Il divino penetra nell’umanità attraverso la “Ferita dell’Abbandono”

 

Gesù abbandonato e la Chiesa

Di Hubertus Blaumeiser

 

“In Cristo crocifisso ed abbandonato… viene resa possibile la piena unità dell’umanità col Padre e degli uomini fra di loro”, ha scritto il Papa l’anno scorso ai Vescovi amici del Movimento dei focolari. Ed ha messo in luce come attorno al Crocifisso nasce la Chiesa come “nuova Comunità d’amore”. Questa conversazione, svolta nell’ultimo incontro di vescovi a Castelgandolfo, offre degli sprazzi di sapienza per illuminare il rapporto inscindibile, teologico e pratico, che esiste fra Gesù abbandonato e la Chiesa.

Nella Lettera inviata il 14 febbraio 2001 ai Vescovi amici del Movimento dei focolari1, Giovanni Paolo II ha ribadito l’essenziale nesso che esiste fra il mistero di Gesù crocifisso ed abbandonato e la Chiesa come comunione.

Vorremmo, con questa breve riflessione che è appena una rapida esplorazione, approfondire questa indicazione, che peraltro è già implicita nella Novo millennio ineunte, e chiederci: che cosa significa guardare alla Chiesa dalla prospettiva di Gesù crocifisso abbandonato? E che cosa comporta per la sua vita e per lo svolgimento della sua missione?

Cercherò di rispondere a questa domanda con alcune brevi pennellate, per le quali prendo le mosse da un sintetico appunto di Chiara Lubich che risale a quel periodo di particolare luce che è stato, nella vita del nascente Movimento dei focolari, l’estate 1949. In quell’appunto Chiara rivolge lo sguardo a quella piaga tutta interiore di Gesù che è il suo abbandono in croce e scorge in essa come il centro focale dell’intero mistero cristiano:

«Gesù è il Salvatore, il Redentore, e redime quando versa sull’umanità il Divino attraverso la Ferita dell’Abbandono che è la pupilla dell’Occhio di Dio sul mondo: un Vuoto Infinito attraverso il quale Dio guarda noi: la finestra di Dio spalancata sul mondo e la finestra dell’umanità attraverso la quale si vede Dio»2 .

Vuoto infinito attraverso il quale Dio guarda noi e noi possiamo guardare Dio, l’abbandono di Gesù quale “pupilla dell’Occhio di Dio” è allo stesso tempo il varco aperto attraverso il quale la vita della Trinità si comunica all’umanità e l’umanità può entrare in Dio.

Nella luce di questa suggestiva immagine che ci presenta, in modo quasi visivo, da un lato Dio-Trinità e dall’altro l’umanità e la piaga del Cristo abbandonato come il punto d’incontro di ambedue, vorrei delineare succintamente tre prospettive:

1. Attraverso Gesù abbandonato l’umanità entra nella Trinità: la Chiesa come comunione dei santi, come l’Uno raccolto nel Seno del Padre.

2. Attraverso Gesù abbandonato la Trinità “esce” per così dire da sé e raggiunge l’umanità intera: la Chiesa come disegno universale di salvezza.

3. In Gesù abbandonato il popolo di Dio trova la sua forma decisiva e la chiave per attuare la sua missione: la Chiesa come strumento d’unità degli esseri umani con Dio e tra di loro.

Attraverso Gesù abbandonato la Chiesa si forma nel Seno del Padre

Gesù crocifisso e abbandonato è innanzi tutto l’origine della Chiesa nella sua realtà profonda di partecipazione alla vita della SS. Trinità.

A questo proposito vorrei citare ancora un testo di Chiara, sempre del 1949, che con grande forza espressiva parla così del momento dell’abbandono di Gesù:

Quando Gesù abbandonato «soffrì, tolse da Sé l’Amore e lo donò agli uomini facendoli figli di Dio. (...) Gesù si fece Nulla; donò tutto e questo tutto non andò perduto [per]ché andò nell’anima degli uomini»3.

Discendendo sin negli estremi abissi della lontananza da Dio, Gesù “toglie” da sé, cioè “perde” apparentemente, quell’Amore – lo Spirito – che lo lega da sempre al Padre. Ma proprio così lo comunica a noi esseri umani, ci rende figli nel Figlio e ci introduce quindi nel circuito della vita trinitaria.

Viene da pensare immediatamente al IV Vangelo che conclude così il racconto della morte di Gesù: «paredoken to pneuma – consegnò lo Spirito» (cf Gv 19, 30). È dall’offerta estrema di Gesù in croce – ci fa capire l’Evangelista – che si sprigiona il dono dello Spirito; quello Spirito che trascinerà i discepoli nella comunione fra Padre e Figlio e realizzerà la promessa di Gesù: «In quel giorno saprete che io sono nel Padre e voi siete in me e io in voi» (Gv 14, 20).

Espresso con metafore che risalgono al contesto giudeo-cristiano, nella Lettera agli Ebrei troviamo un simile dinamismo: con la sua suprema offerta, Gesù, quale mediatore della nuova alleanza, ha aperto una volta per sempre l’accesso al Santuario celeste. E noi ci troviamo ormai introdotti nello spazio della vita trinitaria, senza più velo alcuno.

Accenniamo qui solo brevemente alla risposta da parte dell’uomo che non può mancare perché si realizzi questo che è il mistero profondo della Chiesa. Accogliere il dono del Cristo pasquale nella fede e nel battesimo, secondo Paolo significa con-morire e con-risorgere con Gesù (cf Rm 6). E significa vivere con lui nell’amore; in un amore che ha per modello il suo dono fino all’abbandono; amore che – secondo 1Cor 13 – non si esaurisce nel dare il proprio corpo alle fiamme o nel distribuire le proprie sostanze ai poveri, ma significa perdersi fino in fondo in Dio e negli altri, in modo da formare un solo corpo con loro (cf 1Cor 12) ed anzi da diventare uno, una sola Persona in Cristo (cf Gal 3, 28).

È questa una prima prospettiva: Gesù che, nel momento dell’abbandono, sprigiona da sé lo Spirito, raccoglie i molti in uno, li fa suo “corpo” e li porta così nell’intimo della vita della Santissima Trinità, al punto che essi possono gridare nello Spirito à, Padre” (cf Gal 4, 6; Rm 8,6). Gesù abbandonato è dunque l’origine della Chiesa come l’Uno raccolto nel Seno del Padre, come comunione dei santi.

Attraverso Gesù abbandonato
la Trinità raggiunge l’umanità intera

Ma c’è una seconda prospettiva. Nella notte dell’abbandono, Gesù si è unito ad ogni essere umano per quanto lontano possa essere da Dio.

L’Apostolo Paolo non si stanca di riflettere su questo mistero. «Egli si è fatto maledizione per noi» (Gal 3,13). Vale a dire: nel Cristo crocifisso, Dio ha preso dimora in mezzo ai peccatori. Se egli, da un lato, raccoglie l’umanità nel Seno del Padre, dall’altro in lui l’Amore trinitario esce per così dire da sé e raggiunge tutta l’umanità, anche là dove è ancor divisa da Dio.

Ciò che ne consegue è in certo senso sconvolgente: non c’è più linea di demarcazione fra il sacro e il profano. Qualsiasi luogo, qualsiasi situazione, grazie all’abbraccio universale del Cristo pasquale, diventa luogo dell’incontro con l’Amore trinitario. Nell’abbandono e nella morte di Cristo, Dio ha riversato, infatti, il suo Spirito su tutta l’umanità. Manca ancora la risposta, o la piena risposta dell’uomo, ma il dono già c’è.

È questa – come si sa – la prospettiva della Lumen Gentium la quale, nel suo secondo capitolo, vede in qualche modo tutta l’umanità incorporata o almeno ordinata al corpo di Cristo (cf 14-16). E in nota rinvia a un testo di san Tommaso che inizia con le parole: «Cristo è capo di tutti gli uomini» e precisa: «ma secondo gradi diversi»4. La chiave di comprensione di quest’affermazione è appunto l’abbraccio universale del Cristo crocifisso. Non a caso Tommaso, nel brano in questione, cita 1Gv 2, 2: «Egli è vittima di espiazione per i nostri peccati; non soltanto per i nostri, ma anche per quelli di tutto il mondo».

Come Sposa di Cristo, la Chiesa non può non aver questa stessa larghezza d’anima. E non solo. Lanciandosi verso l’intera umanità, sa di raccogliere l’eredità del suo Sposo: i tesori di grazia e di amore disseminati da lui in ogni cuore umano. Nessuna persona e nessuna situazione umana è estranea allo Sposo. Nessuna persona e nessuna situazione può essere estranea alla Sposa.

Vorrei riportare in questa luce ancora un brano di Chiara:

«Il mio io è l’umanità con tutti gli uomini che furono, sono e saranno. La sento e la vivo questa realtà: perché sento nell’anima mia sia il gaudio del Cielo, sia l’angoscia dell’umanità che è tutt’un grande Gesù abbandonato. E voglio viverLo tutto questo Gesù abbandonato»5.

È questo, in realtà, l’io della Chiesa, l’io di coloro che hanno spalancato gli orizzonti della propria anima sulla piena dimensione della Chiesa così come è concepita nel disegno del Padre.

Fatta uno con Gesù abbandonato, la Chiesa è strumento di salvezza

Ma la Chiesa non è soltanto portata dal Cristo pasquale nel Seno del Padre. E non è soltanto chiamata a commisurare il raggio del proprio essere ed agire sull’abbraccio universale del Crocifisso. Come Sposa e suo Corpo, essa è un tutt’uno con Cristo. Con lui ed in lui è chiamata ad essere strumento di salvezza.

Il Concilio Vaticano II ne parla sin dalle prime righe della Lumen Gentium: «La Chiesa è in Cristo come sacramento, cioè segno e strumento dell’intima unione con Dio e dell’unità di tutto il genere umano» (LG 1). E al n. 8 indica come ciò significhi percorrere la stessa via che ha percorso Gesù: «Come Cristo ha compiuto la sua opera di redenzione attraverso la povertà e le persecuzioni, così pure la Chiesa è chiamata a prendere la stessa via per comunicare agli uomini i frutti della salvezza. Gesù Cristo “pur essendo di natura divina... spogliò se stesso, prendendo la natura di un servo” (Fil 2, 6-7) e per noi “da ricco che egli era si fece povero” (2Cor 8, 9): così anche la Chiesa...».

In unione con Gesù abbandonato e conformandosi a lui, la Chiesa – come abbiamo detto all’inizio – è chiamata a percorrere la via del dono più pieno di sé, a svuotarsi, per amore, di ogni ricchezza non soltanto esteriore ma anche interiore, per essere in seno all’umanità “pupilla dell’Occhio di Dio”: un vuoto pieno d’amore, di Spirito Santo, attraverso il quale Dio può versare la sua vita d’amore sull’umanità e attraverso il quale l’umanità può “vedere” Dio ed entrare in Lui.

Scrive von Balthasar: Se dopo Cristo «vi è solo un sacerdozio, il suo, allora questa partecipazione ecclesiale deve essere immersa nella sua forma», essere «una forma ecclesiale-sociale della presenza (...) del Cristo umiliato tra i suoi». «Quale meraviglia pertanto – osserva – se tutta la sollecitudine del Signore nell’equipaggiare gli apostoli per il loro ufficio, in particolare l’uomo-pietra, mira all’umiliazione?»6. Vale a dire: alla kenosi, affinché essi siano soltanto amore.

Non può sfuggire la grande rilevanza di questa prospettiva, proprio nel nostro tempo. Se è senz’altro vero che i sacramenti della Chiesa trasmettono la salvezza ex opere operato, si impone però la domanda: ma come raggiungere tutta quella parte di umanità – ed è la maggioranza – che ignora l’esistenza o almeno il significato dei sacramenti? E tutti quei cristiani che non si accostano più ad essi?

Per loro la Chiesa con il suo stesso essere e con la sua testimonianza coerente deve essere “sacramento”, “pupilla dell’Occhio di Dio”.

E qui viene da porsi ancora una volta ai piedi della croce. Forse non a caso il Crocifisso, secondo il racconto del IV Vangelo, ha affidato Giovanni, e in lui la Chiesa, a Maria, a colei che, con un suo secondo “fiat” ha perso quanto aveva di più prezioso: il “suo” Figlio Dio, e proprio così ha raccolto per noi tutto il frutto della redenzione e ce lo trasmette. È alla scuola di lei che possiamo imparare ad essere «in Cristo sacramento, cioè segno e strumento dell’intima unione con Dio e dell’unità di tutto il genere umano».

Vorrei anche qui citare un appunto di Chiara che mi sembra pieno di luce per lo svolgimento della missione della Chiesa nel tempo di oggi:

«Anche ognuno di noi deve essere ‘piagato’ per essere amore. Come mediante la Piaga di Gesù abbandonato si è riversato tutto l’amore del Padre sull’umanità, così mediante la nostra Piaga (...) si riversa l’amore del Padre sull’umanità a noi affidata»7.

Conclusione

Guardando alla Chiesa dalla prospettiva di Gesù abbandonato si stagliano luminose le quattro note della Chiesa che ci trasmette il Credo:

una e santa: è il Cristo abbandonato che, col dono dello Spirito, raccoglie in uno i figli di Dio e li introduce nel cuore della vita della SS. Trinità, trasformandoli, santificandoli.

cattolica: è l’abbraccio universale di Gesù in croce che nella notte dell’abbandono si è unito ad ogni essere umano, ad imprimere alla Chiesa la più piena cattolicità.

apostolica: è unendosi e conformandosi sempre di nuovo al Cristo crocifisso ed abbandonato, che la Chiesa può trasmettere, di generazione in generazione, con adamantina fedeltà alla sua origine, la verità ed i doni della salvezza.

 

Hubertus Blaumeiser

 

 

1)     Cf “L’Osservatore Romano” del 15.2.2001; “Gen’s” 31 (2001), pp. 100-101.

2)     Testo riportato e commentato in: H. Blaumeiser, Un mediatore che è nulla, in “Nuova Umanità” 20 (1998), pp. 405-406.

3)     Ibid., p. 405.

4)     S.Th. III, q.8, a.3 c.

5)     Testo riportato e commentato in: H. Blaumeiser, “Attraverso la trasparenza del nostro nulla”. Riflessioni sulla mediazione ecclesiale, in “Nuova Umanità” 20 (1998), p. 680.

6)     “Esistenza sacerdotale”, in: Sponsa Verbi, Saggi teologici, vol. II, Brescia 19853, pp. 374-375.

7)     Testo riportato in: H. Blaumeiser, “Attraverso la trasparenza del nostro nulla”. Riflessioni sulla mediazione ecclesiale, cit., p. 681.