Una Chiesa che esce dalle catacombe e fiorisce nella comunione

 

Costruendo la Chiesa-comunità

Intervista al card. Miloslav Vlk

 

Nell’arcidiocesi di Praga è in atto un processo di rinnovamento delle parrocchie nello spirito della comunione, che coinvolge vescovi, sacerdoti e popolo. L’attuale arcivescovo è ben noto perché durante il regime comunista gli fu impedito l’esercizio del ministero e fu costretto a lavorare come lavavetri delle vetrine di Praga.

Una Chiesa da ricostruire

GEN’S: Eminenza, ci può descrivere brevemente la situazione del suo Paese e della sua diocesi?

Il mio Paese fino a qualche anno fa era costituito da due nazioni, la Cechia e la Slovacchia, unite sotto un solo governo. Con la distinzione, avvenuta pacificamente nel 1993, i due Paesi sono divenuti indipendenti. Attualmente Praga è la capitale della sola Cechia, che a sua volta è formata da due regioni: la Moravia, tradizionalmente più legata al cristianesimo, e la Boemia di stampo più secolarizzato.

L’arcidiocesi di Praga ha una popolazione di circa 2.200.000 persone. Di queste la metà risiede nella capitale e l’altra metà nelle altre città e nella campagna. Ovviamente anche a Praga c’è una grande differenza tra il centro e la periferia.

I cattolici sono ca. 450.000 e le parrocchie fino a poco tempo fa erano 354, raggruppate in 14 decanati. Ho due vescovi ausiliari, un vicario generale e un vicario episcopale per la pastorale.

La sfida più grande per noi sta nel fatto che, durante il periodo comunista, è stato frantumato nei fedeli il senso di appartenenza alla Chiesa e tra gli stessi sacerdoti le circostanze imposte dal regime non hanno permesso lo svilupparsi di una mentalità di comunione.

Un altro problema è la forte scarsità di sacerdoti e l’età avanzata del clero. Su 350 parrocchie ho a disposizione solo 240 sacerdoti diocesani e religiosi, tra cui 30 dalla Polonia e 7 da altri Paesi, che lavorano da noi in missione temporanea d’accordo con i rispettivi vescovi.

La venuta tra noi di sacerdoti polacchi ha una speciale genesi. Ogni anno a Gniezno, l’antica sede arcivescovile del Primate della Polonia, dove riposa il corpo di Sant’Adalberto martire, nel giorno della festa del santo convengono molti vescovi polacchi e da qui inviano nel mondo circa 30 missionari e altrettante e più suore. I polacchi, evangelizzati da Adalberto, in questo modo desiderano dargli un segno tangibile di gratitudine. Partecipo anch’io a questa festa, perché sant’Adalberto era stato vescovo di Praga. Qualche anno fa, ricordandomi che il Papa mi aveva detto: “Noi polacchi abbiamo ricevuto la fede da voi”, ho preso coraggio e con tono scherzoso ho detto ai vescovi: “Voi avete vicino a voi un Paese di missione che è la terra natale di sant’Adalberto. Sono venuto a chiedere gli ‘interessi’ del suo sangue”.  La mia richiesta di ricevere missionari polacchi è stata accolta ed è iniziata questa collaborazione tra le nostre Chiese.

Nonostante quest’aiuto dall’estero la nostra situazione è tuttora precaria. In un decanato, per esempio, ci sono 26 parrocchie con solo 5 sacerdoti; e nell’insieme della diocesi più della metà delle parrocchie sono senza sacerdoti. Occorreva fare qualcosa.

Un cambio di mentalità

GEN’S: E cosa avete escogitato?

Siamo convinti che la maggior parte dei problemi che la Chiesa deve affrontare oggi ha la sua chiave di volta nella spiritualità di comunione, propostaci così chiaramente dal Papa. Con questo nel cuore abbiamo iniziato a fare piccoli passi prima di tutto tra noi vescovi e sacerdoti.

Dopo aver dato uno sguardo ad altri Paesi che hanno simili problemi – l’Olanda, la Francia, il Belgio, l’Irlanda, ecc. – e dopo aver ascoltato le esperienze e osservato il cammino da loro percorso, ci siamo convinti che dovevamo trovare la nostra strada: avviare un processo di rinnovamento delle parrocchie.

Come primo passo non siamo partiti da un cambiamento delle strutture e quindi da una riduzione del numero delle parrocchie, ma dall’impegno di aiutarci – vescovi e sacerdoti – a cambiare mentalità e provocare così anche nella gente un mutamento di mentalità. Ovviamente è stato ed è un lavoro impegnativo, perché soprattutto nella campagna vige ancora forte una visione statica della pastorale: si vede la diminuzione dei fedeli, ma non si riflette su cosa fare.

Abbiamo cominciato col riunire i sacerdoti della diocesi, di tre quattro decanati alla volta, per due o tre giorni. Abbiamo fatto con loro un brainstorming, vale a dire: abbiamo chiesto loro di formulare idee su cosa potrebbe aiutarci a cambiare mentalità. L’inizio è stato sempre in plenaria, ma poi ci siamo distinti per gruppi, nei quali noi vescovi e gli altri sacerdoti addetti al governo della diocesi non eravamo presenti, in modo che tutti si esprimessero con libertà. Poi i gruppi si sono riuniti in plenaria e qui c’eravamo tutti, ed abbiamo messo insieme tutte le idee.

Questo aver trascorso insieme due giorni – ed anche due serate, in maniera informale – è servito per creare un clima di ascolto e di comunione fraterna. Pure la presenza mia e dei miei diretti collaboratori e il nostro ascolto ha contribuito a creare questo clima di fiducia. Si sentiva in tutti la gioia di fare qualcosa di nuovo dove nessuno sarebbe stato sacrificato, ma tutti sarebbero stati valorizzati. Abbiamo ripetuto questa esperienza con tutti i decanati e con gli stessi frutti: sempre di nuovo si è creata un’atmosfera di grande interesse.

Abbiamo quindi iniziato un secondo giro di incontri. L’ambiente tra di noi era preparato per domandarci non tanto cosa vogliamo fare per gli altri, ma prima di tutto cosa dobbiamo fare per noi stessi. Quattro sono state le parole-chiave di questa fase: conversione, preghiera, Parola di Dio e comunione. E qui sono sorti suggerimenti preziosi: capivamo che dovevamo innanzitutto pregare per avere la luce, fare penitenza riconoscendo gli sbagli del passato e soprattutto essere Vangelo vivo in seno al popolo cristiano e nella nostra società laica. Abbiamo capito che la Parola non basta annunciarla nella liturgia domenicale, ma dobbiamo imparare ad approfondirla anche fuori della messa e soprattutto far sì che essa informi la nostra vita.

È stata un’esperienza vissuta insieme e le conseguenze immediate sono state: un rapporto più fraterno fra noi, una maggior luce su cosa fare nelle parrocchie ed anche il coraggio di operare un cambiamento nelle strutture. Quest’ultima cosa non era al primo posto, ma è venuta spontanea col cambio della nostra mentalità. Così è stato facile ridurre il numero delle parrocchie, soprattutto dove c’erano pochissimi fedeli e non di rado con la chiesa e la casa parrocchiale distrutte o abbandonate. Le parrocchie ora sono meno numerose, ma più ampie e con maggiori risorse. Esse si sono fatte carico di vivere la missione in un territorio più ampio. Anche i beni materiali delle parrocchie minori, ormai senza fedeli, sono stati affidati alle nuove parrocchie più estese e più vive.

Un’altra cosa importante è stata l’apertura verso la società civile, in particolare verso i sindaci e gli altri amministratori locali. Abbiamo sperimentato che loro hanno spesso un atteggiamento aperto verso la Chiesa e una comprensione molto pratica della politica, senza secondi fini. Nello spirito del Concilio Vaticano II, abbiamo quindi sensibilizzato i sacerdoti alla situazione sociale e politica nel Paese.

È questa la nostra linea. Ovviamente per tutti i cambiamenti si parla prima con i sacerdoti interessati, con i decani e gli altri sacerdoti della regione e con i responsabili centrali della diocesi. E tutto si risolve in armonia dopo che il clima tra noi è nel segno della comunione fraterna.

Il coinvolgimento progressivo
della gente

Quando ci sembra di veder chiaro sui passi da fare, andiamo nelle parrocchie per parlare pure con la gente, perché non vogliamo che le nostre idee siano date già predefinite e pronte per essere messe solo in atto.

Tra l’altro, per far crescere la comunione, quando noi vescovi visitiamo le parrocchie, dopo la celebrazione della liturgia apriamo un dialogo informale e cerchiamo di ascoltare con serietà le persone, in modo che la comunicazione non sia mai solo a senso unico, dai vescovi e sacerdoti alla gente.

Ai miei occhi, questa tappa del coinvolgimento del popolo è stata molto importante, perché la gente, opportunamente incoraggiata, riesce a dire quello che realmente pensa e, di conseguenza, si sente impegnata.

Abbiamo stabilito poi che le riunioni mensili dei sacerdoti nei vari decanati inizino sempre con una messa a cui partecipa pure il popolo. Cresce così la consapevolezza di formare tutti insieme un decanato. E la gente prende coscienza di tante cose. Vedendoci si rendono conto che tanti di noi siamo anziani, e mentre i nostri compagni di età si godono la loro pensione, noi invece siamo sulla breccia per il loro bene. Allora capiscono che bisogna far nascere e appoggiare le vocazioni al ministero presbiterale.

Strutture che aiutino la vita

GEN’S: E a livello diocesano?

Un passo importante l’abbiamo compiuto recentemente col personale che lavora nella curia arcidiocesana. Con l’aiuto di esperti di un consulting group abbiamo fatto una revisione generale del nostro lavoro e abbiamo visto come migliorarlo in modo che sia realmente un servizio ben fatto per gli altri.

Successivamente abbiamo pensato di far fruttare questa esperienza anche per il rinnovamento delle parrocchie. Abbiamo scelto 14 sacerdoti ben disposti e competenti – uno per decanato – e in due giorni e mezzo, con l’aiuto di quegli stessi esperti, abbiamo imparato come programmare la vita e le attività di una parrocchia. Stiamo creando così un modello per i vari decanati e questi sacerdoti sono un tramite verso tutti gli altri. Con loro si sta creando una comunione profonda.

Siamo convinti, poi, che oggi la casa parrocchiale non può essere un “castello” dove abita il parroco. Utilizzando e adattando quelle esistenti, stiamo creando dei Centri pastorali. Alcuni di questi sono già funzionanti e svolgono la formazione cristiana ed altre attività sia per gruppi di adulti che per giovani e ragazzi.

Per noi che ricominciamo da zero dopo anni di catacombe questo lavoro è molto importante per preparare nuove generazioni di cristiani autentici. Nelle parrocchie di campagna, poi, s’incontrano facilmente case e aree più estese e ci stiamo adoperando per valorizzarle come centri di formazione soprattutto per i giovani.

Un vuoto che reclama fortemente
la presenza di Dio

GEN’S: Ai fini dell’evangelizzazione, quali i risultati di questo cammino?

Abbiamo guadagnato non soltanto una visione nuova e molto più realistica della diocesi, ma stiamo notando pure un certo risveglio.

Costatiamo che l’ideologia comunista ha lasciato profonde ferite, ma ha anche suscitato un certo interesse verso la fede. È interessante che proprio nella nostra Boemia fortemente secolarizzata avvengono numerosi battesimi di adulti.

Max Weber a metà del secolo scorso aveva detto che la secolarizzazione pensava di poter emarginare la religione, ma poi constatava che la religione si era ostinata a rimanere, perché il vuoto che la secolarizzazione crea nelle persone grida e cerca Dio. Così sta accadendo da noi dopo la caduta del regime comunista.

 Nella diocesi ci sono circa 1.500 conversioni all’anno, anche di persone di un certo livello. Il loro battesimo è preceduto da un catecumenato ben fatto. Lo iniziamo nella cattedrale con la presenza del vescovo e di rappresentanti delle parrocchie da cui provengono i catecumeni. Poi si continua la formazione nelle parrocchie affinché il battezzando sia conosciuto e accettato dalla comunità.

Il battesimo si celebra nella propria parrocchia oppure nella cattedrale la notte di Pasqua. Nella domenica in albis tutti i battezzati adulti delle diverse parrocchie vengono poi a messa in cattedrale per incontrarsi col vescovo e con la realtà diocesana. Così il battesimo non resta una cosa bella ma privata, ma diventa pure un evento di portata sociale.

Tra l’altro, si sono dati casi di persone che assistendo al battesimo di qualche loro amico hanno sentito il desiderio di conoscere meglio il cristianesimo e di prepararsi anch’esse al battesimo.

Chiesa-comunione e carismi

GEN’S: E l’apporto dei Movimenti?

Siamo sicuri che i parroci, una volta che avranno sperimentato la bellezza della comunione, sapranno apprezzare i vari carismi dei Movimenti e sapranno coinvolgerli nel rinnovamento delle parrocchie, rispettando le finalità di ogni carisma. I Movimenti, infatti, non di rado hanno una particolare capacità di coinvolgere nella vita cristiana persone che vivono ai margini della fede e possono dare un contributo prezioso in questo senso.

Per fare solo un esempio: in sintonia con la diocesi, il Movimento dei focolari, che è molto ben radicato da noi già dal tempo del comunismo, sta facendo un’opera di evangelizzazione chiamata “Praga d’oro”. Ogni mese promuove un incontro con la partecipazione di circa 200 persone. L’incontro è così ben fatto e corredato da una parte artistica che vi partecipano anche persone che mai entrerebbero in un ambiente parrocchiale. Qui la gente scopre uno stile di vita cristiana moderno ed attraente, tutto basato sul Vangelo vissuto.

In uno di questi incontri è stata presentata l’esperienza di un sacerdote che il regime comunista aveva relegato in una parrocchia sperduta di montagna. E qui, lontano dagli occhi della polizia di Stato e alimentandosi con la spiritualità dell’unità tipica del Movimento dei focolari, egli ha formato una schiera innumerevole di giovani che andavano nella sua casa con la scusa di fare vacanza. In questa esperienza ero stato coinvolto anch’io direttamente. Oggi 80 di quei giovani hanno scelto il sacerdozio o la vita religiosa.

Come si vede il nostro lavoro è solo all’inizio: si tratta di prospettive, di raggi di luce, ma che danno ottimismo e speranza per il futuro. Non possiamo farci trascinare dagli avvenimenti, ma dobbiamo avere prospettive e iniziative. Sono personalmente convinto che questo avverrà nella misura in cui crescerà concretamente nella nostra Chiesa lo spirito di comunione.

a cura di Enrico Pepe