«Dove due o tre...»

 

La presenza di Dio nel mondo è unica ma dinamica e multiforme e si manifesta in infiniti modi. Perciò possono costituire particolari luoghi d’incontro con Dio ad esempio la Parola biblica, le persone che credono e amano, i poveri e gli emarginati, i suoi inviati e pastori, l’Eucaristia, e via dicendo. Ognuna di tali presenze è biblicamente fondata e l’esperienza e l’insegnamento della Chiesa le hanno approfondite ed espresse in tanti modi attraverso i secoli.

Una di esse, però, è rimasta in ombra e appare come la “cenerentola” nella consapevolezza ecclesiale. Se alcuni decenni fa si è potuto parlare dello Spirito Santo come del “Dio sconosciuto”, oggi si potrebbe chiamare “sconosciuta” quella speciale presenza divina a cui fa riferimento Mt 18, 20: «dove sono due o tre riuniti nel mio nome, io sono in mezzo a loro».

Di fatto dopo l’epoca dei Padri della Chiesa, la storia rileva che si era quasi perduto l’influsso teologico e spirituale di questa presenza. Basti pensare che «dal Concilio di Calcedonia, celebrato nel 451, questo versetto del Vangelo non è stato più citato in alcun decreto o lettera ufficiale della Chiesa»1.

Oggi è in atto una riscoperta di questa particolare presenza del Cristo, anzi sembra che questa sia la sua epoca. Un segno notevole lo costituisce il fatto che, dopo tanti secoli, esso sia stato citato ripetutamente in diversi documenti del Concilio Vaticano II.

Appare provvidenziale una tale rivalutazione proprio nel nostro tempo, in cui assistiamo nel mondo non solo a cambiamenti, ma a un vero e proprio mutamento epocale, con nuove categorie di pensiero, sensibilità, valori (o disvalori) di riferimento. In mezzo al quale, secondo l’espressione del card. Ratzinger nella recente Via Crucis al Colosseo di Roma, la Chiesa «ci sembra una barca che sta per affondare, una barca che fa acqua da tutte le parti»2. Come in tutte le epoche di grandi passaggi di civiltà, anche nella nostra si avverte di più ciò che crolla che il nuovo che sta nascendo. Questo provoca malessere, ma anche tanta ricerca; ricerca non facile ovviamente, perché si sa quanto sia arduo in tale situazione trovare linguaggi e strade nuove in accordo col disegno di Dio sull’umanità.

Proprio per tutto ciò e per tante altre ragioni si sente, forse come mai prima, la necessità di questa particolare manifestazione di Dio nella comunità, affinché con la sua novità e le caratteristiche sue proprie, possa illuminare le nostre intelligenze ed i nostri passi.

Ma, perché una tale presenza possa esprimere i suoi effetti tipici, bisogna saper mettere le condizioni richieste. Perciò la domanda fondamentale che dobbiamo porci è quella stessa che fecero a Pietro dopo la sua presentazione del Cristo: «Che cosa dobbiamo fare?» (At 2, 37).

Quando ci si riferisce alla presenza di Gesù fra noi – come scriveva K. Hemmerle introducendo un’opera di C. Lubich su questo tema –, stiamo parlando di una realtà che, sebbene abbia un peso e una validità teologica, è più che una semplice riflessione, è un’esperienza da vivere.

In pochi campi come in questo è imprescindibile una scoperta vitale, una conversione. Perché non si tratta, appunto, di condividere un sapere quanto di acquisire una dimestichezza esperienziale. È necessario una specie di cammino iniziatico. Non nel senso di ermetico o riservato a poche persone “elette”, ma di un’esperienza che comporta un modo di fare, un allenamento, una sua ascesi, per cui abbiamo bisogno di lasciarci contagiare e guidare da persone e comunità che quell’esperienza l’abbiano in qualche modo fatta.

Se è vero che ogni crisi è in fondo un’epifania di Dio, non sarà che Dio vuole farci dono, proprio attraverso le attuali vicissitudini storiche, di questo “nuovo” volto della sua presenza?

Non si tratta infatti di una particolarità di coloro che seguono un determinato carisma o spiritualità, ma di una realtà inestimabile che Dio offre a tutti. Un clima di “Gesù in mezzo” – fatto di carità reciproca, di un certo tipo di ascolto e di dialogo, di una dinamica di stile trinitario – promuoverebbe infatti la reciproca comprensione e una complementarietà fra persone di diverse sensibilità e posizioni ideologiche, tanto dentro la Chiesa come in tutte le espressioni umane, dall’economia alla politica, dall’ecologia alla pace, in tutti i settori della cultura e delle culture.

Questo “clima”, questo tipo di rapporti che facilitano il manifestarsi di Dio, costituiscono un apporto fondamentale che l’esperienza e la conseguente riflessione del Movimento dei focolari può offrire all’umanità di oggi e del futuro.

E. C.

 

1)     G. Rossé, Gesù in mezzo. Matteo 18, 20 nell’esegesi contemporanea, Città Nuova, Roma 1972, p. 7.

2)     “L’Osservatore Romano”, 26.3.2005, p. 9 (nona stazione).