L’unità vissuta rende visibile la presenza del Risorto nella Chiesa

1/ Prospettive ecclesiologiche, alla luce della Rivelazione

 

Gesù in mezzo a noi

di Chiara Lubich

 

Questa meditazione dal taglio insieme ecclesiologico e vitale, che tratta della presenza di Cristo tra coloro che sono uniti nel suo nome, è stata molto apprezzata da un gruppo di vescovi di varie Chiese cristiane durante il loro convegno ecumenico ad Istanbul nello scorso novembre. L’argomento, che è tema di approfondimento dell’intero Movimento dei focolari durante quest’anno, è di grande rilevanza per la vita e la testimonianza della Chiesa nel mondo di oggi. Riportiamo in questo numero la prima parte del testo. I titoletti sono a cura della redazione.

 

Il presente mio intervento verterà, nella prima sua parte, su un esame della realtà di “Gesù in mezzo a noi”, un po’ inconsueto per me. Non si tratta, infatti, di esaminare, come sono solita fare, scritti, diari, documenti sull’argomento. Mi è sembrato piuttosto importante ed utile approfondirlo nella Rivelazione e nella sua dimensione ecclesiologica.

Nella seconda parte, invece, cercherò di approfondire questa realtà come ci è stata svelata dal carisma dell’unità, leggendo per questo alcuni stralci di lettere da me scritte nei primi tempi del Movimento.

 

Gesù in mezzo
nella Chiesa nascente

 

Della presenza di Gesù in mezzo la Chiesa nascente era convinta fin dall’inizio, come testimoniano gli scritti del Nuovo Testamento. I Vangeli sono nati proprio nella certezza che Gesù, giacché è risorto, continua ad agire e a parlare oggi nella comunità cristiana. E lo fa mediante le parole e le azioni passate, conservate nei Vangeli.

Essi, infatti, non sono soltanto una biografia per ricordare Gesù, ma un invito ad incontrarlo ed a seguirlo adesso, perché, pure oggi, Egli è realmente presente, anche se non si vede. Ciò che il carisma dell’unità ci ha fatto sempre pensare da quando abbiamo costatato, ad esempio, il verificarsi, anche oggi, delle promesse di Gesù.

È per la sua risurrezione che Gesù è presente tuttora.

Ed è in questa pienezza di vita che lo si avverte presente.

Dopo la risurrezione, la condizione di Gesù è diversa. La sua relazione con il cosmo cambia radicalmente. Egli non è più contenuto nel tempo e nello spazio che noi conosciamo. Egli contiene in sé lo spazio e il tempo; l’universo fisico ed umano gli è interiore. Gesù non è più sottomesso alle leggi che governano il mondo, ma le domina totalmente.

È presente nel profondo di ogni essere e, per questo, Lo possiamo pensare nel nostro intimo.

Quel Dio, quindi, che (per un’illuminazione speciale dello Spirito Santo) nel 1949 ho avvertito presente sotto tutto il creato, era Gesù risorto. Lo era e legava le cose fra loro sicché risultavano innamorate tutte le une delle altre.

 

Gesù in mezzo e
la Nuova Creazione

 

La risurrezione di Gesù è l’inizio della Nuova Creazione in cui Egli è visto e compreso come colui che dà compimento al disegno divino sul mondo e sull’umanità. Tutte le cose trovano in Lui il loro significato ultimo.

L’inno della lettera ai Colossesi canta: «Tutto è stato creato in lui… per mezzo di lui e in vista di lui. Egli è prima di tutto e tutto trova coesione in lui» (Col 1, 15-17).

Trova coesione in Lui…

Infatti, Gesù risorto non è una presenza statica.

La caratteristica fondamentale di tale presenza consiste in un principio unificante, e quindi attivo: l’amore.

Nella risurrezione Gesù è Cristo nella sua totale donazione d’amore a Dio e agli uomini. In particolare il grido d’abbandono rivela che il Figlio ha assunto fino in fondo la condizione umana di finitezza e di peccato e l’ha sanata in Sé, l’ha riempita d’amore.

La sua è, quindi, una presenza che raduna e crea comunione tra gli uomini e li fa uno in Dio.

La lettera agli Efesini parla di «ricapitolare tutte le cose in Cristo» (Ef 1, 10). Dunque Dio vuole ricapitolare tutte le cose in e mediante Gesù risorto. Ciò vuol dire: Gesù è il capo del creato e gli dà senso.

La presenza universale del Risorto è quindi una presenza che dà amore.

 

 

La Chiesa:
il Corpo del Cristo risorto

 

Gesù crocifisso-risorto è certamente il luogo di una riconciliazione che si estende ai confini del mondo. Ma la presenza universale del Risorto avviene anzitutto e soprattutto nella Chiesa, diventa attuale e visibile nella Chiesa.

E quale la differenza di rapporto di Gesù con la Chiesa e col resto del mondo?

La Chiesa possiede un rapporto del tutto privilegiato con il Signore.

Gesù risorto è capo e del cosmo e della Chiesa, ma soltanto la Chiesa è il suo Corpo.

La comunità concreta, ogni comunità concreta, e non solamente la Chiesa universale, nella sua identità profonda, non è che la persona di Gesù risorto, come dice Paolo scrivendo ai Corinzi: «Voi siete corpo di Cristo» (1Cor 12, 27).

La comunità è Gesù presente, ma – attenzione! – lo è e lo dimostra solo se i cristiani si amano, nell’amore vissuto.

La presenza di Cristo nella Chiesa è sempre una chiamata all’unità, ad attuare il Corpo di Cristo mediante l’amore reciproco, quella chiamata all’unità che il carisma del Movimento ha tanto impresso in noi.

Però, se il Sovrano della Chiesa è anche il Signore del cosmo, la Chiesa non può pretendere di avere Cristo solo per sé. Per cui, la presenza di Cristo in essa è anche una chiamata d’invio verso gli uomini; fatta Corpo di Cristo, la Chiesa è essa stessa questo Corpo dato per la vita del mondo, come Gesù. Chiamata che noi sentiamo in modo del tutto particolare: il nostro fine è, infatti: «Che tutti siano uno affinché il mondo creda» (cf Gv 17, 21).

 

Il Risorto precede la comunità

 

Ma in che modo Gesù fa dono di se stesso nella Chiesa?

Lo fa attraverso canali che sono la Parola e i sacramenti.

La Scrittura vissuta intanto rende presente Cristo stesso nei credenti.

Ogni persona poi, con il battesimo viene incorporata nel Corpo mistico di Cristo, entra nella comunità cristiana, viene inserita nell’intima comunione con Cristo presente, inserimento suggellato poi dall’Eucaristia.

Gesù presente continua lungo il tempo, quindi, a radunare in Uno la Chiesa, inserendo il battezzato nel suo Corpo.

La comunità, dunque, trova la sua identità vera in una realtà che la precede: la presenza del Risorto.

È Lui che raduna e riunisce a sé e tra loro i credenti.

Anche l’evangelista Giovanni vede nel Crocifisso-glorificato l’origine dell’unità in Lui: «Io, quando sarò innalzato da terra, attirerò tutti a me» (Gv 12, 32).

Ma ecco un’altra precisazione: a quale scopo il Crocifisso attrae? Lo fa per portare tutti all’unità col Padre. L’attrazione del Crocifisso, fonte di comunione, ha questa finalità precisa: introduce nella vita di comunione del Padre e del Figlio.

Il credente si trova inserito così nel Seno del Padre.

 

 

Dio in mezzo al suo Popolo:
vocazione all’unità vissuta

 

La comunione con le Persone divine non va però intesa come rapporto privato di singoli.

Per Matteo l’espressione «Io sono in mezzo a voi» (Mt 18, 20) va interpretata come la presenza di Dio in mezzo ad Israele. Il popolo ebreo, perché popolo eletto, apparteneva a Dio e godeva della sua vicinanza.

Ma, poiché v’è continuità tra la storia della salvezza in Israele e la Chiesa che ne è il compimento, la presenza di JHWH in mezzo ad Israele raggiunge la sua finalità nella permanente presenza del Risorto in mezzo al suo popolo che – come s’è detto – è chiamato ad includere l’intera umanità (Mt 28, 20b).

 

La presenza di Gesù risorto attende però – ripeto – qualcos’altro: la risposta dell’uomo. L’uomo, solo se ama, fa in modo che sia attuata nella vita la realtà della presenza di Gesù.

La vocazione della Chiesa, come di ognuno, è una vocazione all’unità vissuta, un’unità che si attua, come dice Paolo, «nella fede operante per mezzo dell’agape» (Gal 5, 6).

Spiritualità della Chiesa

La presenza di Cristo, che costituisce il volto profondo della Chiesa come di ogni comunità cristiana, non è mai mancata lungo i secoli. Continua a manifestarsi in ogni membro del Corpo di Cristo che vive, con tutta coerenza, la sua fede: in ogni convivenza religiosa (monasteri ecc.), in ogni assemblea liturgica, in ogni famiglia veramente cristiana, sempre se è vivo l’amore reciproco.

Nuovo è piuttosto portare tale presenza alla sua finalità: all’unità dell’intero Corpo, come è chiaramente della nostra vocazione all’unità.

Stando così le cose, è chiaro che l’agape è primariamente orientata non ad opere di beneficenza, ma alla reciprocità, alla comunione, che rende “visibile” il Signore.

Ogni divisione nella comunità è perciò “contro natura”; per essa viene alterata l’identità profonda della comunità che è Cristo presente. Cristo non è diviso. Un Cristo frammentato è irriconoscibile, sfigurato. Ecco perché la Chiesa non è, a volte, amata, perché sarebbe un po’ – si può dire – una caricatura di Chiesa.

Vivere coscientemente con Gesù in mezzo è una spiritualità della Chiesa che ci fa essere Chiesa. Infatti, “Gesù in mezzo” è costitutivo della Chiesa e non rappresenta soltanto qualche aspetto della vita cristiana come la povertà, la preghiera, lo studio, l’amore per gli emarginati, …

Vivere con Gesù in mezzo significa vivificare la Chiesa stessa nella sua identità e vocazione.

Vivere con “Gesù in mezzo” è attuare nel “non ancora” della storia il “già” del disegno di Dio sull’umanità.

E l’originalità del nostro carisma non sta soltanto nel rendersi conto di ciò. Il carisma ci è stato donato perché possiamo concorrere a portare a compimento la finalità stessa di “Gesù in mezzo”: l’unità vissuta da tutti i cristiani.

 

 

Gesù in mezzo e
l’ecclesiologia di comunione

 

Passiamo ora a parlare di Gesù in mezzo e la sua dimensione ecclesiologica.

Per motivi diversi, nella Chiesa cattolica, alla fine del Medio Evo, veniva accentuato, in modo particolare, l’aspetto istituzionale e giuridico e, in tal modo, la distanza tra la Gerarchia e il popolo cristiano.

È stata questa una particolare preoccupazione di Foco (Igino Giordani, confondatore del nostro Movimento e primo focolarino sposato), durante la sua vita, finché è rimasto consolato vedendo tale situazione superata nel Movimento.

La Gerarchia era pensata superiore ai fedeli, come la testa al corpo.

Come Cristo-Testa (cf Col 2, 19; Ef 4,  16), essa conteneva in sé tutta la ricchezza dei doni della salvezza, con il compito di comunicarli, mediante la Parola e i sacramenti, al “popolo”, che aveva soltanto il diritto di ascoltare e di obbedire.

 

Nel XX secolo però lo Spirito Santo ha fatto nascere carismi e Movimenti vari, in particolare il carisma dell’unità. Contemporaneamente, spingendo al rinnovamento biblico, patristico, liturgico, lo stesso Spirito preparava un’ecclesiologia diversa che aveva un’apertura ecumenica.

Questa ecclesiologia considera tutti i battezzati uguali in dignità, pur riconoscendo sempre – come afferma il Vaticano II – la diversità di grazie in coloro che, per il sacro ministero, reggono con l’autorità di Cristo la famiglia di Dio, in modo che sia da tutti adempiuto il nuovo precetto della carità (cf Lumen gentium 32).

Sottolinea così che pastori e semplici fedeli sono “fratelli” in Cristo: «Voi non fatevi chiamare “rabbi” – si è ricordato –, perché uno solo è il vostro Maestro e voi tutti siete fratelli. E non chiamate nessuno vostro ‘padre’ sulla terra, perché uno solo è il Padre vostro, quello del Cielo» (Mt 23, 8-9).

 

Questa ecclesiologia di comunione, così cara ai Padri della Chiesa, è stata riscoperta dalla Chiesa cattolica nel Vaticano II ed è in sintonia, fra il resto, col nostro carisma dell’unità.

Si può subito capire come nel Movimento dei focolari si viva l’ecclesiologia di comunione dal fatto che la premessa al suo Statuto dice: «La mutua e continua carità, che rende possibile l’unità e porta la presenza di Gesù nella collettività, è per i membri dell’Opera di Maria la base della loro vita in ogni suo aspetto: è la norma delle norme, la premessa di ogni altra regola».

Per noi, quindi, essendo base della vita d’unità l’amore reciproco, deve esistere prima la relazione fraterna e l’uguaglianza fra tutti e poi tutto il resto.

Chiara Lubich

 

 

–––––––––––––––––

(continua nel prossimo numero)