non sono i vostri figli …

Sono i figli e le figlie della fame che in se stessa ha la vita…

Essi non vengono da voi, ma attraverso di voi.

E non vi appartengono…

Potrete curarli, ma non costringerli ai vostri pensieri.

Poiché essi hanno i loro pensieri…».

È per questo motivo che non possiamo rispondere a tutte le domande dei bambini. Occorre offrire esempi di vita.

Allora il sostegno consiste nell’offrire il nostro pensiero, nel proporre opportunità di crescita che il bambino e il ragazzo poi potranno tenere in considerazione per crescere ed identificarsi.

A questo proposito è significativo il pensiero del grande filosofo ebreo Martin Buber che già nel 1930 predicava la pace fra palestinesi ed ebrei. Buber dice: per un rapporto autentico l’educatore deve possedere tre qualità fondamentali:

a) deve mettersi nei panni dell’altro (che corrisponde al primo e al terzo cardine e cioè all’ascolto e al sacrificio);

b) deve comunicare all’altro ciò che sente dentro di sé (che corrisponde al secondo e al quarto cardine, cioè la parola e il sostegno);

c) infine, a secondo dell’età, deve lasciarlo libero.

Ed è questa libertà, frutto dell’amore, che lascerà nel bambino l’eredità più preziosa: la parola dei genitori dentro di sé.

Fin qui ho tracciato, in modo sintetico, i presupposti fondamentali per agevolare lo sviluppo umano.

Il contributo di Chiara Lubich

Ma Chiara Lubich ha portato qualcosa di più, qualcosa di nuovo, che non solo contiene tutti i cardini fin qui descritti, ma va oltre.

Parlando del valore della vita, ella dice: «L’essere umano ha bisogno di amore in tutte le tappe della propria esistenza e in tutte le situazioni. Così anche ogni bambino ha bisogno d’amore. Nel clima d’amore egli acquista quell’attitudine interiore, per la quale, pur essendo il centro dell’attenzione, sviluppa in sé la tensione alla comunione, fondamento di un corretto modo di incontrarsi con i prossimi».

Questo amore ha una caratteristica ben precisa: il farsi uno con l’altro!

Il “farsi uno” va oltre il “mettersi nei panni” perché porta il soggetto a tutti gli effetti a “vivere l’altro”, cioè a non vivere per se stesso, ma a condividere la vita dell’altro nelle sue gioie e dolori, interessi ed esperienze.

Tutto ciò porta, come dice Chiara, ad acquisire una dimensione globale e conduce quindi al passaggio dalla tendenza al ripiegamento su se stessi all’apertura che accoglie.

Si sperimenta così un passaggio dall’io al noi, come membra di un unico corpo di cui si è parte inscindibile, pur nella specificità di ogni singolo membro.

E mi piace concludere ancora con le parole di Chiara, che racchiudono tutto un programma per il mondo d’oggi e per il modo di vivere e di pensare per il futuro.

Lei dice: «Possiamo parlare di “riconversione” in senso collettivo del pensiero in cui l’altro è sempre presente e si cerca non un compromesso, ma qualcosa che sia comune e in cui ognuno possa rispecchiarsi».

 

Ezio Aceti