Chiamati a santificarci insieme

«Chiamati ad essere santi insieme a tutti quelli che in ogni luogo invocano il nome del Signore nostro Gesù Cristo» (1Cor 1, 2). Nello spirito di questa espressione dell’apostolo Paolo, il Concilio Vaticano II afferma che «tutti i fedeli di qualsiasi stato o grado sono chiamati alla pienezza della vita cristiana e alla perfezione della carità e tale santità promuove nella stessa società terrena un tenore di vita più umano» (LG n. 40).

La santità – come asserisce il testo – è nella sua essenza perfezione nella carità. Essa tuttavia è destinata ad assumere, nel corso dei tempi, lineamenti diversi ed imprevedibili: espressioni della infinita fantasia dello Spirito Santo, che fa sempre nuove tutte le cose (cf Ap 21, 5). Come un artista nel disegnare la figura umana – definita nella sua “struttura costitutiva” da elementi comuni e ritornanti – può ideare inesauribili forme e variazioni cromatiche, così lo Spirito suscita nella storia della Chiesa stupefacenti ed inedite fisionomie di santità.

È possibile ripercorrere le varie “stagioni” ecclesiali rilevando come in ciascuna di esse – in una meravigliosa sintesi di novità e tradizione – la santità assuma “volti particolari”: essi, pur mostrando individualità inconfondibili, presentano nei tratti fondamentali chiare somiglianze, legate alla spiritualità e alla cultura del tempo. In questa splendida e vivente “galleria dei santi” – che la Chiesa con fierezza espone alla contemplazione dei credenti e degli uomini di buona volontà – compaiono capolavori che è possibile (ci si passi l’espressione) raccogliere in “sezioni epocali”, ciascuna delle quali è connotata da “aspetti ricorrenti” e da irrepetibili originalità (si pensi – a puro titolo esemplificativo – agli eremiti, alle grandi correnti del monachesimo, agli ordini mendicanti, alla straordinaria fioritura delle congregazioni di vita attiva e degli istituti missionari, ecc.).

Nel nostro tempo sono certamente numerosi i profili della santità, ma anche in questa pluralità è riscontrabile, a mio avviso, l’emergenza di una matrice comune, che denominerei la tendenza a vivere una “santità-di-comunione”, la cui “nota” dominante consiste nel primato assegnato all’amore che genera l’unità.

Sembra, perciò, in via di superamento una concezione prevalentemente “individualistica” della santità, intesa come scalata solitaria verso la perfezione cristiana. Molti segnali attestano che nella nostra epoca la tensione alla pienezza evangelica – pur mantenendo tutto il positivo maturato nei precedenti periodi – stia assumendo, con rapide progressioni, dimensioni più marcatamente relazionali e comunitarie.

Tale dinamismo appare meglio comprensibile se inquadrato nel contesto della ecclesiologia di comunione che, come è noto, rappresenta «l’idea centrale e fondamentale nei documenti del Concilio» (ChL n. 19). A partire da questo evento-svolta il riferimento alla koinonia costituisce l’asse di gravitazione teologico-pastorale di tutti i successivi pronunciamenti del Magistero, fino alla recente lettera apostolica di Giovanni Paolo II, Novo Millennio Ineunte.

La “riscoperta” del primato della koinonia trinitaria ed ecclesiale è simile ad una corrente sapienziale che, alimentata dallo Spirito, ha fluito lungamente negli strati profondi della Chiesa: poi, specie a partire dal Concilio, ha cominciato ad erompere con forza crescente sul terreno istituzionale-magisteriale. Ma prima ancora – e con un gettito non meno denso e creativo – questo formidabile dinamismo evangelico è spesso comparso sul versante profetico-carismatico della comunità cristiana, rappresentato sia da “figure di frontiera”, che hanno intravisto ed annunciato i nuovi tempi, come anche dalla variegata fioritura di Movimenti ecclesiali e Associazioni culturali che, come una rigogliosa ed inaspettata primavera, hanno arricchito di straordinarie prospettive apostoliche la Chiesa del nostro tempo.

Si capisce, allora, che da una “ecclesiologia di comunione” non possa che derivare una “santità di comunione”.

+ Giuseppe Petrocchi