Per un approfondimento vitale della teologia della redenzione

 

Gesù abbandonato chiave dell’unità con i fratelli

di mons. Paul Schruers

 

Durante un incontro di vescovi amici del Movimento dei focolari a Edea (Cameroun) nel marzo 2002, il vescovo di Hasselt (Belgio) ha offerto questi appunti di meditazione sul mistero dell’abbandono di Gesù in croce. Con la sua testimonianza di vescovo e teologo, l’autore, intende mettere in luce l’apporto vitale del carisma di Chiara Lubich alla teologia della redenzione.

Alcuni dei vescovi qui presenti mi hanno chiesto di parlare su Gesù crocifisso come punto centrale del carisma di Chiara Lubich e di fare un confronto con la teologia classica della redenzione. è evidente che solo Chiara Lubich stessa può esplicitare il senso profondo di questo tema, come d’altronde ha fatto nei suoi libri L’unità e Gesù abbandonato e Il Grido. Ma come teologo e vescovo che cerca di vivere questa spiritualità, posso testimoniare come questo carisma approfondisce la teologia “classica” e le imprime un nuovo dinamismo.

L’incarnazione è vera fino in fondo

1. Nell’Incarnazione Dio ha posto il baricentro del suo amore nella storia umana. Il Verbo si è fatto carne. Egli ha piantato la sua tenda in mezzo a noi. D’ora in poi, in tutte le situazioni del mondo e in tutti i nostri incontri, c’è sempre qualcosa in più, Qualcuno in più: Gesù, il Figlio di Dio. Per questo semplice fatto, niente nella nostra storia è ormai banale, superficiale, sprovvisto di senso.

2. Ma ci si può domandare: fino a che punto Gesù ha posto la sua tenda nel mondo? L’ha fatto soltanto come un turista che si installa di preferenza nei luoghi più belli di questo mondo o si siede a tavola di amici che lo accolgono benevolmente?

Il fatto è che Gesù ha vissuto la realtà umana fin nelle sue espressioni ultime. Il suo amore è giunto fino ai punti estremi della nostra realtà: fino alla sofferenza. Egli ha vissuto la sofferenza in tutte le sue forme: quella fisica, quella psicologica della solitudine (durante la sua passione) e del tradimento, la sofferenza ultima di non sentire più la prossimità del Padre: «Dio mio Dio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?» (Mc 15, 34).

Che cosa ha fatto Gesù in queste circostanze? Egli ha investito tutto il suo amore in  ogni aspetto della sua sofferenza. Ha rivolto la sua attenzione agli uomini (Giuda, Pietro, il buon ladrone…). Si è affidato totalmente a Dio: «Che la tua volontà sia fatta» (cf Lc 22, 42)… «Nelle tue mani consegno il mio spirito» (Lc 23, 46).

In questo modo egli ha trasformato dal di dentro la sofferenza e ne ha fatto un segno del suo amore. San Paolo dirà: egli «mi ha amato e ha dato se stesso per me» (cf Gal 2, 20; cf Ef 5, 25). San Giovanni afferma che si tratta “dell’ora” di Gesù, quell’ora decisiva della sua gloria che si manifesta proprio nella passione.

Il compito del discepolo

3. Si tratta allora di incontrare Gesù abbandonato in tutte le circostanze del soffrire umano. Dovunque c’è sofferenza fisica, psicologica, metafisica (l’esperienza dell’abbandono “totale”), egli è presente: Gesù abbandonato, che ama con tutto il suo cuore e “trasforma” questa realtà col suo amore. Là dove c’è la sofferenza nella nostra propria vita, nella vita delle nostre famiglie e dei nostri amici, nel mondo, Gesù è veramente presente.

Occorre quindi riconoscerlo. Anzi siamo invitati ad “abbracciare” Gesù abbandonato. Allora siamo vicinissimi a lui e scorgiamo nei suoi occhi, come mai prima, la scintilla dell’amore del Risuscitato.

Inoltre, bisogna unirci con Gesù in tutte queste situazioni investendo, come lui e con lui, il nostro amore in tutti gli aspetti del patire. Quest’amore può assumere differenti forme secondo le circostanze, tra “resistenza e resa” (Bonhoeffer). A volte è chiamato a resistere, in maniera non violenta, all’ingiustizia. Altre volte non può fare null’altro che tenere la mano di chi sta per morire.

Amare «fino alla fine» come Gesù

4. Visto il legame intimo tra l’amore di Gesù e la sua passione e risurrezione, è importante per il cristiano vivere l’amore di Cristo “fino alla fine”. Quest’amore, che pone il baricentro fuori di se stessi, ha molto spesso i connotati della sofferenza, ma è allo stesso tempo caratterizzato dalla pace della risurrezione di Gesù. Vivere Gesù abbandonato è un appello a seguirlo sulla strada dell’amore, della passione, della risurrezione.

Il Vangelo ci indica come va inteso quest’amore alla sequela di Gesù.

Così Marco attualizza ogni annuncio della passione di Cristo con un appello rivolto ai discepoli, a partire da un avvenimento concreto. Seguire Gesù significa: perdere la propria vita per salvarla (cf Mc 8, 35), diventare come un bambino in un mondo ambizioso (cf Mc 9, 34-35), essere il più piccolo e farsi servo, donando la propria vita (cf Mc 10, 45).

L’anima di queste indicazioni concrete per la sequela di Gesù è il duplice comandamento dell’amore (cf Mc 12, 28-34) che si concretizza successivamente nel gesto della povera vedova che dà tutto (cf Mc 12, 41-44) e nel gesto dell’amore sovrabbondante dell’unzione di Gesù da parte di una donna (cf Mc 14, 3-9).

Allo stesso modo, Giovanni ci dice come la triplice confessione d’amore a Gesù da parte di Pietro comporta la disponibilità a lasciar orientare la propria vita e il proprio avvenire da quanti fanno appello a questo amore (cf Gv 21, 15-19).

Come seguire Gesù ogni giorno?

5. Ma come seguire concretamente Gesù abbandonato nella vita di ogni giorno? Si tratta di vivere la logica intrinseca dell’amore cristiano che comporta una certa sofferenza nel dono di sé, ma ugualmente la pace e la gioia che sono i frutti della fedeltà a questa via di Gesù. Egli abbandonato è la chiave dell’unità (con Dio e con i fratelli).

Come attitudine fondamentale si tratta di trasferire, come e con Gesù, il baricentro della propria esistenza fuori di sé. Bisogna essere pronti a donare la propria vita, dando attenzione, prestando servizio, perdonando. È un cammino che può condurci molto lontano al punto da non desiderare più di ritirarci nella roccaforte del proprio io.

Di conseguenza andiamo ad abitare nella patria e nelle case di quelli che soffrono e vivono nella povertà. Ci naturalizziamo per così dire nel loro Paese. Ed essi diventano nostri compatrioti.

A questo punto si realizza in noi il mistero profondo di Gesù, la sua vocazione decisiva, quella del servo sofferente di Jhvh. È il mistero dell’osmosi tra l’amarezza dell’uomo in balia delle forze avverse e la pace del discepolo di Gesù.

Vivendo nel “cuore stesso” di chi soffre (per es. un malato di aids o di cancro), se ne sperimenta al vivo il sentimento dell’abbandono. Ci si lascia permeare da questa amarezza, ma allo stesso tempo la pace del proprio cuore entra in quello dell’uomo che incontriamo. È la vocazione del servo sofferente di Jhvh che Gesù aveva davanti agli occhi e nel cuore durante la sua passione. Questo servo porta i peccati del mondo. Egli è gravemente umiliato e ferito, ma tuttavia diventa per questo stesso fatto luce per il mondo intero. Così i discepoli di Gesù, nella sequela del loro Maestro, abbandonato, morto e risuscitato, sono chiamati, attraverso la solidarietà con la sofferenza degli uomini che essi amano, a diventare luce per il mondo.

+ Paul Schruers