Declino della religione?

 

Tanti segni indicano un calo della religione soprattutto e in modo ben visibile in Occidente. Negarlo o nasconderlo sarebbe inutile. Non individuare con lucidità ed oggettività gli interrogativi impedisce di trovare risposte adeguate.

L’aumento di persone atee, agnostiche, indifferenti, è progressivo. Le statistiche, in alcuni casi molto consistenti, degli abbandoni ufficiali da parte di membri delle Chiese cristiane in certi Paesi sono note. Le difficoltà di tanti pensatori a trovare una presentazione “forte”, plausibile, attraente del fenomeno religioso, diventano palesi e molti credenti le soffrono intensamente. L’impossibilità di provare le realtà che costituiscono l’oggetto della fede con i nostri parametri storici, assieme al lato inevitabilmente umano dei testi sacri, con i conseguenti limiti culturali e le contraddizioni che ciò comporta, cozza contro una mentalità che identifica come credibile solo ciò che è verificabile dalle scienze sperimentali. Per cui il “non poter credere” è come una persuasione viscerale di tante persone, che sta diventando un fenomeno sempre più esteso e normale. Per non parlare della “distrazione” a cui porta la vita moderna con i suoi ritmi frenetici e con i suoi stimoli di ogni genere, che rendono difficile cogliere le dimensioni più profonde dell’esistenza. E l’elenco, ovviamente, potrebbe continuare.

Per cui si potrebbe diventare pessimisti e pensare che Comte e tutti coloro che avevano annunciato la fine della religione, più che sbagliarsi avessero solo intuito male i tempi, non così vicini come loro prevedevano. E che comunque la loro profezia si avvererà a misura che cresceranno le conoscenze umane, per quanto ciò possa dispiacere a causa delle sofferenze che comporterà per l’umanità, così bisognosa di senso e di valori per un’esistenza il più possibile degna e felice.

Di fronte ad un tale fenomeno, si dice oggi con autorevolezza – e su queste stesse pagine è stato più volte sviluppato in modo persuasivo –, che quello che per tanti versi vive oggi il mondo è una “notte oscura epocale”, la quale come ogni notte costituisce il preludio di nuova luce, di nuove fioriture. Ogni epoca di profondi cambiamenti come quella in cui viviamo, ha dato ai suoi protagonisti l’impressione “della fine”, mentre poi si scopre che ogni crisi è una chiamata alla creatività, a esplicitare risposte contenute nel patrimonio precedente ma non sviluppate, a raggiungere nuove sintesi e traguardi che fanno crescere l’umanità.

Sembrano confermarlo certi segni di risveglio che si avvertono ovunque. Non parliamo ovviamente di fenomeni deteriori come satanismo, superstizione, magia ed altro. E nemmeno di un certo “ritorno del sacro” il quale, se può essere positivo da una parte, dall’altra è ambivalente. È possibile interpretare tutto ciò come un normale rigurgito e magari un’involuzione, legati alla fragilità umana, alla sua ricerca di sicurezza e di motivazioni per la propria esistenza.

C’è invece un fiorire di esperienze religiose valide, che fanno ben sperare. Esse, nelle Chiese cristiane, vanno verso un futuro composto maggiormente da comunità di persone convinte, convertite, che diventano lievito nella vita dell’umanità, in sintonia con la frase tante volte citata di K. Rahner: il cristiano del futuro o sarà un mistico, cioè uno che ha un’esperienza profonda di ciò in cui crede, o non sarà cristiano. Naturalmente oggi una tale esperienza non può non includere la dimensione comunitaria, secondo la pur nota espressione di M. Buber: «È la notte di un’attesa. Attendiamo una nuova manifestazione di Dio, di cui non conosciamo altro che  il luogo, e questo luogo si chiama comunità».

Per ciò che riguarda la teologia, è da tempo che nell’ambito del cristianesimo si riconosce che essa troverà nuova linfa a partire dalle spiritualità evangeliche all’altezza dei tempi che lo Spirito continua a suscitare nella storia. Per cui si parla, ad esempio, dell’«apporto strategico della spiritualità – e, forse, dell’estetica – alla riapertura di un nuovo progetto culturale: che assicuri il grembo vitale di una praticabile comunicazione della fede cristiana e della sua qualità antropologica»1.

È questa una convinzione che ha segnato in tutti questi anni il percorso della nostra rivista. Molti dei contributi apparsi in essa ci sembra che costituiscano non soltanto una speranza, ma facciano già assaporare qualcosa di quella luce che tutti attendiamo. Crediamo che, ad esempio, l’articolo di questo numero riferito al rapporto fra Gesù abbandonato e la Chiesa (con i rimandi a cui si fa riferimento) apporti degli sprazzi sostanziosi in questo senso. Mentre le esperienze riportate possono mostrare in modo germinale che una pratica di evangelizzazione comunionale, rinnovata ed attraente, è possibile per tutti.

A ben guardare, nessuna meraviglia se il Vangelo ha abissi di originalità da offrire. Non fosse altro perché – com’è stato segnalato da più parti –, la storia “è ancora bambina” e siamo soltanto agli inizi dell’era cristiana e dell’annunzio evangelico. Citiamo, una per tutte, l’affermazione del card. Lustiger di Parigi, aprendo il concistoro straordinario dell’anno scorso. «L’annuncio del Vangelo è ancora al suo inizio e manifesta oggi una capacità di riscatto, di giustizia e di pace che gli uomini non potevano immaginare quando vivevano nei limiti del vecchio mondo. Per il mondo nuovo che oggi si affaccia e le cui forme a malapena sapremmo intuire, la salvezza promessa dal Vangelo non ha esaurito la sua perenne novità. Esso apporta ai figli di Dio la sola risposta degna dell’uomo alle nuove sfide che la mondializzazione pone alla fraternità umana»2.

 

E. C.

 

1)         P. A. SEQUERI, Forme della fede e laicità comune: destini incrociati, in "Il Regno-Attualità" 8 (2001) p. 284.

2)         Cit. da L. ACCATOLI, in Cristianesimo alla fine?, ibid., 14 (2001) p. 503.