«Dov’era Dio? Perché ha permesso una tale catastrofe?». Una lettura sapienziale della tragedia di un popolo

 

Un fuoco distruttore e purificatore

 

Di fronte ad un immane disastro naturale causato dall’eruzione del vulcano, che ha distrutto la città di Goma nello Zaire causando migliaia di vittime, quale la reazione della comunità cristiana? Il vescovo del luogo, dal suo letto d’ospedale, ha inviato una lettera ai suoi collaboratori e collaboratrici, ai cristiani della diocesi e a tutti gli abitanti della città colpita, cercando di dare una lettura sapienziale degli avvenimenti.

“Entrare
nelle profondità della Croce”

Dopo la catastrofe dell’eruzione che ha colpito la nostra città di Goma, l’esperienza della morte che il Signore mi ha permesso di vivere, mi ha immerso nel silenzio dell’ospedale.

Adesso che comincio a riprendermi, reputo, a partire dall’ospedale dove mi trovo, di dover condividere con voi i sentimenti che sono dentro di me in seguito alla tragedia che ha sconvolto la nostra città.

Nel silenzio della mia prova, e volendo avere una parola di consolazione, mi sono imbattuto in un testo di san Giovanni della Croce che commenta una frase di san Paolo:  «“In Cristo si trovano nascosti tutti i tesori della sapienza e della consolazione di Dio”. Ma –dice lui – l’anima non può penetrarvi né raggiungerli se, come abbiamo detto, prima non passa e non entra nelle profondità delle sofferenze esteriori e interiori; e c’è bisogno, inoltre, che essa abbia ricevuto da Dio una grande quantità di favori intellettuali e sensibili, e si sia esercitata per lungo tempo nella spiritualità; questi favori sono in realtà di un ordine inferiore: sono cioè delle disposizioni per arrivare alle profondità della conoscenza dei misteri del Cristo, la più alta sapienza alla quale si possa arrivare quaggiù… L’anima che desidera veramente la sapienza, desidera anche entrare realmente nelle profondità della Croce che è il cammino della vita; ma pochi vi entrano. Tutti vogliono entrare nelle profondità della sapienza, delle ricchezze e delle delizie di Dio, ma pochi desiderano entrare nella profondità delle sofferenze e dei dolori provati dal Figlio di Dio: si direbbe che molti vorrebbero essere già arrivati alla meta senza prendere la strada e il mezzo che vi conduce».

Questo passo, preso dal Cantico spirituale, mi ha aiutato molto per accettare la mia prova personale e quella dell’eruzione con la quale Dio ha voluto visitare la nostra città.

E ogni giorno mi dicono:
“Dov’è il tuo Dio?”
(Sal 42, 4)

L’ultima eruzione, che è stata una minaccia reale per la città di Goma, risale al 1977. Dopo di allora le altre eruzioni hanno versato la loro lava verso il parco di Virunga.

È per questo che, malgrado gli avvertimenti degli specialisti sulle minacce reali del vulcano Nyiragongo, nessuno ha creduto che la città di Goma potesse essere colpita così duramente. Una colata di lava di più di 300 metri di larghezza ha portato via tutto lungo una distanza di otto chilometri, dividendo la città in due parti. Si fa fatica a crederlo. Mai un avvenimento è stato così duro da accettare.

Chiese e altri luoghi di culto ridotti a cenere; scuole e centri giovanili svaniti nel fumo; abitazioni distrutte per sempre; centri di salute, infrastrutture per lo sviluppo, imprese e officine irrimediabilmente sprofondate; i mercati, i negozi e le piccole attività commerciali, che costituivano la possibilità di sopravvivenza per tanti uomini e donne, devastati senza pietà…

Nessuna categoria sociale è stata risparmiata dalla disgrazia che ha colpito la città di Goma. I genitori, i giovani, le autorità politiche e amministrative, i ricchi come i poveri, l’ONU e gli organismi di assistenza, le comunità religiose, tutti noi siamo stati sconvolti da una catastrofe annunciata. E che dire a quelli che hanno perso tutto! Chi potrà consolare quelli che hanno perduto i loro cari!

Che dire alle popolazioni intere venute da lontano per sfuggire all’insicurezza o alla ricerca del benessere! Qualunque cosa si voglia dire, Goma non era un polo d’attrazione e una città accogliente per tutti? Chi potrà ridonarle la sua serenità e il volto di prima! La città è decapitata e sfigurata per sempre! Come accettare una realtà così dura? E che dire del futuro? Ricostruire la città o trasferirla in un luogo più sicuro?

Tutte domande che restano senza risposta, in quanto l’avvenimento ci sconvolge e ci supera. Ma soprattutto questo avvenimento ci pone una domanda essenziale di fede.

Dov’era Dio quando la lava divorava e distruggeva tutto col suo passaggio? Perché ha permesso una tale catastrofe? Queste domande, che esigono una risposta urgente, attraversano il nostro spirito, che lo vogliamo o no. Come la lava è stata devastatrice e catastrofica per i nostri beni, così rimane devastatrice per la nostra fede.

Chi oserebbe dire a Dio:
“Tu hai commesso un’ingiustizia”?
                                       
(Gb 36, 23)

Quello che è proprio sicuro, quello che è certo agli occhi della fede è che questa eruzione, per quanto devastatrice possa sembrare, è una Parola di Dio per la città di Goma in quanto corpo sociale e per ogni suo abitante preso personalmente. Ma soprattutto è una chiamata radicale alla conversione.

Attraverso questa eruzione, il Signore ci ha spogliati e ci ha lasciati più poveri e più simili al suo Figlio che non aveva dove posare il capo (cf Mt. 8, 20). In conseguenza, noi siamo più liberi di seguire nostro Signore spogliato e inchiodato alla croce. Dio non parla soltanto attraverso le Sacre Scritture, ma anche attraverso gli avvenimenti felici o avversi di tutti i giorni.

Per noi il problema è di non lasciare interpretare i fatti dal nostro avversario, il demonio, che ci guadagna sempre scoraggiandoci e facendoci perdere la fede. È per questo che la prima cosa da fare per una persona di fede è innanzitutto accogliere questo avvenimento. Accettarlo come qualcosa che fa parte della Sua volontà di salvezza e di santificazione è una garanzia per tutti.

A che cosa servirebbe ribellarsi o fare il processo a Dio? A questo proposito, non potrebbe servirci da modello l’atteggiamento di Giobbe? Lui, in realtà, dopo aver perduto tutto – i suoi buoi, le sue pecore, i suoi cammelli, la sua casa e soprattutto i suoi figli – ha reagito con il coraggio della fede che gli ha fatto dire: «Nudo sono uscito dal seno di mia madre, nudo vi farò ritorno. Il Signore ha dato, il Signore ha tolto: sia benedetto il nome del Signore!… Se noi accogliamo il bene come un dono di Dio, perché non dovremmo accettare allo stesso modo il male?» (Gb 1, 21. 2, 10). Giobbe non ha peccato affatto, non ha attribuito a Dio una cosa ingiusta. Dio non è autore del male per il male, Lui non commette nessuna ingiustizia.

Tutto ciò che Lui vuole, lo compie. E tutto ciò che Lui fa, è giusto e buono. Se gli avvenimenti che Lui permette sono talvolta dolorosi per tutti, essi sono inaccettabili solo per colui che non ha la fede. In realtà, tutto contribuisce al bene per coloro che amano Dio (cf Rm 8, 28).

“Ho creduto, e perciò ho parlato”
                                     
(Sal 116, 10)

Di fronte ad una catastrofe di tale ampiezza, normalmente i discorsi svaniscono. Ma noi non possiamo tacere. È necessario esorcizzare le diverse interpretazioni che ci hanno imposto. Così, per esempio, alcuni vedono in questa eruzione un’azione malefica degli antenati, degli spiriti cattivi o del demonio.

Altri credono scoprirvi un castigo del Cielo o qualche manifestazione della collera di Dio che ha risparmiato i buoni e colpito i cattivi. Altri ancora vi vedono un evento del caso, o uno scatenamento fortuito delle forze della natura. Infine, si potrebbe vedere in questa eruzione una volontà irrevocabile di un Dio indifferente che dobbiamo sopportare con rassegnazione.

Ma per noi cristiani non succede nulla senza che il Signore lo permetta. Questa eruzione ci ricorda che «passa la figura di questo mondo» (cf 1Cor 7, 31). Ma questo avvenimento pone per noi anche una domanda fondamentale. Perché il Signore ha colpito il cuore dell’economia della nostra città già così fragile?

Non c’è lì una parola sulla nostra ricerca sfrenata del denaro che tende a diventare un vero culto? Non è forse vero che questa idolatria del denaro è la causa delle nostre sofferenze e dei nostri veri mali: gelosie, furti, avidità, odio, tribalismo, divisioni, guerre, ingiustizie, infedeltà nei matrimoni, menzogne, inganni, processi? Quanti processi tra fratelli al catasto e al consiglio dei giudici inghiottiti dalla lava! Come non deplorare la tragedia di tanti giovani esasperati e portati a vendere i loro corpi e la loro dignità per qualche dollaro? La prostituzione e l’aborto non sono forse diventati una calamità normale nei nostri quartieri?

Come dice san Paolo: «Quanto a quelli che vogliono accumulare ricchezze, essi cadono nella tentazione, nella trappola, in un gran numero di cupidigie insensate e funeste, che fanno sprofondare gli esseri umani nella rovina e nella perdizione. Perché la radice di tutti i mali è l’amore del denaro» (1Tim 6, 9-10).

In certo modo la distruzione causata dal vulcano ci ha messi nella verità, in ciò che conta agli occhi di Dio, in ciò che è essenziale, il nostro atteggiamento davanti al mistero della vita e della morte, e ciò che noi pensiamo della vita eterna.

La nostra incredulità c’impedisce di vedere il fine, la direzione, il senso della nostra vita sulla terra. E noi viviamo come se Dio non esistesse, come se la morte non esistesse, come se l’ultimo giudizio non esistesse e come se non ci fosse nessuna prospettiva di vita eterna. Com’è vero questo avvertimento di san Giacomo: «E ora a voi che dite: “Oggi o domani andremo nella tal città e vi passeremo un anno e faremo affari e guadagni”, mentre non sapete cosa sarà domani! Ma che è mai la vostra vita? Siete come vapore che appare per un istante e poi scompare» (Gc. 4, 13-14).

Questa eruzione è venuta a risvegliarci, affinché noi possiamo elevare gli occhi al Cielo e convertirci seriamente. Dopo questo fatto noi possiamo comprendere meglio le parole di Cristo a proposito delle diciotto persone schiacciate sotto la caduta della torre di Siloe: «Credete che fossero più peccatori di tutti gli altri? No, io vi dico. Ma se non vi convertite, perirete tutti allo stesso modo» (Lc 13, 1-5). Perire allo stesso modo, vuol dire perire nel peccato (cf Gv. 8, 24).

Questo richiamo urgente di Gesù non è una condanna, ma una buona novella, un Vangelo. Gesù desidera ardentemente che noi viviamo come persone sapienti e non come insensati. Egli vuole che noi prendiamo sul serio la nostra vita personale, quella delle nostre famiglie, della nostra comunità e della nostra Chiesa di Goma. Oggi più che mai noi possiamo convertirci e ritornare al Signore.

Come dice san Paolo: «Io ho accettato di perdere tutto a causa di Lui. Io considero tutto come spazzatura al fine di guadagnare Cristo… Dimenticando il cammino percorso, io vado avanti diritto con tutto il mio essere, io corro verso la meta in vista del premio che Dio ci chiama a ricevere lassù in Cristo Gesù» (cf Fil, 3, 8ss.).

Un Dio che si rivela
sotto forma di fuoco

Quelli che sono abituati al linguaggio biblico e alle teofanie del Primo Testamento, sanno che il fuoco è una manifestazione allo stesso tempo purificatrice e temibile della gloria e della santità di Dio.

Così quando Dio si manifesta come un fuoco divoratore, è prima di tutto per chiamare i suoi eletti alla santità. Il fuoco è anche segno della visita e del giudizio di Dio (cf Dt 7, 11). È dal mezzo del fuoco che Dio ha dato al suo popolo le dieci Parole di vita (cf Dt 9, 10). Il fuoco che rimane un elemento distruttore e spaventoso per l’essere umano, simbolizza la collera, la gelosia divina e l’intransigenza di Dio di fronte al peccato e alla durezza di cuore dell’empio (cf Es 20, 5; 34, 14; Dt 9; 6, 15).

Nel Nuovo Testamento il fuoco è simbolo dell’amore infinito di Dio per noi. «Io sono venuto a portare il fuoco sulla terra, e come vorrei che fosse già acceso! Io devo ricevere un battesimo» (Lc 12, 49s). Gesù stesso è passato attraverso il fuoco della passione e della morte. Lui è stato “salato” con il fuoco (cf Mc 9, 49) del giudizio e dello Spirito prima di entrare nella gloria della risurrezione.

L’eruzione è venuta a ricordarci questa verità fondamentale, e cioè che la nostra vita non ci appartiene, noi siamo di passaggio o in viaggio qui sulla terra. La nostra patria è altrove: nel Cielo.

“Amatevi gli uni gli altri” (Gv 13, 34)

Io vedo che questa eruzione è anche una chiamata alla carità e alla comunione fraterna, come alla pace. Se tutti i nostri beni, anche i più cari, possono sparire in ogni istante, se la nostra vita stessa, alla quale teniamo tanto, può finire in ogni momento, se questo mistero della vita appartiene a un Altro, come non fare alleanza con Lui? Come non bruciare dal desiderio di conoscerlo, di amarlo e di servirlo? Come non deporre le nostre armi e fermare le nostre guerre? Come conservare l’odio e il rancore contro i nostri nemici? Il Signore ha fatto udire la sua voce sulla città di Goma e per tutta la nostra regione dei Paesi dei Grandi Laghi, perché nasca una nuova cultura dell’amore e della pace.

Io sono felice di costatare i numerosi gesti di solidarietà che questa catastrofe ha suscitato. L’ospitalità tra vicini, l’accoglienza dei fratelli e amici al di là delle barriere etniche e culturali, la mobilitazione degli organismi assistenziali per l’aiuto umanitario e delle autorità congolesi e rwandesi, la sollecitudine delle Caritas e gli aiuti delle comunità religiose.

Che tutti questi interventi trovino qui la nostra gratitudine e la nostra riconoscenza! Io vorrei in modo tutto particolare ringraziare il Santo Padre per il suo telegramma di incoraggiamento e la Congregazione per l’Evangelizzazione dei Popoli che ci è stata vicina attraverso la visita di S. E. Mons. Saraha. Che il Santo Padre riceva l’assicurazione della nostra comunione e del nostro attaccamento filiale. Coraggio a tutti quelli che hanno perso tutto in questa eruzione.

Abbiate fiducia nel Signore, nella sua fedeltà non mancherà di aiutarvi a ricominciare la vita. E in tutte le situazioni, «vegliate perché non sapete né il giorno né l’ora» (Mt 25, 13).

Mons. Faustin Ngabu