La Chiesa è missione perché è comunione

Il Papa nel marzo del 1990 rivolgeva al clero della sua diocesi un discorso, che faceva presagire qualcosa della “Novo millennio ineunte”. Egli ricordava che, in un mondo secolarizzato, solo una Chiesa che vive la comunione a tutti i livelli può adempiere bene la sua missione. Abbiamo rispettato il suo stile spontaneo e parlato, così come è stato pubblicato in “La Traccia” III (1990) pp. 245-247.

 

 

Durante questo incontro il vescovo di Roma si mette soprattutto in ascolto: (...) con grande attenzione e con grande profitto per me ho ascoltato tutto quello che voi avete voluto dire, qui, in questa assemblea. (…)

Più o meno tutti sono convinti che l’ecclesiologia del Vaticano II si riassume più adeguatamente con questa parola: “comunione”. Non con la sola parola “comunione”, ma soprattutto con questa parola. Lo hanno anche constatato, per esempio, i membri del Sinodo straordinario organizzato nel 1985, nel XX anniversario della conclusione del Concilio, nel documento finale. Ma, se prendiamo questa parola “comunione”, si vede che il Concilio Vaticano II, essendo un Concilio soprattutto ecclesiologico, è stato, nello stesso tempo, un Concilio profondamente teologico, e ci ha mostrato la strada indispensabile che guida la Chiesa a Dio, alla realtà divina, al Mistero di Dio, perché Dio è comunione; è comunione perché è amore, ed essendo amore non può non essere comunione. Questo è il suo Mistero, ma questa è la sua profondissima realtà rivelata; senza rivelazione non sarebbe possibile concepire questa verità: che Dio è comunione. (…)

Questo Dio che è “comunione” è anche “missione”. La dottrina ecclesiologica del Vaticano II ci ha insegnato che Dio è “missione”, perché è “comunione”, è “creatore”, perché è “missione trinitaria”. Questo Dio non lascia il mondo a se stesso; non permette che questo mondo diventi una realtà separata da lui. Pur rispettando la sua autonomia, soprattutto l’autonomia dell’uomo, pur rispettando l’autonomia che viene dalla libertà umana, dal libero arbitrio, questa autonomia che proviene da lui, Dio-Amore, Dio-”comunione” si mette in missione. La Chiesa è frutto di questa missione. È sacramento di questa missione.

Noi portiamo nelle nostre radici questa realtà di Dio che è “comunione” e che è “missione”. Così nasce la Chiesa; nasce la Chiesa nella sua universalità e anche in ogni sua dimensione particolare. Così nasce anche la Chiesa in ogni parrocchia. La Chiesa in ogni parrocchia ha in sé questo mistero di Dio che è “comunione” e “missione”, “missione” perché “comunione”, perché è Amore. Con questa ecclesiologia del Vaticano II noi dobbiamo essere sempre più vicini: misurare sempre più il nostro modo di pensare e di agire. È qui il ruolo profetico del Concilio Vaticano II per la nostra generazione e per molte generazioni future. Dobbiamo vivere con questa ecclesiologia perché, vivendo con questa ecclesiologia, viviamo con la teologia rivelata, trinitaria (…).

Naturalmente, sapendo tutto questo, vivendo tutto questo, noi ci incontriamo nella realtà umana, (…) allo stesso tempo con un processo contrario. Questo processo si può chiamare in diversi modi, ma forse la parola “secolarizzazione” è quella che corrisponde di più a una tendenza “anticomunionale”, “antimissionale”. Noi vogliamo vivere in questo mondo, siamo figli di questo mondo e non vogliamo vivere più come se Dio stesse fuori dal mondo, come se Dio non esistesse.

Questa tendenza non è una tendenza sempre esplicita: non è un ateismo programmatico, molte volte è agnosticismo. È tante volte una posizione comoda, perché, certamente, questo Dio-comunione, questo Dio rivelato attraverso la passione e la risurrezione di Cristo, è un Dio esigente. Vuole l’uomo, vuole la sua salvezza, la sua perfezione; vuole che l’uomo diventi partecipe della sua divinità. Invece il programma secolaristico vuole liberare l’uomo da tutto questo.

Basta a te il mondo, afferma; basta per te il mondo. Non è vero – rispondiamo noi –. Non è vero, perché alla fine il mondo lascia l’uomo come un cadavere. Allora non è vera, anche se è suggestiva, questa proposta, anche se è facile. (…) È questa la nostra situazione; e non è una situazione facile. Noi abbiamo un compito responsabile, esigente, e qualche volta questo compito esigente sembra superare le nostre forze. (…)

Tutto questo ci dice due cose insieme. Noi dobbiamo essere in comunione molto profonda con Dio per portare avanti la sua missione comunionale, la sua missione divina, trinitaria. Noi dobbiamo essere sempre più in comunione fra noi, uniti fra noi, perché questa è la conseguenza della nostra somiglianza – siamo a immagine e somiglianza di Dio – della nostra vocazione cristiana. Questo è anche un imperativo della strategia evangelica, missionaria, pastorale. (…)

È l’unità del presbiterio e sappiamo bene che la forza si trova nell’unità. Dobbiamo sempre più promuovere questa unità del popolo di Dio, questa unità dei sacerdoti, del presbiterio, questa unità con i nostri fratelli e sorelle consacrati. Questa unità con tutti i nostri laici impegnati, e non ci mancano, con i nostri catechisti, con i nostri operatori sanitari, caritativi e tanti altri. (…)

Forse diminuisce il numero anche di quelli che fanno pratica domenicale. Forse questo diminuisce. Ma, d’altra parte, cresce il numero delle persone impegnate. Ci vuole, allora, una unità ancora più profonda, una comunione ancora più profonda di tutti quelli che costituiscono la Chiesa, la Chiesa viva.

Giovanni Paolo II