Flash di vita

Seminare la gioia

Dopo quarantacinque anni don Raffaele di Napoli viene invitato nella parrocchia dove ha lavorato nei primi anni del suo sacerdozio. Constata con stupore che l’amore seminato allora nel cuore dei ragazzi è fiorito e continua a portare i suoi frutti. Ecco il suo racconto.

In quel tempo ero un giovane prete “scugnizzo” che voleva incendiare il mondo e trascinarsi dietro ragazzi e giovani per illuminarli. Affascinandoli con grandi e forti ideali, riuscivo a tenerli insieme: affollavano così le strade e gremivano la chiesa.

Quando, recentemente, in occasione di una ricorrenza, sono tornato in questo posto che fu il mio primo campo di lavoro, quelli che allora erano bambini e ragazzi ed ora già adulti sono sparsi a motivo del loro lavoro anche in altre città, hanno voluto rincontrarsi.

Rivederli, dopo tanti anni, è stata una grande emozione e si capisce bene, ma più ancora è stata una grande gioia. Allora erano piccoli, delicati, ora li ritrovo adulti, tanto maturi, quasi tutti sposati, qualcuno già nonno!

Tutti però simpatici e felici di ritrovarci insieme... «Come è bello, mi dicono, stare tutti riuniti, sembra che il tempo non sia passato, siamo i tuoi bambini, i tuoi ragazzi di allora e per noi non è cambiato proprio nulla!». Ed io in mezzo a loro, felice più di tutti, mi ritrovo a sognare ad occhi aperti.

Si riscopre l’amicizia vera, profonda, autentica, tanta simpatia e tanta cordialità: valori questi che nella società odierna sembrano misconosciuti, dimenticati se non addirittura calpestati, quasi fossero destinati lentamente a scomparire.

Quella sera ero beato nel contemplare quei volti adulti, ma sempre giovani dentro, illuminati dal sorriso, resi proprio belli dalla gioia che si sprigionava da tutti i pori.

Tra gli altri era presente Ciro. Può sembrare strano, ma di lui ricordo tutto: i genitori, il fratello; tengo persino stampato ancora nella mente il suo visino di allora, dolce, innocente. Adesso Ciro è medico, lavora a Roma ed è venuto apposta per salutarmi e stare per qualche momento insieme a noi.

Entra sorridente: sì, è proprio lo stesso sorriso di allora! Stringe tra le mani una rivista che agitandola mostra a tutti: è “Città Nuova”. Tutti osservano contenti e, meravigliati, esclamano: «Oh guarda! Che bello, è proprio lui! Come sta bene!».

Cosa hanno visto?

Su quel numero di settembre è stata pubblicata appunto una mia esperienza intitolata “Occhi nuovi” e riporta belle fotografie mie e dei miei amici del focolare. Il giornalista Oreste Palliotti, che mi aveva intervistato, è conosciutissimo, perché faceva parte del nostro gruppo.

Si intreccia poi un dialogo scherzoso: «Ma, Raf, stai proprio bene! Ma come fai? Gli anni per te non passano? Te li porti proprio bene!».

Ed io divertito: «Ma sì, gli anni passano, sono io che non li vedo quando passano! E poi non me li porto, li lascio a casa!». Lo scherzo poi, data la maturità di questi amici, diventa un discorso di vita, si parla di un segreto che abbiamo: vivere l’attimo presente.

In questo clima si scende sempre più in profondità. Tutti, curiosi ma anche desiderosi, chiedono a Ciro di leggere l’esperienza e mi colpisce il fatto che Ciro non solo legge, ma spiega, commenta, arricchendo la storia con tanti fatterelli e tante esperienze, nelle quali siamo tutti coinvolti.

Ed ecco ancora, su questo palcoscenico stupendo e meraviglioso, un altro personaggio, un giovane piccolo, timido e discreto ma molto garbato e sorridente, mi si avvicina dicendo: «Non so se ti ricordi di me?». Immaginarsi! Tanta gente e poi dopo un anno dall’ultima volta che l’avevo incontrato! Non mi scompongo, lo guardo fissandolo con simpatia, poi spontaneo mi lancio e dico: «Sì, mi ricordo di te! Stavi sull’altare a fare il ministrante durante la messa!». Lui sorpreso e assai felice: «Sì, l’anno scorso facevo da ministrante; ma voglio dirti una cosa: grazie per il tuo sorriso: da te ho imparato a sorridere sempre. E poi da quella sera è successo in me qualcosa: mi è nato nel cuore un desiderio: fare quello che fai tu, cioè, il prete! Perciò è un anno che sto in seminario».

Appena pochi giorni dopo vado in seminario per incontrarlo. Mi viene incontro un sacerdote amico, ormai molto anziano, mi abbraccia affettuosamente, poi si commuove fino alle lacrime. Qualche animatore mi si avvicina facendomi qualche confidenza e il rettore, contento, mi dice: «Devi venire più spesso!».

Arriva Diego e lo chiamo per nome: «Vedi? Ho imparato anche il tuo nome, mi sei rimasto nel cuore; perciò ti porterò sempre con me nelle mie preghiere. Conserva gelosamente quel tuo sorriso, la tua semplicità, vivi sempre con gioia e fa tutto con grande entusiasmo; vedrai così la tua strada sempre libera, illuminata dal Sole e all’orizzonte scoprirai il Suo volto, quello di Gesù che ti ha chiamato! E, se gli sarai fedele, un giorno sarai un altro Lui».

Raffaele Alterio

 

 

Dalla divisione alla comunione

A volte lo spostamento di un parroco crea problemi sia nei fedeli che nel prete stesso. Una visione più ecclesiale del servizio pastorale può operare un cambiamento di mentalità a vantaggio di tutti.

Quando il vescovo mi chiese di assumere la cura pastorale di una nuova parrocchia era ancora viva in essa una forte contrapposizione tra due sacerdoti con vedute diverse e, di conseguenza, tra le persone della comunità si erano formati  due gruppi contrapposti.

Ricostruire la comunione in questi casi non è facile! Per fortuna mi vennero alla memoria le parole di san Giovanni della Croce: «Dove non c’è amore, metti amore e troverai amore», e assicurai al vescovo la mia disponibilità per il nuovo incarico.

Contrariamente ad ogni aspettativa, l’immissione nel servizio pastorale avvenne in un contesto di serenità. Alla cerimonia erano venute anche persone amiche impegnate nel vivere la spiritualità di comunione, quasi per dirmi che  insieme avremmo avuto la luce e la forza per muoverci secondo i piani di Dio.

Erano passati pochi giorni quando incontrai una mamma, la cui figlia si era tolta la vita, e nella condivisione di questo dolore lei offriva la sua sofferenza per l’edificazione dell’armonia nella comunità.

Subito dopo con alcuni giovani iniziammo un cammino nella spiritualità di comunione: si accendeva una prima cellula viva che garantiva la presenza di Gesù in parrocchia: «Dove sono due o tre riuniti nel mio nome, io sono in mezzo a loro» (Mt 18, 20). Pian piano questo stile di vita si diffondeva soprattutto tra la gioventù attraverso l’esperienza dei campi-scuola del Movimento diocesano dell’Opera di Maria.

Intanto alcuni parrocchiani parteciparono ad una Mariapoli e si resero conto che il Vangelo propone un modo di vivere che rinnova non solo la vita personale, ma anche i rapporti umani. Essi scrissero a Chiara Lubich, manifestando la gioia di questa scoperta. Lei, dopo essersi rallegrata per i frutti di comunione che stavano maturando in seno alla comunità, suggeriva di far crescere e sviluppare la presenza del Risorto in mezzo a loro, mettendo in pratica questa Parola di san Paolo ai cristiani di Roma: «Anche noi, pur essendo molti siamo un solo corpo in Cristo e ciascuno per la sua parte siamo membra gli uni degli altri» (12, 5).

Dopo circa un anno ventidue parrocchiani ci siamo impegnati davanti a Gesù Eucaristia a vivere il comandamento nuovo, pronti a dare la vita gli uni per gli altri.

I membri di questo gruppo hanno proposto la Parola di vita a tutta la parrocchia. La comunità viva è cresciuta di numero e, nel corso di questi anni, sono sbocciate in parrocchia realtà nuove come due “fraternità”, il gruppo della Caritas e quello di “Padre Pio”: tutti radicati nella Parola di Dio vissuta.

A far crescere e sviluppare il tutto ha contribuito anche la preghiera in comune durante i tempi forti dell’anno liturgico: in giorni ed orari prestabiliti ci si ritrova in chiesa per pregare insieme e meditare la Parola di Dio.

In seguito è maturata l’idea di fare un patto di unità tra i vari gruppi parrocchiali per rispondere all’invito del Papa nella Novo millennio ineunte di “prendere il largo”.

Il Vangelo vissuto andava fermentando come lievito l’intera parrocchia e produceva i suoi frutti.

Primo nell’ordine di tempo fu un convegno sull’Economia di comunione durante la visita pastorale del vescovo. In esso vennero coinvolti molti imprenditori per approfondire una visione nuova, evangelica dell’economia. In questa occasione una studentessa maturò la decisione di fare la sua tesi di laurea sull’argomento. Il suo lavoro fu molto apprezzato, ottenendo il massimo dei voti.

Il secondo evento fu l’apertura verso i più bisognosi: abbiamo creato una rete di “adozioni a distanza”, ed ora 35 famiglie della parrocchia sono in contatto costante con altrettante famiglie povere delle Filippine.

In questi ultimi anni è maturato anche un profondo rapporto con l’amministrazione comunale e col sindaco. Questi, avendo colto il fermento innovativo che c’è in parrocchia, ha intravisto prospettive nuove per una politica aperta alla fraternità universale.

Quando tutto mi sembrava ormai così ben incamminato, il vescovo mi ha chiesto di lasciare la parrocchia per assumere a tempo pieno un incarico diocesano. La proposta in un primo momento mi ha lasciato senza fiato. L’armonia ristabilita in paese non andrà nuovamente in frantumi? Chi mi succederà saprà portare avanti la vita che qui è fiorita?

Non nascondo che ho avuto momenti di perplessità e ho chiesto un po’ di tempo per riflettere. Poi, con l’aiuto di fratelli sacerdoti, ho colto nella proposta del vescovo una nuova chiamata a seguire Gesù sia per me che per i parrocchiani. Era come se Egli mi dicesse: «Ma tu mi ami veramente? O credi forse che la vita fiorita in parrocchia sia nelle tue mani?». Ho detto il mio sì e ho invitato i collaboratori a fare lo stesso.

E subito ho visto dei frutti. Innanzitutto abbiamo sperimentato una grande libertà interiore; poi, dopo aver contemplato quello che il carisma dell’unità aveva prodotto nel cuore dei singoli e della comunità, ben 48 parrocchiani hanno rinnovato il patto d’unità tra loro per portare avanti la vita cristiana in parrocchia in unità col nuovo parroco.

In questo momento di profonda comunione ecclesiale un giovane comunicava di aver sentito la spinta di donarsi totalmente a Dio.

Naturalmente ci siamo messi tutti al lavoro per accogliere con gioia il nuovo parroco e abbiamo vissuto questo passaggio come una vera e propria traditio di una vita suscitata da Dio e che in quanto tale va custodita e incrementata. Il nuovo pastore è stato colpito dalla realtà che ha trovato ed ha espresso il desiderio di conoscere meglio lo spirito che anima il cuore della comunità.

Il vescovo, sottolineando la dimensione di profonda comunione che ha caratterizzato il passaggio, ha detto ai sacerdoti presenti: «Ringraziamo Dio, perché abbiamo vissuto un vero momento di Chiesa».

Mario Cercato