pietà popolare
e liturgia

Vale la pena leggere per intero il “Direttorio su pietà popolare e liturgia. Principi e orientamenti”. Riportiamo qui ampi stralci delle parole pronunciate dal card. Jorge A. Medina Estévez, prefetto della Congregazione per il Culto, durante la conferenza stampa  di presentazione di questo documento.

«Insieme alla celebrazione liturgica, “fonte e culmine della vita della Chiesa”, come ricorda il Concilio Vaticano II, la tradizione testimonia una grande ricchezza di modalità di orazione privata e comunitaria: è l’ambito generalmente chiamato pietà popolare o religiosità popolare o devozionale, avente una significativa incidenza nella vita spirituale dei fedeli. (...)

La Chiesa ha sentito la necessità di redigere un Documento che richiamasse i principi e desse indicazioni ed orientamenti al fine di maturare quell’armonizzazione tra Liturgia e pietà popolare auspicato dai Padri del Concilio Vaticano II.

I. La pietà popolare
è un tesoro della Chiesa

Per capirlo, basti immaginare la povertà che ne risulterebbe per la storia della spiritualità cristiana d’Occidente l’assenza del Rosario o della Via Crucis. Sono due esempi soltanto, ma sufficientemente evidenti della posta in gioco.

Qualcuno potrebbe obiettare circa la preziosità della pietà popolare, citando al contrario pratiche di superstizione falsamente rivestite di religiosità. Dunque, proprio per aiutare a riflettere e a discernere con sapienza in tale materia, si è preparato il Direttorio. Dopo il Concilio Vaticano II, restava ancora, per certi versi, da affrontare il discorso toccato da Sacrosanctum Concilium sul rapporto tra Liturgia e pietà popolare.

Nell’affermare il primato della Liturgia, «culmine a cui tende l’azione della Chiesa e, insieme, fonte da cui promana tutta la sua virtù» (SC l0), il Concilio ricordava anche che «la vita spirituale non si esaurisce nella partecipazione alla sola Liturgia» (ibid. 12). Ad alimentare la vita spirituale dei fedeli vi sono, infatti, anche «i pii esercizi del popolo cristiano», specialmente quelli raccomandati dalla Sede Apostolica e praticati nelle Chiese particolari su mandato o con l’approvazione del Vescovo. Nel richiamare l’importanza che tali espressioni cultuali siano conformi alle leggi e alle norme della Chiesa, i Padri conciliari ne hanno tracciato l’ambito della comprensione teologica e pastorale: «i pii esercizi siano ordinati in modo da essere in armonia con la sacra Liturgia, da essa traggano in qualche modo ispirazione, e ad essa, data la sua natura di gran lunga superiore, conducano il popolo cristiano» (ibid. 13).

L’argomento della pietà popolare fu riproposto tra i compiti del rinnovamento postconciliare dallo stesso Giovanni Paolo Il nella Lettera apostolica Vicesimus quintus annus: la «pietà popolare non può essere né ignorata, né trattata con indifferenza o disprezzo, perché è ricca di valori, e già di per sé esprime l’atteggiamento religioso di fronte a Dio. Ma essa ha bisogno di essere di continuo evangelizzata, affinché la fede, che esprime, divenga un atto sempre più maturo ed autentico. Tanto i pii esercizi del popolo cristiano, quanto altre forme di devozione, sono accolti e raccomandati purché non sostituiscano e non si mescolino alle celebrazioni liturgiche. Un’autentica pastorale liturgica saprà appoggiarsi sulle ricchezze della pietà popolare, purificarle e orientarle verso la Liturgia come offerta dei popoli» (n. 18).

Ecco allora l’importanza di conoscere il valore della pietà popolare, di tutelarne la genuina sostanza, di purificarla dove fosse necessario, di illuminarla con la luce della Sacra Scrittura, di orientarla alla Sacra Liturgia, senza contrapporla ad essa.

II. La pietà popolare
è espressione della fede

È risaputo che la fede non è tanto misurata dalla conoscenza intellettuale che se ne ha, quanto dalla sua pratica nelle circostanze concrete della vita. In quest’ottica, le molteplici forme di genuina pietà popolare sono anzitutto la testimonianza della fede dei semplici di cuore, espressa in modo immediato, sottolineando l’uno o l’altro accento senza pretendere di abbracciare tutto il contenuto della fede cristiana. Gli stessi elementi “sensibili”, “corporali”, “visibili”, che caratterizzano la pietà popolare, sono il segno dell’interiore desiderio dei fedeli di dire la propria adesione a Cristo, l’amore alla Vergine Maria, l’invocazione dei Santi: toccare un’immagine del Crocifisso o della Beata Vergine Addolorata ha il senso di volere in qualche modo avere a che fare con quel dolore; fare un pellegrinaggio a piedi, affrontando fatica e spese, è un segno per manifestare l’interiore desiderio di avvicinarsi al mistero reso visibile dal santuario.

Le genuine manifestazioni di pietà popolare affondano sempre, in un modo o nell’altro, le loro radici nei misteri della fede cristiana, sebbene talvolta abbiano elementi di origine pre-cristiana. Il Direttorio aiuta a far emergere le linee di convergenza con la Rivelazione cristiana o a operare una “evangelizzazione” di tali forme. Se il passare del tempo e il cambiamento di mentalità e della società hanno potuto offuscarne talvolta la riconoscibilità “cristiana” o enfatizzarne l’esteriorità a scapito dellà, è compito dei Pastori della Chiesa aiutare a riscoprire, in tali manifestazioni, il legame vitale con il credere e il vivere in Cristo. (...)

Lo ha ricordato recentemente il Santo Padre nel Messaggio rivolto nel settembre del 2001 alla Plenaria della Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti: «La religiosità popolare, che si esprime in forme diversificate e diffuse, quando è genuina, ha come sorgente la fede e dev’essere, pertanto, apprezzata e favorita. Essa, nelle sue manifestazioni più autentiche, non si contrappone alla centralità della Sacra Liturgia, ma, favorendo la fede del popolo che la considera una sua connaturale espressione religiosa, predispone alla celebrazione dei sacri misteri. Il corretto rapporto tra queste due espressioni di fede deve tener presenti alcuni punti fermi e, tra questi, innanzitutto che la Liturgia è il centro della vita della Chiesa e nessun’ altra espressione religiosa può sostituirla od essere considerata allo stesso livello.

È importante ribadire, inoltre, che la religiosità popolare ha il suo naturale coronamento nella celebrazione liturgica, verso la quale, pur non confluendovi abitualmente, deve idealmente orientarsi, e ciò deve essere illustrato con un’appropriata catechesi» (nn. 4-5).

III. La pietà popolare ha il suo risvolto
nella vita, sia privata che pubblica

Ha ancora senso portare un abito votivo, baciare un’immagine sacra, recarsi ad un santuario in pellegrinaggio, appendere un Crocifisso alle pareti di casa o negli ambienti di lavoro, fare suffragi per l’anima di un defunto? E quale è il loro autentico significato, in modo che sia la santità della vita a manifestarsi attraverso tali segni e gesti?

Le pagine del Direttorio aiutano a rispondere a queste domande, raccogliendo istanze e problematiche, sottolineando valori e pericoli, richiamando i criteri teologico-liturgici alla cui luce orientare le scelte concrete. Nell’esporre questa complessa materia, qual è appunto la pietà popolare, si sono tenuti presenti il passato e il presente, la teologia e la pastorale, il vissuto dei singoli fedeli e delle comunità cristiane, nel rispetto delle loro tradizioni e del contesto culturale diversificato a seconda dei Paesi. Sarà compito dei Vescovi, con l’aiuto dei loro diretti collaboratori, in modo speciale i Rettori dei santuari, stabilire norme e dare orientamenti concreti tenendo conto delle situazioni locali. (...)

Sono passati ormai una quarantina d’anni dal rinnovamento voluto dal Concilio Vaticano II: l’augurio è che il presente Direttorio contribuisca a far maturare nel popolo cristiano quell’autentica vita spirituale che si sviluppa in maniera fruttuosa attraverso la celebrazione liturgica del mistero di Cristo e le altre forme di preghiera che da essa traggono ispirazione e ad essa conducono.

 

Card. Jorge A. Medina Estévez