Valore psicologico del “saper perdere” per amore

 

La legge fondamentale dello sviluppo della persona

di Amedeo Ferrari

 

Come afferma Jung, il fondatore della psicologia analitica, «Gesù è il simbolo della totalità nella quale la persona si realizza pienamente», ed è presente nel fondo d’ogni essere umano1. Poiché questo fatto ha di per sé un significato psicologico e suscita ripercussioni sulla psiche umana, l’autore cerca di riscontrare nel processo di maturazione individuale, le tappe del progressivo raggiungimento della totalità di cui Gesù è l’icona.

Nel libro indù Brhadaranyaka Upanishad (I. 3. 28) si leggono questi versi:

«Dal non essere         
fammi passare all’essere,        
dalle tenebre
fammi passare alla luce,         
dalla morte   
fammi passare all’immortalità».

Il punto della psicologia

Dalla psicologia e dalla psichiatria viene spesso la domanda su una nuova immagine di essere umano, che non risulti per esempio unicamente come un gioco di forze «le cui componenti si chiamerebbero Io, Es e Super Io, oppure, come prodotto i cui fattori sarebbero le pulsioni, l’eredità e il mondo circostante»2.

Penso che una luce ci possa venire dall’antropologia nata dal paradigma dell’unità, delineata da Chiara Lubich a Malta in occasione del conferimento della laurea honoris causa, e ricordata da Silvano Cola nel suo intervento in questo stesso Congresso.

Il “perdere”
nelle tappe dello sviluppo

Il cammino di crescita dal concepimento alla maturità è la storia del comparire di un soggetto che nasce, cresce, si sviluppa nel prendere coscienza di sé, nel rapporto con gli altri, col mondo, fino al manifestarsi nella piena libertà e maturità. Questa storia è segnata da un susseguirsi di tappe, di passaggi da uno stadio ad un altro.

L’analista Margaret Mahler sostiene che dalla prima separazione da un rapporto fusionale con la madre al momento della nascita, al periodo di simbiosi con la successiva separazione, all’inizio dell’individuazione, è tutto un susseguirsi di separazioni-individuazioni3. Ogni passaggio da un’età psicologica ad un’altra, da un’identità vaga ad un’identità più definita, è segnato da un distacco, da una perdita, da un morire allo stadio precedente per entrare in quello successivo.

Altri psicologi parlano di un principio di totalità che guida l’integrazione armoniosa tra i tre universi: quello fisico, quello psico-affettivo e quello razionale-spirituale4. Essi compongono la persona e confluiscono nell’autocoscienza dell’io. Ora, il principio di totalità guida un sistema di leggi innate che in ciascun livello (organico, psicologico, razionale) fanno sì che le singole parti possano lavorare in vista del bene integrale della persona, “rinunciando” agli obiettivi “parziali”: perdendo per esempio l’esigenza di un piacere fisico immediato per un beneficio di tutto l’organismo; rinunciando ad una soddisfazione affettiva immediata in vista di un equilibrio più stabile; staccandosi da una gioia a causa di una conquista del momento, per arrivare ad una comprensione più estesa e profonda della verità.

La legge del principio di totalità non riguarda unicamente l’equilibrio all’interno dei singoli universi, bensì tra gli universi e il bene integrale della persona. C’è dunque ai diversi livelli della vita psichica un impulso ad andare oltre, una spinta alla trascendenza perché l’io possa realizzarsi sempre più. Ciò richiede l’intervento sempre più libero, cosciente e responsabile della persona

«L’uomo in realtà si rende conto che, pur rimanendo nella propria soggettività, fa parte di una realtà che lo trascende; quindi l’uomo non trova quiete in sé, ma si sente spinto oltre se stesso (…) nella misura in cui il suo essere soggettivo si apre, egli si sottrae a se stesso per essere portato oltre se stesso, ed è nella misura in cui si rende disponibile all’esigenza assoluta di questa trascendenza che sente di appartenere a se stesso, di essere un io distinto, persona»5.

Dunque la realizzazione dell’io in un’autonomia libera e matura è legata al cammino di liberazione da varie forme di schiavitù e di condizionamenti materiali, psicologici e psicosociali: come il ripiegamento su di sé o la paura d’amare per evitare possibili delusioni o dipendenze; i desideri che diventano “idoli”; l’angelismo in cui si perde l’unità bio-psicosociale dell’io; il desiderio inconscio di sentirsi onnipotenti che si manifesta nella non accettazione dei propri limiti; il ricordo condizionante delle ferite del passato; le relazioni immature e false con i genitori. C’è, infatti, il rischio che si arresti il processo vitale e di scivolare così nella regressione o nell’immaturità.

Scrive B. Lonergan: «Se la dimenticanza di sé promuove il progresso della persona, il rifiuto di essa porta il progresso al declino globale»6. E. Fromm sottolinea che se l’io entra nella logica dell’avere, del possesso, dell’io egocentrico come baricentro dell’universo, ogni suo comportamento diventa un boomerang e sono inevitabili i conflitti che portano alle varie patologie, dalla nevrosi, all’angoscia, all’alienazione7. F. Caprio, conferma che «da qualunque punto di vista si analizzi la psicologia della personalità nevrotica, si arriva sempre a un denominatore comune: l’egoismo»8.

L’unica possibilità di maturazione, dunque, dipende dal continuo passaggio dallo stadio considerato più egocentrico ad uno stadio sempre più oblativo, di dono, con l’inevitabile “perdita” di sé. Chi accetta la paura o l’angoscia della perdita afferma la vita; chi si rifugia nella vita conosciuta per evitare la paura e l’angoscia del nuovo, si blocca psicologicamente e muore.

“Saper perdere” nell’amore

«La nostra civiltà molto raramente cerca di imparare l’arte di amare – scrive Fromm – e, nonostante la disperata ricerca di amore, tutto il resto è considerato più importante: il successo, il prestigio, il denaro, il potere. Quasi ogni nostra energia è usata per raggiungere questi scopi e quasi nessuna per conoscere l’arte di amare»9.

Psicologicamente l’io non è disposto a perdere ciò che in qualche modo ha saziato la sua sete di possedere. Ha bisogno di scoprire una forte motivazione che attiri la capacità di scelta e riesca a muovere la volontà per raggiungerla. È proprio l’amore, conferma Maslow, quella forza che permette all’io di trascendersi, di tendere al suo “dover essere”10.

Una chiave di volta della proposta di Chiara Lubich per lo sviluppo della persona sta certamente nell’essere partita dalla capacità di amare, che mette in moto atteggiamenti e comportamenti motivati dall’amore; ma soprattutto nell’aver impegnato l’io a tendere all’Amore con la “A” maiuscola, come ad un ideale che permette alla persona di trascendersi.

L’amore – con quelle caratteristiche tipiche che la fede cristiana rileva in Dio –  come motivazione fondamentale sviluppa nell’io quell’energia psichica che lo spinge verso la totalità. Jung afferma che sia Gesù sia Dio sono degli archetipi, cioè realtà universali presenti nel profondo di ogni io, che guidano l’energia psichica che tende alla totalità. Se Cristo è la totalità umana, l’essere umano, per diventare pienamente tale, deve farsi Cristo11. Dunque il cammino del perdere per trascendersi, che porta alla realizzazione, se è motivato dall’amore, diventa un “saper perdere”: non è, infatti, un principio di filosofia morale o un’ascetica di rinuncia, ma un amare l’altro e Dio in modo disinteressato, che porta come effetto il fare esperienza di una vera e propria liberazione psicologica.

«In altre parole – afferma Chiara Lubich nella sua menzionata lezione in occasione della laurea honoris causa in psicologia a Malta – la liberazione dell’io da tutti i condizionamenti interiori e esteriori e, infine, il riconoscere la relatività stessa del proprio io (smettere di difenderlo, tenendolo in opposizione con Dio o con gli altri) vuol dire accettarsi senza maschere per coordinare la propria volontà a una Volontà trascendente»12.

V. E. Frankl insiste sull’essere dono di sé per raggiungere l’autorealizzazione: «Soltanto nella misura in cui ci diamo, ci doniamo, ci mettiamo a disposizione del mondo (…) realizzeremo noi stessi»13. E Igor Caruso afferma che «il passaggio dal meno perfetto al più perfetto dovrebbe approdare ad un Tu trascendente dopo aver superato l’ultimo ostacolo che impedisce la piena maturazione: il proprio io»14.

L’amore vero non condurrà allora ad una trascendenza che miri semplicemente a perfezionare se stessi, in modo ancora “centrato su di sé”. Inoltre, poiché porta con sé aspirazioni illimitate d’amare, neanche guiderà ad un tipo di trascendenza che vede come scopo ultimo il bene dei propri simili in modo filantropico, ma sarà quella forza che spinge costantemente verso una trascendenza che, rivolta all’infinito, trova la sua vera meta solo in Dio e nel Suo Amore15.

Il modello del saper perdere

Ci sono approcci psicologici diversificati riguardo al problema del dolore o della negatività che può arrestare il processo di sviluppo della persona. Nella visione freudiana la sofferenza è accettata come un destino tragico davanti al quale l’essere umano non ha altra possibilità che una stoica sopportazione, in una visione che richiama alla mente la figura mitica di Sisifo, condannato a ripetere all’infinito sempre la stessa fatica. Al contrario per alcuni psicologi umanisti (p. e. Ro-gers) il dolore è unicamente la conseguenza degli sbagli dell’essere umano e come tale andrebbe eliminato, visione che ricorda l’altra figura mitica di Prometeo che, proiettato verso un futuro senza limiti, giunge a rubare il fuoco agli dèi16.

Perls e Goodman vedono nel dolore un passaggio per una crescita psicologica17. Il rifiuto del dolore connesso alla paura del fallimento può provocare l’arresto dello sviluppo, così come l’apertura ad esso contribuisce ad un possibile superamento dell’esperienza del dolore. Per alcuni psicologi della corrente esistenziale, in particolare per Frankl, «nessuna situazione della vita è realmente priva di significato»18.

L’essere umano ha sempre e comunque la possibilità di vivere un’esperienza capace di trasformare ogni sofferenza, ogni senso di colpa, la morte stessa, in conquista, in una spinta alla trascendenza da sé.

Nella motivazione della laurea h. c. in psicologia a Chiara Lubich, viene evidenziato l’originale contributo, per una visione integrale della persona nel campo della psicologia, che lei ha offerto per «la valutazione positiva del dolore e di ciò che è negativo nella storia personale e collettiva».

Ha avuto, infatti, il coraggio “psicologico” di proporre come modello supremo a cui guardare, non solo per percorrere tutto il cammino di liberazione da tutte le schiavitù, ma anche per realizzare il perdere più intimo e profondo, il perdere se stessi, il perdere il proprio limite: Gesù, che sulla croce sperimenta la drammatica realtà del fallimento e della morte. Egli accetta, assume e trasforma tutto in sacrificio d’amore al Padre, dando così significato ad una situazione irragionevole ed assurda.

Chiara intuisce, infatti, che in Gesù crocifisso che grida l’abbandono, l’amore e il dolore combaciano, sono come due facce della stessa medaglia. Ogni dolore è un volto ed un’espressione di quello del Crocifisso e contiene l’amore. Guardare a Lui come modello permette di scoprire l’amore come il senso definitivo dell’esistenza, per cui ogni sofferenza, se accettata ed assunta, si manifesta come il vero senso ultimo della vita: l’amore che vince la morte.

Il riconoscere un volto di Gesù abbandonato in ogni tipo di dolore fisico, psicologico, morale, spirituale – di rapporto, di solitudine di angoscia, di abbandono, ecc. – porta ad accettare e assumere la sofferenza come possibilità di crescita, di liberazione da forme personali di chiusura e da blocchi interiori. Permette di sviluppare una risposta sana di fronte al turbamento per i compromessi o menzogne esistenziali, all’angoscia della propria incompiutezza, alla tentazione di analizzare, di rimuovere nell’inconscio ciò che non si accetta del passato.

Il vivere la sofferenza nella prospettiva di Gesù abbandonato, oltre a fondare il valore dell’io nella sua trascendenza, serve da fattore terapeutico poiché riesce a vincere le tendenze regressive, le psiconevrosi, le fissazioni nevrotiche, a superare l’ansia patologica, ad uscire anche dalla depressione. Come è successo ad Eolo, giovane di 21 anni, caduto in depressione con tendenze suicide per un grave incidente che, lasciandolo paralizzato, gli aveva fatto perdere il senso della vita; ma, dopo aver conosciuto la realtà di Gesù abbandonato, scrive: «Ho compreso che nel dolore è Gesù che viene a me: Dio non si sopporta, si ama»19.

Infine in Gesù abbandonato la persona trova la motivazione spirituale e psicologica per superare l’attaccamento più terribile legato al senso di colpa e del proprio limite, dal quale non può liberarsi da se stesso. Il vivere il dolore del proprio limite attraverso la misura di amore di Gesù abbandonato, aiuta a comprendere la necessità delle doglie del parto per la nascita della vita, della nuova personalità. È l’amore, infatti, che preme per uscire e provoca dolore.

Il riuscire a superare il dolore del proprio limite, il donarlo, introduce la persona nell’esperienza della libertà da se stessa, dal suo stesso limite, porta a sperimentare l’amore vero perché interamente ricevuto e interamente donato senza calcolo o limiti o ostacoli.

La più profonda
realizzazione umana

In Gesù abbandonato si trova il modello di realizzazione della persona proprio perché è colui che ha percorso tutte le tappe dello sviluppo psicologico che portano alla personalizzazione, raggiunta pienamente nel grido dell’abbandono, quando appunto acquisisce la piena autonomia e compie il massimo atto di libertà offrendo la sua vita. V. E. Frankl trova nell’esperienza dell’abbandono di Gesù il realizzarsi della sua umanità «al cento per cento, al mille per mille»20.

Per Jung, Gesù rinasce dalla croce come da una seconda madre, e scrive: «La croce che Gesù porta è se stesso (…) Essa è simbolo della pienezza del suo essere, della sua totalità, dove gli opposti sono congiunti: umanità e divinità (…) universale e particolare»21.

Chiara qualche anno prima aveva parlato di Gesù abbandonato come amore materno che «genera Se stesso» e aggiunge: «Il suo grido rappresenta le doglie del Parto divino degli uomini a figli di Dio»22.

Gesù abbandonato diventa così il seno materno per la gestazione della nuova umanità. In Gesù abbandonato, come dice Chiara, «ridotto ad un semplice uomo, a “individualità”», il soggetto nasce come persona nuova, l’io raggiunge finalmente il Sé, ritrova la sua vocazione a diventare Figlio di Dio23.

In Gesù abbandonato che unifica il nulla della creatura e il nulla della divinità, si manifesta con evidenza l’originalità della proposta psicologica di Chiara: la persona si trascende realizzandosi compiutamente non più nell’affermazione egocentrica di sé, bensì nell’essere dono di sé, nell’essere l’Amore che realizza contemporaneamente l’altro e se stesso. Gesù abbandonato è il modello della personalizzazione, perché rivela, dice Chiara, che «L’Amore è e non è nel medesimo tempo, ma anche quando non è, è perché è Amore»24.

Per questo può scrivere come frutto di esperienza: «Gesù abbandonato, abbracciato, serrato a sé, consumato in uno con noi, consumati in uno con lui, fatti dolore con lui dolore, ecco come si diventa Dio, l’Amore»25.

Il perdersi fino al sacrificio

Molti psicologi concordano che la maturità di una persona è misurata dalla capacità di essere dono totale di sé nella libertà. Ne consegue che il sacrificio di sé diventa il massimo atto di personalizzazione.

Gesù che, come dice Jung rappresenta il prototipo dell’uomo ideale, compie questo atto di sacrificio nel momento dell’abbandono. Dopo essersi liberato da tutti i legami e dai condizionamenti esteriori ed interiori («non la mia, ma la tua volontà sia fatta»; Lc 22, 42), arriva ad offrirsi nel più grande atto d’amore possibile.

Quella di Gesù non è solo un’offerta di sé, ma diviene un sacrificio, un’immolazione, una consumazione dell’offerta come si perpetua nel sacrificio della Messa, memoriale della Pasqua del Signore. Nell’interpretare questo sacrificio della Messa Jung rileva che mentre l’io è portato a considerare coscientemente o incoscientemente tutto in funzione di sé o come parte di sé (anche quando dona qualcosa è sempre nell’attesa di un ritorno), nel sacrificio, invece, si rinuncia, si sacrifica anche l’esigenza del ricambio26. Nel passaggio dall’offerta al sacrificio di sé ogni rivendicazione dell’io viene eliminata. Il sacrificio di sé è l’atto d’amore puro, senza attese, senza pretese, senza speranze.

«Il dare abituale – scrive Jung – cui non corrisponde pagamento, sarà sentito come una perdita, ma il sacrificio deve essere una perdita se si vuole essere certi che la rivendicazione egoistica non esiste più (…). Ma questa perdita intenzionale (…) non è una perdita, bensì un guadagno, poiché il poter sacrificare se stessi dimostra il possesso di sé (di essere). Quando sacrifico me stesso, io conquisto me stesso, perché possiedo solo quello che do. E nessuno può dare quel che non ha»27.

È l’Amore che grida l’abbandono, e l’Amore si possiede donandosi, morendo. «Gesù abbandonato, perché non è, è» (Chiara aggiunge «Perché ama, è»). «Noi siamo, se non siamo»28.

Come il grano di frumento attraverso la morte diventa finalmente se stesso nella spiga, così nell’entrare in comunione con la terra (morire nell’amore per Dio o per gli altri) l’io diventa l’Uomo, Gesù.

Gesù abbandonato manifesta dunque il più autentico umanesimo che si possa raggiungere, appunto perché rivela che la persona è massimamente realizzata non essendo, perché così è fatto l’Amore.

E giacché «nel suo grido tutti gli uomini possono riconoscersi», scrive la psicanalista Dolto29, nel dare la vita per amore ognuno realizza in pienezza la propria personalità e compie il massimo atto di possesso di sé: «Perché chi perde la propria vita…. (la propria personalità), la troverà» (Mt 16, 25).

Saper perdere
per trascendersi nelle relazioni

L’approfondimento della dinamica delle relazioni di reciprocità è stato già affrontato nel contributo di P. Cavalieri e A. Tapken; qui vogliamo solo ricordare la valenza della legge del perdere nelle relazioni di reciprocità.

Chiara Lubich, indica un orizzonte concettuale tutto da scoprire anche nelle relazioni intersoggettive. Proponendo come modello le relazioni trinitarie di unità e distinzione, trova ancora in Gesù abbandonato la chiave ermeneutica delle relazioni di reciprocità.

Mentre Gesù vive il dolore della perdita della sua relazione col Padre e sta donando la sua vita per amore, proprio lì spiega la dinamica paradossale dell’amore: sia nel fare il “vuoto” di sé, quell’essere “nulla” sul cui sfondo l’altro possa emergere – come dicono alcuni autori della Gestalt30 –, sia nell’essere dono di sé nell’amore. In questo doppio perdere è possibile essere nell’identità e nella reciprocità, nell’unità e nella distinzione. E quando il perdere, il morire diventa reciproco, allora si può sperimentare il massimo della relazionalità, perciò il massimo della personalizzazione.

Legge del perdere
e rapporto con l’Assoluto

Scrive Jung: «La scienza non ha mai scoperto un Dio: la critica della conoscenza dimostra l’impossibilità della conoscenza di Dio; ma l’anima afferma l’esperienza di Dio. Dio è un fatto psichico di diretta sperimentabilità. Se così non fosse, di Dio non si sarebbe mai parlato»31.

Dunque il rapporto con l’Assoluto fa parte dello psichismo umano e deve interessare la psicologia e la psichiatria nell’approfondire lo studio della personalità ed il suo sviluppo. «Si può parlare di persona che diventa personalità (...) solo di un io integrato nel mondo degli uomini e dell’Assoluto», scrive il Nuttin32.

Gabriel Marcel afferma similmente: «È in rapporto col Tu assoluto che diventa possibile il “noi” tra gli uomini. Ed è nel “noi” che il Tu Assoluto è presente e s’incontra»33.

L’io attuale, infatti, scopre di non riuscire a dare un senso completo e definitivo della sua identità, di non poter essere interprete assoluto del proprio destino, di scegliere da solo il cammino della propria maturità, obiettivi e mezzi per raggiungerla, fissando regole ed eccezioni con l’impressione piacevole di sentirsi auto-sufficiente e scoprire poi di seguire un fantasma. Nell’Io ideale ove c’è una traccia di Chi ha donato la vita all’essere umano, gli può essere rivelato chi è veramente e chi è chiamato a dover essere.

V. E. Frankl sostiene che per ricomporre “la persona che è stata fatta a pezzi”, “spersonalizzata” e “cosificata”, è necessario partire dalla sua dimensione spirituale. «Naturalmente – scrive il fondatore della logoterapia – si parla di una religiosità che ha l’esperienza di Dio come essere personale: quale prototipo di personalità, quale primo ed ultimo “Tu”»34. È dunque nell’intimità dell’io ideale che il soggetto scopre il suo dover essere come persona.

Secondo Chiara, è ancora in Gesù che grida l’abbandono, che tocca ogni finitudine umana, che si sente senza nessuno, senza valore, senza identità, senza rapporto neppure con l’Assoluto, «ove la Luce si fece tenebra e l’Amore disunità»35, è proprio in Lui che l’io scopre nel limite stesso la porta di accesso, il luogo dell’incontro fra Dio e noi, fra noi e Dio, e tra di noi.

Gesù abbandonato che ha fatto suo il nulla negativo rovesciandolo nel Nulla positivo che è l’Amore, rigenera l’essere umano anche nella sua psicologia e lo rende capace di relazioni qualitativamente e psicologicamente nuove introducendolo a partecipare, come dice Giuseppe M. Zanghì, allo «spogliarsi nella reciprocità dei Tre», nella Trinità36.

Gesù, scrive Chiara, «donò Dio e ritrovò Dio in sé (nella sua umanità) e in tutti»37. Ecco perché «In Lui, è tutto il paradiso con la Trinità e tutta la terra con l’umanità»38. E per rimanere nella dinamica che personalizza, per poter vivere cioè nella dinamica delle relazioni trinitarie, Chiara propone, guardando a Gesù abbandonato, di vivere il culmine possibile del perdere: “la notte di Dio”. «Per innestarci l’uno nell’altro come le persone della Trinità dobbiamo perdere anche Dio nel fratello. Proprio come Gesù abbandonato che perdette Dio nel fratello»39.

Con l’introduzione della dinamica trinitaria nei rapporti umani, con il paradigma dell’unità, è all’orizzonte un processo collettivo che può trasformare l’umanità fin dalle sue fondamenta psicologiche e sociali.

Conclusione

Jung, partendo da un significato intrapsichico, scrive che «l’importanza psicologica di Cristo consiste nel fatto che Egli, nella sua qualità di “primo nato”, rappresenta il prototipo dell’uomo integrale, poiché corrisponde in noi all’Imago Dei, l’Archetipo del Sé che, per la sua numinosità, sveglia e incita l’uomo a realizzare la totalità»40. E ancora: «Nel simbolismo cristiano la totalità è Cristo»41.

Chiara parte da una visione integrale di Gesù che comprende anche la fede, si inoltra nella profondità psicologica di Lui e scopre che Egli manifesta compiutamente se stesso nell’abbandono: «Gesù è Gesù abbandonato (perché Gesù è tutto manifesto nel suo abbandono)»42. Nel paradigma dell’unità, che parte dal modello trinitario per studiare la dinamica delle relazioni di reciprocità e scopre la porta di accesso in Gesù abbandonato, ci è proposto così il novum di un cammino per la realizzazione della personalità, capace di incidere sull’antropologia e sulla psicologia.

Scrive Chiara: «Io sono da sempre nella mente di Dio, nel Verbo, e da sempre sono amata dal Padre. Lì è il mio vero Io: Cristo in me». «L’idea che Dio ha di una persona è Dio. (…) La mia personalità infatti è il Cristo in me, che è diversissimo dal Cristo in santa Caterina, dal Cristo in san Francesco o in qualsiasi altra persona. Noi perdendo la “nostra” personalità umana, acquistiamo quella di Cristo, molto più forte, molto più distinta. Ma dobbiamo avere il coraggio di perdere la “nostra” personalità, mentre oggi tutti al mondo ci tengono a salvarla»43.

La creatura che si è pienamente realizzata come persona percorrendo per prima questo cammino di spogliazione fino a “perdere” la sua personalità, sul modello di Gesù abbandonato, è stata Maria.

Maria vive la dinamica del “perdere per amore” in tutte le tappe della sua vita descritte nel Vangelo: come ragazza e come sposa, come vergine e come madre, fino al momento culmine ai piedi della croce, dove le viene chiesto di perdere il Figlio, che è anche il suo Dio. «In questa perdita radicale, nel suo distacco da sé, dalle creature e da Dio stesso, nel suo sì ai piedi della croce, è l’inizio di una vita nuova (…) di una nuova pienezza»44.

Maria è l’umanità realizzata. È nel “saper” perdere che lei diviene la Madre di tutti gli esseri umani. E la persona può dirsi pienamente realizzata quando arriva a questo tipo di “maternità” o “paternità”.

Amedeo Ferrari

 

01) Psicologia analitica, Milano 1975, p. 116. Per Carl Gustav Jung, Gesù non è tanto una persona storica quanto un simbolo religioso, ossia contiene e unifica molti elementi spesso indescrivibili della nostra psiche, è una realtà psicologica in quanto suscita ripercussioni sulla psiche umana. È da tener presente, infatti, che gli psicologi, in quanto psicologi, credenti o non credenti, non si interessano né della divinità di Gesù, né della sua esistenza storica, ma soltanto della figura umana di Gesù.

02) V.E. Frankl, Alla ricerca di un significato della vita, Ed. Mursia, Milano 1990, p. 190.

03) The separation-individuation process and identity formation, in Distacchi di Judith Viorst, Frassinelli 1987, nota 2, p. 347. Le quattro sotto-fasi che la Mahler individua nel processo di separazione-individuazione sono la differenziazione (dai cinque ai nove mesi), l’esercitazione (dai nove ai quindici mesi), il riavvicinamento (dai quindici ai ventiquattro mesi) e il consolidamento dell’individualità e l’inizio della costanza emozionale del soggetto (dai ventiquattro ai trentasei mesi).

04) G. Nuttin, Psicanalisi e personalità, Ed. Paoline, Roma 1960, pp. 290, 294-5; A. Cencini, A. Manenti, Psicologia e formazione, EDB, Bologna 1986, pp. 22  ss.; J.P. Gustavson, The pseudomutual small group or institution, in “Human Relations”, 29 (1976) pp. 989-998.

05) A. Meneghetti, Ontopsicologia filosofica. Epistemologia evangelica, Roma 1992, pp. 12-13: «Trascendenza e autopresenza costituiscono l’unitaria soggettività dell’uomo».

06) Method in Theology, Darton Longman & Todd, Londra 1971, p. 55. Trad. ital.: Il metodo in teologia, Queriniana, Brescia 1975.

07) Essere e avere, A. Mondadori, Milano 1977, pp. 144 ss.

08) Il vero Psichiatra, Longanesi & C, Milano 1969, pp. 102-114.

09) L’arte di amare, Il Saggiatore, Milano 1997, p. 18.

10  Motivazione e Personalità, Ed. Armando, Roma 1973, p. 293.

11) Il problema dell’inconscio nella psicologia moderna,  Torino 1943, p. 298.

12) C. Lubich, Lezione per la laurea Honoris Causa in Lettere (Psicologia). Malta 26/02/1999, in “Nuova Umanità”, 21 (1999/2) p. 186.

13) Alla ricerca di un significato della vita, Mursia, Milano 1990, p. 121.

14) Psicanalisi per la persona, Milano 1965, p. 123; C. Lubich, L’unità e Gesù Abbandonato, Città Nuova, Roma 1984, pp. 67-68.

15) Cf L. Rulla, Antropologia della vocazione cristiana. Basi interdisciplinari, Piemme, Casale Monferrato 1985, pp. 105-109.

16) Cf F. Imoda, Sviluppo umano. Psicologia e mistero, Piemme, Casale Monferrato 1993, pp. 85-96.

17) F. Perls, R.F. Hefferline, P. Goodman, Teoria e pratica delle teorie della Gestalt, Ed. Astrolabio 1997.

18) Alla ricerca di un significato della vita, cit., p. 121.

19) Il Movimento dei focolari, Città Nuova, Roma 1965, p. 155.

20) Cit. in K.H. Fleckenstein, Finestra sul mondo, Città Nuova, Roma 1977, p. 65.

21) Cf Métamorphose de l’ame et ses symboles, Ginevra 1973, pp. 502-504. (L’opera originale, Symbole der Wandlung, era uscita nel 1952 a Zurigo).

22) Cf Il grido, Città Nuova, Roma 2000, pp. 46-48.

23) Cf G.M. Zanghì, Alcuni cenni su Gesù Abbandonato in “Nuova Umanità” 18 (1996/1) p. 37.

24) Ibid., p. 34.

25) Appunti inediti di conversazione 4/5/1976.

26) Cf S. Cola, Morte e Risurrezione: la dinamica del “saper perdere” per lo sviluppo integrale della persona, in “Nuova Umanità” 23 (2001/2) p. 243.

27) Il simbolismo della Messa, Torino 1979, pp. 85, 87.

28) Cf G.M. Zanghì, Alcuni cenni su Gesù Abbandonato, cit., p. 39.

29) F. Dolto, G. Sévéerin, Psicanalisi del Vangelo, Milano 1978, pp. 64-65.

30) C. Naranjo, Teoria e tecnica della Gestalt, Melusina, Roma 1989, p. 25.

31) Il problema dell’inconscio nella psicologia moderna, Torino 1943, p. 298.

32) Psicoanalisi e personalità, cit., p. 308.

33) Homo Viator, Borla, Torino 1967, pp. 72 ss.

34) Logoterapia ed analisi esistenziale,  Morcelliana, Brescia 1975, p. 98.

35) Cf P. Coda, Chiara e il grido di Gesù, in “Nuova Umanità” 23 (2001/2) pp. 319-320.

36) Cit. Alcuni cenni su Gesù Abbandonato, p. 34.

37) Ibid., p. 36.

38) Il grido, op. cit., p. 56.

39) Cit. da P. Coda, Chiara e il grido di Gesù, in “Nuova Umanità” 23 (2001/2) p. 320.

40) Lettera alla pastoressa Dorothée Hoch in Le divin dans l’homme, Parigi 1999, pp. 346-347.

41) Psicanalisi analitica, Milano 1975, p. 116.

42) Cf G.M. Zanghì, Alcuni cenni su Gesù Abbandonato, cit. p. 34.

43) Cit. ibid., p. 37.

44) Da “Città Nuova” 19 (1975/23) p. 33.