Partendo da una tradizionale novena un parroco riesce ad illuminare

col Vangelo gli aspetti concreti della vita quotidiana

 

Far brillare nella parrocchia i colori dell’arcobaleno

 

L’autore, sacerdote della diocesi di Lecce, dopo aver lavorato come vicario in alcune parrocchie, da circa sette anni è parroco ad Arnesano, un piccolo paese della provincia salentina. Egli, partendo dalla religiosità popolare e ispirandosi alla spiritualità dell’unità del Focolare, ha trasformato la tradizionale novena di Natale in un momento forte di evangelizzazione. Abbiamo voluto farci dire da lui stesso qualcosa su questa esperienza tipica di pedagogia pastorale.

Una scoperta attraente:
la vita di comunione tra sacerdoti

Gen’s: Eri ancora in seminario quando hai conosciuto il Movimento dei focolari. Cos’è che ti ha maggiormente colpito di questo stile di vita che ti veniva proposto?

Frequentavo il quinto ginnasio quando un sacerdote mi invitò a vivere insieme a lui una frase presa dal Nuovo Testamento: «Non abbiate alcun debito con nessuno, se non quello di un amore vicendevole» (Rm 8, 13). Accettai la proposta, perché mi sembrava una cosa bella impostare la vita cristiana sulla Parola anziché su tante altre pratiche fatte di preghiere e devozioni, ma non immaginavo minimamente quello che avrebbe provocato nella mia vita. Il vivere il Vangelo, da quel giorno di 25 anni fa che io ricordo e celebro ogni anno come il giorno del mio incontro con Dio, ha cambiato completamente la mia esistenza.

Ho sperimentato personalmente quello che dice l’apostolo Pietro nella sua prima lettera: «Siamo stati rigenerati da un seme immortale, cioè dalla Parola di Dio viva ed eterna» (1Pt 1, 23). Dello stile di vita che mi veniva proposto mi ha colpito la semplicità e la profondità che ne derivavano.

Senza che nessuno me lo suggerisse ho ricuperato il senso della preghiera ed ho scoperto che tutto quello che avevo imparato in cinque anni di seminario si componeva in armonia intorno alla figura di Gesù, non più sperimentato come un’idea astratta ma come una persona viva che operava nella mia vita.

Anche la mia vocazione a seguire Gesù si chiarì. Ma sicuramente l’effetto più sconvolgente, per me che ero molto timido, fu la nascita di un clima di famiglia tra tutti coloro che ben presto venivano attirati dalla vita nuova che avevo iniziato con altri sacerdoti. Un rapporto che sembrava lo specchio delle prime comunità cristiane e che portava anche alla comunione dei beni spirituali e materiali tra tutti. Chiaramente questo stile di vita ha influito notevolmente sulla mia formazione sacerdotale, tanto che con alcuni di questi amici l’esperienza di comunione di vita dura fino ad oggi.

Diventati preti, infatti, abbiamo avuto la possibilità di mettere su casa dando vita a quello che Chiara Lubich chiama “focolare”: una famiglia che, ad immagine di quella di Nazareth, ha come unica regola l’amore reciproco che genera la presenza di Gesù promessa tra due o più uniti nel Suo nome (cf Mt 18, 20).

La reazione dei parrocchiani

Gen’s: Qui nel sud, forse più che in altre parti d’Italia, è forte l’usanza che il parroco abiti in parrocchia. Come hanno reagito i parrocchiani alla tua decisione di andare ad abitare con altri preti e quindi di non risiedere in paese?

All’inizio hanno fatto fatica a capire. Ben presto, però, hanno visto e scoperto che in quella convivenza tra sacerdoti diocesani c’era la radice del mio essere prete per loro: non solo non ci perdevano nulla, ma ci guadagnavano molto. Ora non si meravigliano più di tanto quando, a volte, devo lasciare un po’ prima la parrocchia per andare a preparare il pranzo per gli altri, anzi, ormai, molto spesso portano dei doni non solo per me ma anche, come dicono , “per il resto della famiglia”.

Qualche anno fa a conclusione di un incontro sulla radicalità che comporta la vita evangelica, su richiesta dei giovani, ho organizzato un loro incontro con gli altri sacerdoti del mio focolare. Dopo una visita alla casa, che ha colpito tutti per la sua armoniosa semplicità, siamo stati letteralmente subissati dalle loro domande incuriositi prima dalla nostra vita pratica, poi sempre di più dal nostro rapporto che si svelava, nel corso dell’incontro, come una vera novità nata dal Vangelo.

Un giorno una distinta signora non più giovane mi chiese di parlare e durante l’incontro mi raccontò la sua vita. Veniva da una famiglia credente, si era formata presso un istituto religioso molto rinomato, e si era sentita fino ad allora una buona cristiana, «ma – mi disse – questo cristianesimo ‘nuovo’ che lei predica è una vera rivoluzione».

Fino ad allora in realtà, oltre ai rapporti personali curati con l’amore, non avevo fatto niente di eccezionale se non le omelie domenicali e la cura della liturgia, perché nell’incontro festivo splendesse la bellezza e l’armonia di Dio.

Ma la vita che nasceva dalla spiritualità dell’unità, vissuta in casa con gli altri sacerdoti, aveva ormai fatto breccia nel cuore di molti, e di questa vita, mi accorgevo, c’era una sete unica.

Ho cercato così di non perdere nessuna opportunità e, da allora, ogni occasione – come le omelie e le catechesi, le feste tradizionali e le processioni, i campiscuola e le attività con i bambini della parrocchia – è stata buona per seminare a piene mani quel modo “nuovo” di essere cristiani.

Ricordo ad esempio quella volta che nel mese di maggio, abbiamo scoperto con i ragazzi “l’abito di Maria”. Ogni mattina prima di andare a scuola ci si trovava in parrocchia per attaccare su un’icona della Vergine, un pezzo di vestito, con sopra scritta una Parola del Vangelo. Ci si lasciava poi con l’impegno di vivere nella giornata quella parola e di donare a Maria il giorno seguente, scritta su di un foglietto di carta, almeno un’esperienza concreta.

È inutile dire che nel giro di pochi giorni quel momento mattutino era diventato per molti un appuntamento da non perdere. Il cestino posto ai piedi di Maria si arricchiva quotidianamente di nuove “Parole vissute” e anche noi, insieme a Maria ci siamo “rivestiti della Parola”.

Una trovata originale:
lasciamo parlare il festeggiato!

Gen’s: Come ti è venuta l’idea della novena di Natalein questo stile?

Prima ancora di diventare parroco avevo ben chiaro che dovevo comunicare con la mia vita prima e poi anche con la parola, la gioia e la novità che il Vangelo, incarnato nel vissuto di ogni giorno, porta ad ogni persona. Questa certezza, nata sin dagli anni del seminario nell’incontro con la spiritualità dell’unità, mi ha spinto a utilizzare ogni occasione buona, sia nell’ambito della catechesi che della liturgia, per donare a piene mani questi “tesori” contenuti nella Parola di Dio.

Poi nel novembre del 2000, desiderando preparare la comunità a festeggiare i due millenni dall’Incarnazione, volevo individuare un tema che desse il senso della “novità” portata da Gesù sulla terra con la sua venuta. Per quanto mi sforzassi, però, non riuscivo a trovare nulla di particolarmente interessante da sviluppare durante i giorni della novena, pratica questa che già da tempo con il Consiglio Pastorale avevamo “recuperata”, con i dovuti adattamenti, come un’occasione per rimettere al suo posto Gesù, sloggiato dal Natale consumistico.

Che Egli entri
negli aspetti concreti della vita

La “lampadina” mi si è accesa durante un incontro organizzato dal Movimento dei Focolari, ascoltando un tema di Chiara Lubich sulla novità che il Vangelo vissuto può portare in ogni aspetto della vita. Nulla vi restava fuori: l’economia, l’evangelizzazione, la preghiera, la cura del proprio corpo, la bellezza, lo studio, la comunicazione e tutto, trasformato dall’amore, si illuminava di contorni nuovi e “rivoluzionari”.

Sì, avevo trovato! Con un’introduzione e una conclusione questi sette aspetti della vita, resi nuovi dall’amore, potevano rappresentare il filo conduttore della novena. Mi sembrava di ascoltare da Gesù queste parole: «Sono venuto sulla terra per colorarla dei colori del Cielo». Ho comunicato subito l’idea agli altri sacerdoti che l’hanno appoggiata.

Avevo però delle perplessità su come realizzarla. Mi sono messo alla ricerca di materiale da utilizzare, ma non ho trovato nulla che mi sembrasse adatto al linguaggio popolare. Alla fine mi sono detto: «Tocca a me scrivere qualcosa, attingendo a quella fonte di luce e di sapienza che viene dalla vita di comunione tra noi sacerdoti».

E così, ogni giorno, prestando mano e cuore a Gesù, gli ho permesso, con lo stile della lettera personale, di raggiungere i miei parrocchiani.

Per essere sicuro che ogni pagina fosse espressione della sua luce, la rivedevo sempre con qualcuno, affinché la presenza di Gesù, promessa tra due o più uniti nel suo nome, potesse aiutarmi a togliere ciò il superfluo e ad aggiungere ciò che mancava.

Una lettera al giorno, dunque, indirizzata alla comunità credente, per cogliere come ogni aspetto della vita dell’essere umano, con l’incarnazione, ha acquistato il giusto senso.

E così l’economia ha cambiato volto, di- venendo non più l’arte del guadagnare ma bensì l’arte del dare.

L’evangelizzazione non è più una “pubblicità progresso” fatta da preti, suore e al massimo da qualche laico volenteroso, ma desiderio irrefrenabile di “gridare al mondo” la gioia di avere un Padre che ci ama.

Anche la preghiera ha assunto una nuova dimensione: non più formule da ripetere a cantilena e orazioni da biascicare, ma bisogno profondo di intimità con Colui da cui tutto proviene e a cui tutto ritorna.

La cura del proprio corpo si è trasformata da puro desiderio di apparire, a necessario rispetto per ciò che ci è stato donato per andare concretamente incontro ai fratelli.

Anche la bellezza non è uscita indenne da questa specie di “rivoluzione copernicana”, e da esasperata attenzione per tutto ciò che si vede è diventata ricerca della vera armonia inscritta da Dio, sin dalla creazione, in ogni cosa e principalmente in noi.

Lo studio, poi, in una stupenda metamorfosi, ha lasciato il suo bozzolo fatto di ostentazione del sapere, per acquistare le stupende ali della Sapienza e librarsi là dove alberga la Verità.

E infine anche la comunicazione, ormai informata per lo più da pettegolezzo, si è trasformata in veicolo per far circolare la vita vera, quella che nasce dall’amore vicendevole e fa fiorire in noi e tra noi una perenne giovinezza.

Confesso che non me l’aspettavo, ma col passare dei giorni un numero crescente di parrocchiani avvicinandomi dicevano: «Don Carlo, è proprio vero: vivendo così, si scoprono novità impensate e la vita diventa bella».

L’impatto sulla gente

Le “lettere di Gesù” per nove giorni sono così diventate un appuntamento importante e l’impegno proposto una cosa seria da vivere. L’ amore reciproco, che affonda le sue radici  in Cielo nei rapporti fra le persone della Trinità, ha iniziato a circolare fra noi trasformando tutto e preparando i nostri cuori ad accogliere l’Amore incarnato.

Tra i parrocchiani c’è stato chi, dopo aver sentito la lettera sulla comunione dei beni, mi ha portato un bel gruzzolo di soldi dicendomi: «Questo è quanto avevamo messo da parte per farci i regali natalizi, ma abbiamo capito che quest’anno il regalo lo dobbiamo fare a qualcun altro»; o una suora carmelitana che il giorno della lettera sull’armonia e la bellezza mi ha detto: «Oggi sto facendo tutto per amore per aiutare Gesù a rifare bello il mondo, cominciando dal mio convento».

Come mai una pubblicazione?

Gen’s: La novena è nata quindi per la comunità. Com’ è andata a finire nelle mani dell’editore?*

Ogni sera, durante la liturgia della novena, si leggeva in chiesa la “lettera di Gesù”. Da subito alcuni ne hanno richiesto copia per poterla rileggere con calma a casa. In questo modo le lettere hanno cominciato a circolare tra tutti, a viaggiare attraverso postini improvvisati o via Internet, proponendo a tanti questo nuovo stile di vita.

In seguito le “lettere di Gesù” (come ormai venivano chiamate da tutti) sono arrivate, attraverso un mio fratello, nelle mani di una suora paolina che, conquistata dalla forma oltre che dal contenuto, le ha passate al suo editore. Questi ha dimostrato subito un forte interesse proponendomi, con mia grande meraviglia, l’idea di pubblicare l’intero lavoro.

Come potevo perdere l’occasione di «gridare dai tetti quello che io avevo ascoltato all’orecchio» restandone folgorato ?

Gli echi

Gen’s: È cambiato qualcosa in parrocchia? Sono arrivati degli echi da parte dei lettori?

Non esistono bacchette magiche nell’attività pastorale e non mi illudevo che una novena potesse bastare per cambiare una parrocchia, ma sicuramente essa ha dato il suo impulso a quel cambiamento che è in atto nella comunità parrocchiale, spingendo tante persone a passare da una fede anonima, basata sulle tradizioni, ad un cristianesimo più gioioso, vissuto a corpo.

Il fatto che di tanto in tanto nelle confessioni, nella direzione spirituale e nella vita dei gruppi si faccia riferimento all’esperienza vissuta durante la novena di Natale o in ogni caso a quello stile di vita proposto, significa che ha sicuramente lasciato la sua traccia nella vita di tanti e della comunità nel suo insieme.

Particolarmente belli sono stati i messaggi arrivati per posta elettronica dopo la novena. Tra tutti ne spiccano due.

Il primo è di alcune ragazze. Esse mi hanno voluto comunicare il loro modo simpatico di come hanno utilizzato queste “lettere”.

«Decisamente originali le lettere scritte nientemeno che dal Festeggiato! Sicuramente un modo unico e alla portata di tutti per comprendere meglio il mistero dell’Incarnazione.

Per noi sono state un ottimo spunto di riflessione e ci sembrava carino dare l’opportunità anche agli altri di poterle conoscere.Ma come?

È stata la novena stessa, così com’era pensata, a darci l’idea. Perché non recapitare a ciascuna famiglia, ogni giorno, le letterine?

Così è stato: giornalmente dopo aver stampato e imbustato, con tanto di destinatario la lettera del giorno, passavamo di casa in casa ad imbucarla, senza farci vedere.

Rispettare l’impegno non è stato per niente facile, ma nonostante il lavoro, la neve, gli altri impegni in parrocchia, l’imbarazzo e la paura di farci vedere, le lettere sono arrivate puntualmente in ogni casa.

All’inizio le reazioni sono state varie: alcuni non si spiegavano da dove arrivassero, altri si chiedevano chi le scrivesse, altri ancora perché le ricevevano. Poi però (lo abbiamo saputo in seguito), l’appuntamento era diventato un’attesa: ogni sera si aspettava con impazienza di conoscere che cosa Gesù avrebbe proposto.

Quando ormai alla fine è stato chiaro a tutti che eravamo state noi a fungere da "postine" per Gesù, ci hanno ringraziato per averli aiutati a vivere bene un momento così importante. Anche per noi, però, questo preoccuparci di aiutare gli altri è stato un modo un po’ originale per vivere la preparazione al Natale».

La seconda viene dalla casa provincializia delle Paoline. Una suora, felice di aver utilizzato il libretto nella sua comunità con le altre suore, così mi scrive: «Grazie perché ci ha aiutate a pregare e a volerci più bene tra noi, perché cresca l’amore e la pace nel mondo. Nel nome del Signore la invito a continuare».

 

Gens: In una frase. Cosa ti ha lasciato dentro questa tua esperienza?

La convinzione che tutti abbiamo la possibilità di avere la Sapienza perché, se siamo nell’amore, partecipiamo della Luce di Dio. Occorre solo un po’ di coraggio nel cercare nuove vie, che a volte si aprono inattese, per poter donare a tanti quanto gratuitamente abbiamo ricevuto.

 

Carlo Santoro

1) E la terra brillerà dei colori del cielo – Novena di Natale, Ed. Paoline, 2001.