Andare
a Dio per una via evangelica, moderna e adatta all’uomo d’oggi
L’unione con Dio
di
Chiara Lubich
Come vivere l’unione con Dio
pur restando impegnati nelle ordinarie attività di ogni giorno? Chiara Lubich,
parlando ad un convegno di vescovi amici del Movimento dei focolari, ha offerto
una rilettura della sua esperienza incentrata nell’amore del fratello e in Gesù
crocifisso e abbandonato. Una via spirituale percorsa ormai con successo da
innumerevoli persone in tutto il mondo.
In
questi ultimi anni, in tutte le diramazioni della nostra Opera si è cercato di
approfondire ulteriormente i dodici cardini della nostra spiritualità
evangelica dell’unità, personale e comunitaria insieme, ed i suoi sette
aspetti.
Avremmo,
dunque, concluso i temi di carattere spirituale del nostro Movimento, ora
raccolti in un volume intitolato: Una via
nuova1.
Tuttavia
quest’anno – perché suggerito dagli stessi focolarini – s’è pensato di parlare
ancora dell’“Unione con Dio”.
Per
questo, ho cercato di vedere cosa ci ha suggerito, attraverso gli anni, il
nostro carisma in ordine a questo tema.
Ho
preso visione di quanto si può aver detto in documenti rinvenuti nei nostri
archivi: appunti, spunti, esperienze, brani di diari, testimonianze.
Unione
con Dio e amore ai fratelli
Si
sa che, sempre e dovunque, si ha l’unione con Dio facendo la volontà di Dio.
Tuttavia
le diverse e meravigliose spiritualità sorte, attraverso i secoli, nella
Chiesa, hanno spesso una loro particolare via allo scopo, suggerita dal proprio
carisma. Così è di noi.
È
emerso chiaramente nei nostri scritti, che, per noi, la strada tipica,
indiscussa, irrinunciabile, sperimentata con successo, è una: noi arriviamo
all’unione con Dio amando il fratello.
Ripeteva
con insistenza Igino Giordani, il nostro Foco2, confondatore del Movimento, ora
servo di Dio: «Io, il fratello, Dio».
Il
nostro amore a Dio passa attraverso il fratello. Andando per questa strada, Dio
si manifesta dentro di noi; Lo avvertiamo presente. Non siamo più soli noi con
noi stessi. Siamo in due: Egli e noi.
Un
diario ne dà subito conferma:
«È
immancabile, è quasi matematico: quando ti sei sforzato di darti tutto ai
fratelli durante il giorno, se non è di sera, è di notte, Egli ti chiama, ti
vuole per sé. E nel tuo cuore strugge il desiderio d’amarLo, di ripeterGli le
tue più belle intenzioni, di dirGli che esiste solo Lui per te.
E
allora ricordi Lei, Maria, “giardino cintato” e “fonte sigillata” e La
comprendi e La vuoi rivivere».
Un
altro scritto, poi, riguarda un parallelo presente anche negli scritti di santa
Caterina da Siena e di santa Teresa d’Avila:
«Noi
abbiamo una vita intima (la vita interiore) e una vita esterna (la vita di
relazione). L’una dell’altra una fioritura; l’una dell’altra radice; l’una
dell’altra chioma dell’albero della nostra vita».
Facciamo,
infatti, il paragone della pianticella: delle sue radici e del suo fusticino.
Le radici rappresentano l’amore di Dio. Il fusticino, con la chioma, l’amore
del prossimo.
Abbiamo
sperimentato sempre che più amiamo Dio (amore rappresentato dalle radici) più
amiamo il prossimo (più cresce il fusticino della pianta). E più amiamo il
prossimo più amiamo Dio (più le radici affondano nel terreno).
È
una costatazione questa così importante che merita citare le seguenti conferme:
Papa
Gregorio Magno servendosi, anche lui, del nostro esempio della radichetta e
della pianticella, dice: «Due sono i precetti della carità e cioè l’amore di
Dio e l’amore del prossimo. Dall’amore di Dio nasce l’amore del prossimo; e
l’amore del prossimo nutre l’amore di Dio»3.
Mentre
san Giovanni della Croce costata: «Quando l’amore che si porta alla creatura è
un affetto tutto spirituale e fondato su Dio solo, man mano che cresce, cresce
anche l’amore di Dio nella nostra anima; (…) questi due amori crescono a gara
l’uno con l’altro»4.
Interessante
la seguente pagina di diario che spiega come, anche nell’amare, tutto avviene
secondo la logica evangelica: con la misura con cui noi amiamo il fratello (se
noi lo amiamo, ad esempio, con tutto il cuore, la mente, le forze), con la
stessa misura Dio ama noi (e cioè si manifesta pienamente).
È
una pagina che viene incontro anche a coloro che desiderano arrivare all’unione
con Dio, senza troppo attendere:
«C’è
un modo di arrivare all’unione con Dio abbastanza svelto. Esso ti porta
dapprima a sperimentare tale unione di tanto in tanto, poi sempre più
frequentemente, finché diventa permanente, mèta che si può raggiungere con la
nostra spiritualità.
È
questo: se tu fai, ad esempio, un colloquio col fratello, ed entri in lui
perfettamente, condividendo i suoi problemi, le sue idee, tutto quanto è suo;
se tu lo accogli veramente e completamente in te, e, per questo tuo amore, ti
fai pure accettare da lui, sicché puoi dirgli il tuo pensiero, trovi la strada
più svelta per arrivare all’unione con Dio e al colloquio con Lui».
In
questo modo hanno vissuto nostri fratelli e sorelle che – secondo noi – hanno
raggiunto la perfezione.
Per
segnalarne uno, partito recentemente da questa terra, ecco Ulisse Caglioni,
focolarino, responsabile del Movimento dei focolari in Algeria.
È
stato l’amore al fratello che lo ha fatto grande, vero, autentico.
È
stato quel suo modo di essere, quel suo essere amore, anche il motivo degli
innumerevoli frutti che ha portato, frutti che si possono riassumere in uno,
preziosissimo: aver irradiato l’Ideale dell’unità e spalancato l’Opera di Maria
ad un brano di umanità musulmana.
Farouk,
un musulmano suo amico, scrive ad Ulisse: «La cosa più bella, che hai
“costruito”, è l’Ideale5 in “terra” d’Islam, nel cuore dei musulmani. Oggi
l’Ideale è nostro. Oggi esiste una comunità, un popolo (nuovo) in mezzo ai
musulmani».
«Per
il fratello – hanno scritto – lasciava cadere tutto; il rapporto era la cosa
più importante per lui, ora diremmo sacra.
Ciò
che conquistava era proprio questo perdere tempo per i fratelli. Ulisse “ha
perso tempo” e ha “guadagnato tempo”».
E
ancora un altro esempio: don Dario Porta, sacerdote focolarino, di cui si sta
studiando la vita per avviarlo agli altari, così come è di una quindicina di
altri fratelli o sorelle nostri di varie vocazioni, anche più avanti nel
processo.
Per
capire chi era don Dario e come ha imboccato la strada giusta, basta ricordare
qualche pensiero del suo diario:
«Poter
dire alla fine della vita: “Ho sempre amato il fratello”»6
«Meditazione
(su Mt 5, 29-307): perdere un occhio
o una mano, ma non perdere il fratello»8.
E
finiamo qui per quanto riguarda la nostra tipica via per arrivare all’unione
con Dio: il fratello. Ma non senza evidenziare un paradosso della nostra via
spirituale, personale e collettiva insieme: se nelle spiritualità
prevalentemente individuali, vissute, ad esempio, dai Padri del deserto e poi
più avanti, come appare nell’Imitazione
di Cristo, e più avanti ancora, il fratello è un ostacolo da sfuggire per
crescere nell’unione con Dio, strada per la quale, del resto, si sono fatti
santi e sante innumerevoli persone, qui il fratello è la via principale per
raggiungerla: giochi dello Spirito Santo, sempre sorprendente e nuovo!
Unione
con Dio e Gesù crocifisso e abbandonato
C’è,
nella nostra via, un secondo modo di trovare l’unione con Dio: accogliere nel
dolore, in ogni sofferenza fisica o morale, in ogni frattura o divisione e
persino nel dolore per il peccato, Gesù abbandonato.
E
ciò perché, come dicono i Padri: «Tutto ciò che è stato assunto è stato
redento». Commenta il teologo K. Rahner: «Tutto quello che Egli ha assunto è
redento, perché in tal modo esso è diventato vita e destino di Dio stesso. Egli
ha assunto la morte; dunque la morte deve essere qualche cosa di più di un
tramonto nel vuoto assurdo. Egli ha assunto di essere abbandonato; dunque la
tetra solitudine deve racchiudere in sé anche la promessa di una felice
vicinanza divina. Egli ha assunto la mancanza di successo. Dunque la sconfitta
può essere una vittoria. Egli ha assunto di essere abbandonato da Dio. Dunque
Dio è vicino anche quando noi pensiamo di essere da Lui abbandonati. Egli ha
assunto tutto, dunque tutto è redento»9.
L’autentico
nostro amore per Gesù abbandonato, infatti, sfocia nel Risorto con la presenza
nelle nostre anime dello Spirito Santo ed i suoi doni: pace, gioia, luce, nuova
forza alla nostra volontà.
E
sappiamo qual è il miglior modo per accogliere Gesù abbandonato nelle varie
sofferenze.
Di
fronte ad esse io devo dire: «Se Egli ha assunto tutti i dolori, le divisioni,
i traumi, posso pensare che, dove vedo una sofferenza, vedo anche Lui. Questa
sofferenza mi ricorda Lui, dietro ad essa c’è Lui, è una sua presenza, un suo
volto».
E,
come ha fatto Lui, che si è riabbandonato al Padre che l’abbandonava, anche noi
dobbiamo andare al di là della prova e superarla col dire: «Amo in essa Te,
Gesù abbandonato, un Tuo volto: Ti voglio, Ti abbraccio!».
Se
siamo poi così pronti ed attenti a continuare ad amare la volontà di Dio, nel
momento seguente, sperimentiamo che, il più delle volte, il dolore, come per
un’alchimia divina, sparisce e subentra l’amore.
È
scritto pure che un modo per trovare l’unione con Dio frequentemente, fino ad
averla sempre, è abbracciare Gesù abbandonato tante volte: è quindi fatica. Ma
si arriva.
«Sentire
l’unione con Dio, avvertire la presenza di Dio è la cosa più preziosa che
possiamo sperimentare. E quello a cui si tende è di averla costantemente,
sempre e subito, ogniqualvolta ci si raccoglie. Bisogna arrivare a questo
punto! In ogni momento della giornata e della notte, entrata in me, Lo devo
trovare.
Per
arrivarvi bisogna faticare tanto e abbracciare tante tante volte Gesù
crocifisso e abbandonato. È l’esperienza e l’obiettivo di quelli che fanno
questo nostro cammino spirituale: trovare Gesù sempre e subito».
In
un altro diario, si narrano gli effetti dell’aver amato Gesù abbandonato tutto
il giorno.
«È
indicibile ciò che ho provato ieri avendo amato Gesù abbandonato: è gioia
segreta, commozione d’anima, soprattutto sensazione profondissima di natura
soprannaturale, di aver trovato la mia strada, l’alveo della mia vita. È questa
la mia vocazione: Gesù abbandonato.
Devo
poter ripetere: “Ho un solo Sposo sulla terra: Gesù abbandonato; non ho altro
Dio fuori di Lui”.
Sì,
non ho alternativa, non altra vita, non altra stella, non altro Cielo, non
altro amore fuori di Lui.
E
allora amarLo dovunque Lo incontro, (…) imitarLo come sposa».
Per
quanto riguarda il rapporto fra Gesù abbandonato e l’unione con Dio, in un
diario si chiarisce che amare Gesù abbandonato significa accogliere con amore i
distacchi e le croci.
«Sin
da ieri mi passa nell’anima questo pensiero: devo amare il distacco e devo
amare il patire. Perché? Perché sono le due condizioni per seguire Gesù:
rinuncia e croce. “Chi vuol venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la
sua croce e mi segua” (Lc 9, 23).
Più
precisamente devo amare Gesù abbandonato che è il culmine del patire (ed è
presente in ogni sofferenza) ed è il totale, abissale distacco.
Ho
l’impressione che, con queste potature, la vita della mia anima cominci a
irrobustirsi (e) fluisca l’unzione».
In
quest’altro brano si afferma che, se l’amore a Gesù abbandonato è al massimo
grado, l’anima è ripiena di Dio.
«Quando
un’anima è innamorata di Gesù abbandonato e non vede altro nella sua vita,
perché ha scelto Lui e, quando Lui viene, nel suo cuore canta come la sposa
quando arriva lo sposo: quest’anima è sempre piena di Dio. Chi vive di questo
amore è logico che arrivi celerissimamente all’unione con Dio e quindi
all’unione con tutti quelli che amano Dio».
La
seguente è una pagina nota, ma ho voluto trascrivere almeno alcuni versi perché
l’argomento che tratta è importante. Anche se non si nomina Gesù abbandonato, è
Lui che si ama nel dolore. Infatti, è evidente anche qui l’alchimia, il
passaggio alla gioia.
«T’ho trovato in tanti luoghi, Signore!
Nel silenzio altissimo
d’una chiesetta alpina,
nella penombra del tabernacolo
di una cattedrale vuota.
T’ho trovato nella gioia.
Ti cerco e spesso ti trovo.
Ma dove sempre ti trovo
è nel dolore.
Un dolore, un qualsiasi dolore,
è come il suono della campanella
che chiama la sposa di Dio alla preghiera.
Quando l’ombra della croce appare,
l’anima si raccoglie
nel tabernacolo del suo intimo
e ti “vede” e ti parla.
Sei Tu che mi vieni a visitare.
Sono io che ti rispondo:
“Eccomi Signore, Te voglio, Te ho voluto”.
E in quest’incontro
l’anima mia non sente il suo dolore,
ma è come inebriata dal tuo amore,
impregnata di Te:
io in Te, Tu in me».
E
sempre a proposito del Risorto, che fiorisce in noi amando Gesù abbandonato,
vorrei concludere con un mio scritto che penso degli anni ’50, in cui si
avverte l’influenza del carisma; scritto assai personale, a forma di preghiera,
che mi permetto di leggere perché la comunione con loro sia piena, e seguendo
la norma: “Sacramenta regis abscondere
bonum est, sed revelare optimum est”10 (Tb
12, 11). In esso è descritta forse la prima volta in cui ho sperimentato il
passaggio dal dolore alla gioia perché ho amato Gesù abbandonato.
«Ricordi
Gesù, quando giovane ancora, Ti chiedevo di penetrare i Tuoi dolori e cercavo
le Tue piaghe come adito al Tuo Cuore per scoprirvi il Mistero della Tua
Passione e Ti chiedevo: “Dammi la passione della Tua Passione!”?
Com’era
impenetrabile il Tuo Dolore!
E come lo vedevo inaccessibile! Ma Tu hai ascoltato il desiderio che Tu stesso
avevi messo in me, e la preghiera, e hai cominciato l’opera, facendomi gustare
qualcosa delle Tue pene.
Dapprima
ho capito che esisteva nel Tuo Cuore una Piaga recondita, sconosciuta, mai
scoperta; tutta spirituale, di fronte alla quale la Piaga del Costato mi sembrava
poca cosa: era la piaga dell’abbandono: il Trauma terribile della Tua anima.
Poi
piano piano mi hai fatto penetrare il Tuo dolore, l’infinito Tuo dolore!11
E,
cosa inaudita, al di là della porta che mi parlava di morte e di angoscia
infinita, ho trovato l’Amore ed è scomparso il dolore.
Ho
trovato la legge della Vita.
Gesù,
Tu sai quello che dico.
Chi
entra nel Tuo infinito dolore trova, come per incanto, tutto tramutato in
Amore.
Ho
trovato il tesoro nascosto, ogni scienza, ogni beltà, ogni bontà, ogni amore:
ho trovato la Vita.
Gesù,
dov’è il Tuo grande Dolore?
Lo
sapevo che eri tutto Amore. Ma che fossi proprio così non l’avrei mai
immaginato. (…)
Chi
mi capirà? Tu, Gesù, mi comprendi perché sono in Te e Tu in me. E quelli che
con me sono in Te.
Dammi
d’amarTi come Tu mi ami».
Ci
siamo soffermati fin qui su due vie all’unione con Dio: l’amore ai fratelli
e Gesù abbandonato.
Sarebbero
da considerare altri modi per arrivare all’unione con Dio secondo il nostro
carisma. Ma fermiamoci qui.
L’unione
con Dio si può percepire
Alla
fine del dicembre 2003 si sono svolti
qui a Castel Gandolfo tre incontri, ciascuno con circa 1500 focolarini o
focolarine consacrati a Dio ed anche focolarini e focolarine sposati consacrati
a Dio con promesse. Più tardi con 700 sacerdoti focolarini.
Dopo
aver parlato con loro di questo tema, si è costatato che l’unione con Dio si
può percepire, si può sentire in qualche modo con i sensi dell’anima. Anche se
siamo nel campo soprannaturale, non si ha sempre l’unione solo per fede, ma in
modo tale, ad esempio, che si può dare un nome a ciò che si sente: si vede
qualcosa, si ode, si tocca, si odora, si gusta.
È
quanto dicono diversi Padri della Chiesa.
La
prima testimonianza significativa è quella di Origene, per il quale l’uomo,
oltre ai sensi corporali, possiede cinque sensi spirituali, chiamati pure sensi
divini, sensi dell’anima, sensi dell’uomo interiore.
Egli
distingue, in ciascuno di noi, l’uomo esteriore e l’uomo interiore, spirituale,
che hanno rispettivamente sensi corporali e spirituali.
I
sensi corporali servono a farci conoscere le realtà materiali, quelli
spirituali ci permettono di percepire le realtà spirituali, invisibili, eterne,
divine. Egli trova il fondamento di questo nella Scrittura, nei Proverbi di
Salomone (Pro 2, 5)[1]12.
Non
si verificano tra noi certi fatti mistici tipo estasi, visioni, bilocazioni,
sollevamento da terra, anche se in determinati momenti della nostra storia ci
sono state date grazie di luce particolari.
Esiste
però – come ho detto – l’unione con Dio sperimentata. Anzi la mia impressione è
che tutti coloro che camminano per questa via, ne hanno già percepito qualcosa.
Il nostro Ideale, infatti, è ascetica e mistica insieme: ascetica perché
richiede sforzo personale (come nel dovere d’amarsi); mistica perché, per
arrivare all’unità, ad avere Gesù in mezzo a noi, occorre un dono dal Cielo
che, in genere, riceviamo attraverso l’Eucaristia.
Qualche
esempio di questo nostro percepire l’unione con Dio nei diari:
«Se
si va per questa strada, Dio si manifesta dentro di noi. Sentiamo una pace
nuova (non quella della non guerra, dell’indifferenza, della non violenza: pace
“negativa”, ma la pace positiva, procurataci da Gesù, Principe della Pace,
effetto della redenzione). Sentiamo una gioia
nuova (non come quella del mondo, a volte sfrenata, senza controllo, ma
diversa, intensa, purificata dell’umano). Sentiamo un’intimità (si sveglia dentro di noi una realtà soprannaturale:
affiora, come ho già detto, la realtà di
un Altro: Dio, oltre noi, Dio che è amore perché chiede rapporto). Sentiamo
una forza nuova (nella volontà) che non avevamo prima nonostante i
nostri propositi».
A
proposito dell’effetto che si ha per aver amato il fratello, ecco un brano:
«L’anima,
quando tutto il giorno ha perso
volentieri il Dio in sé per trasferirsi nel fratello e avrà fatto ciò per amore
di Gesù crocifisso e abbandonato che lascia Dio per Dio (e proprio Dio in sé
per il Dio presente o nascituro nel fratello...), ritornata su se stessa o
meglio sul Dio in sé, ritroverà la
carezza dello Spirito che – perché Amore – è Amore per davvero, dato che Dio non può venir meno alla sua
parola e dà a chi ha dato: dà amore a chi ha amato».
Non
è così, spesso, in altre spiritualità, che parlano di aridità anche prolungate.
Si
comincia ad avvertire quello che i mistici chiamano: il centro dell’anima dove Lui è.
«E
c’è un’oasi nell’anima, che m’attira come l’unico regno di pace, d’amore... ma
così diversa, così diversa dal resto! Signore, tu mi chiami, mi richiami, mi
attiri, mi vuoi! Come sei il Solo per l’anima, quando l’anima è in questa
disposizione!».
Genera
l’unione la presenza di Gesù Eucaristia
e indica la mèta:
«Da
qualche giorno ho incominciato una vita di più
intensa unione con Dio. Il fatto è che abita nella mia casa, è al di là
della mia porta e m’accorgo che (...) opera. Si fa sentire delicatissimamente,
ma, se lo si accoglie, prende più spazio,
lasciando l’anima più propensa ed abituata quasi a questa divina convivenza.
Nello
stesso tempo però sento che Lui mi chiama a salire verso la meta, nell’Altra
Vita».
Egli
chiama (ecco la voce!) anche durante la
meditazione. Penso che ciò avvenga soprattutto a persone spiritualmente un
po’ mature:
«Provo
a leggere, a far meditazione, ma debbo smettere per stare con Te».
È
Gesù che chiama, perché sa che abbiamo bisogno di Lui:
«Ho
bisogno di Te per rivedere la mia vita con Te, per fare con Te i miei, i tuoi
calcoli. Per dar senso poi a quanto dovrò fare, quando dovrò lasciarti».
Altro
effetto della Sua presenza: la nostalgia
del Paradiso, come dice questo brano:
«Alle
volte ci prende una nostalgia di Paradiso. Alle volte sentiamo il peso della
vita quaggiù e dell’attesa.
Ma
subito Qualcuno ci chiama dentro a raccoglierci soli con l’Eterno e a dirci e a
consolarci e a rassegnarci a continuare la vita così, finché Lui vorrà.
Sono
momenti in cui ti senti come un bimbo preso e stretto fra le braccia della
madre dove più nulla ormai ti manca ed, in quel ristoro, riprendi forza e senti
però che no, non è bene andar subito a godere in eterno ciò che la bontà di Dio
ci ha preparato, e che, fra il resto, non è nemmeno giusto; che un’eternità
beata occorre meritarsela; e rifioriscono, come col sole a primavera i fiori,
propositi veri d’eroismo quotidiano, decisioni di vivere bene, fino alla
perfezione, i giorni che rimangono».
Si
hanno poi luci speciali. Un diario
dice:
«M’è
arrivata una luce che ritengo una delle più luminose della mia vita: l’idea che
la mia vita ha un solo motivo: Gesù.
Voglio
vivere per incontrarLo nel migliore dei modi, così, proprio così come si
prepara una sposa alle nozze.
Questa
vita per noi, consacrati, è un lungo fidanzamento. Ma le nozze più vere sono
lì, in quel giorno».
A
forza di vivere l’unione con Dio, essa diventa
permanente e guai se manca!
«Da
tempo non riesco a vivere senza l’unione con Te, Gesù. Quando per un momento mi
manca, annaspo, cerco, sono orfana; al mondo non c’è nessuno per me. Allora Ti
ritrovo ed in Te il PERCHÉ della vita. Ma quanto diverso questo PERCHÉ da
quello di una volta! Una volta era uno scopo da raggiungere che m’ero prefissa,
sempre col tuo aiuto, s’intende. Ora, senza di Te, non vivo, non c’è VITA per
me, non riesco più a vivere.
Così
doveva essere: che Dio fosse tutto per una creatura».
Vorrei
concludere questo tema, offrendo una mia esperienza, che s’è ripetuta poi
un’altra volta, sempre riguardante l’unione con Dio ed il percepirla con i
sensi dell’anima.
Dice
un diario:
«Mi
succede che io faccio, ad esempio, in un’udienza, una grande unità col Papa,
così, come figliola, ed ecco che ho l’impressione che il Cielo si apra e che io
sia collegata con Dio, in grande unione, senza
intermediari; sento una unione con Dio densissima».
Chiara Lubich
01) C. Lubich, Una via nuova. La spiritualità dell’unità, Città Nuova, Roma 2002.
02) Così chiamato familiarmente nel Movimento dei focolari.
03) Gregorio Magno, Moralia in Iob, libro 7, 28 (Gb 24, 14) (PL 75, 780-781; cf Città Nuova, Roma 1992, pp. 566-567).
04) Giovanni della Croce, Maximes et avis spirituels, 129, I, p. 409, cit. da P. Descouvemont, Teresa di Lisieux e il suo prossimo, Roma 1977, p. 226; cf Giovanni della Croce, Notte Oscura, lib. I, cap. 4, n. 7, in Id., Opere, Postulazione generale dei Carmelitani scalzi, Roma 1963, pp. 363-364.
05) Si intende: l’Ideale dell’unità (n.d.r.).
06) Cf Dario Porta. Testimone dell’Amore gratuito, a cura di Piero Viola, Parma 1996, p. 33.
07) “Se il tuo occhio destro ti è occasione di scandalo, cavalo… E se la tua mano destra ti è occasione di scandalo, tagliala…”.
08) Dario Porta, cit., p. 57.
09) K. Rahner, Misteri della vita di Cristo. Ecce homo!, in Nuovi Saggi, II, Roma 1968, pp. 173-174.
10) «È bene nascondere il segreto del re, mentre è cosa gloriosa rivelare le opere di Dio».
11) Quando, forse, l’ho visto sotto mille aspetti, sotto mille volti ed ho cercato di amarlo così.
12) Cf Origene, Commento al Cantico dei Cantici, I, 1, 3-4, Città Nuova, Roma 1976, pp. 93-96.