Flash di vita

Tanto amore
e un pizzico di fantasia

Come si può evangelizzare oggi gli abitanti di una parrocchia? Don Mariano ci racconta, con la semplicità che gli è tipica, come la luce della Parola di Dio sta penetrando nella parrocchia di Almisano Lonigo in provincia di Vicenza nel nord dell’Italia.

«Gareggiate nello stimarvi a vicenda»

Quando ho saputo della nomina a parroco ho subito ricordato la frase del vangelo che fin dall’87 Chiara Lubich, dietro mia richiesta, mi aveva suggerito come programma di vita: «Come io ho amato voi, così amatevi anche voi gli uni gli altri» (Gv 13, 14).

Per prepararmi al nuovo compito ho cercato di vivere più intensamente “l’arte di amare”: farsi uno, amare per primo, amare tutti, vedere Gesù nell’altro. Dovevamo gestire un campeggio di adolescenti. Assieme ad altri cinque animatori adulti ci siamo proposti di mettere in pratica questa “tecnica dell’amore”, disposti a “perdere” il nostro programma per servire in ogni momento Gesù in loro. Il campeggio è riuscito bene: si sono creati rapporti veri in un clima di gioia e di libertà.

Poi ho potuto trascorrere dieci giorni di vacanza al mare con un mio collega, don Luciano Meneguzzo. Qui abbiamo trovato sull’altare della cappellina il “dado dell’amore” – quello che i ragazzi del Movimento dei focolari stanno diffondendo nel mondo. Su ogni lato c’è una frase dell’arte di amare e tirando a sorte ogni mattina, ci si impegna a viverla. Lo abbiamo adottato, coinvolgendo anche altre persone. I pasti, le passeggiate, la Messa, il lavare i piatti con le cuoche, il preparare le tavole con le cameriere, hanno creato un clima di vera familiarità nel quale era spontaneo comunicarsi qualche esperienza di Vangelo vissuto.

La settimana prima dell’ingresso ufficiale, sono andato nella nuova parrocchia ed ho vissuto, pranzato e pregato col parroco uscente, don Alessandro Burati, che segue il Cammino neocatecumenale. Ho potuto così cogliere tutto il positivo che lui aveva costruito con tanta sapienza. Nella preghiera fatta insieme è venuta in risalto più volte questa frase di S. Paolo: «Gareggiate nello stimarvi a vicenda» (Rm 12, 10). Mi è sembrato di cogliere la spinta dello Spirito a metterla come base della vita della parrocchia.

Il giorno dell’ingresso ho raccontato a tutti quanto era stato bello vivere e pregare con don Alessandro e come mi era venuta in rilievo questa Parola di San Paolo, che avrei voluto scegliere come programma da vivere insieme ai parrocchiani. Ho aggiunto poi un motto ben noto dalle nostre parti: “prediche corte e saladi lunghi”, che vuol dire “poche chiacchiere e tanta sostanza”.

Passiamo ai fatti

Il giorno seguente ho cercato di ascoltare con attenzione le persone che venivano a trovarmi; aiutandole ad entrare nella logica del «gareggiate nello stimarvi a vicenda».

Alcuni hanno espresso il desiderio di avere gli avvisi parrocchiali per iscritto ed ho lanciato la proposta di adottare il settimanale “Camminare insieme” col relativo manifesto e calendario, tanto diffuso nella nostra regione, dove si riporta anche la frase della Parola di Dio da vivere come comunità. Nel Consiglio Pastorale ho presentato questa iniziativa come un modo semplice e pratico per vivere bene uno dei punti centrali del piano pastorale diocesano. Tutti l’hanno condivisa e il primo foglio l’abbiamo stampato nella festa della Madonna del Rosario e diceva : «Siamo servi inutili»; e l’abbiamo interpretato così: «Siamo servi gli uni degli altri senza ricercare utili, perché amiamo gratuitamente essendo tutti gratuitamente amati da Dio».

Nella giornata missionaria mondiale la Parola era “pregare sempre” e abbiamo pregato per tutti i missionari partiti da Almisano; ricordando ciascuno per nome: 16 suore e 16 tra sacerdoti e religiosi.

Per domenica 11 novembre la diocesi ci proponeva di vivere la giornata della Parola. Abbiamo trascritte in bigliettini e poste in un cestino alcune frasi tratte da Rm 12, 1-16, frasi che aiutano a vivere una spiritualità comunitaria. Tutti i partecipanti alle Messe erano invitati a scegliere un bigliettino per poi tradurre in pratica quella Parola.

Il brano l’avevamo già meditato con il Consiglio parrocchiale, con le catechiste e gli animatori. Molti si sono sentiti chiamati da Dio a mettere in pratica quella frase pescata dal cestino offerto loro dai chierichetti dopo la comunione. Nella domenica 18 novembre, sempre assecondando le direttive diocesane, abbiamo messo al centro il tema del pane eucaristico. Le catechiste hanno fatto fare dei piccoli pani; benedetti e messi in un sacchetto erano accompagnati da un foglietto con una preghiera di benedizione da fare in famiglia a pranzo. Alcuni hanno portato il pane agli ammalati, altri l’hanno diviso con famiglie vicine o hanno rinunciato al proprio per darlo ad un ammalato.

Condividere per crescere

Quando ho saputo di queste piccole esperienze ho pensato di comunicarle a tutti nella domenica successiva. Questo ha dato gioia e ha fatto crescere il senso di famiglia tra noi. Anche il far conoscere alcuni bisogni della canonica è stato positivo. Invece di spendere soldi per un attaccapanni a colonna, per un orologio a muro, ecc., ho pensato che fosse bene chiedere prima se qualcuno ne avesse già di inutilizzati. Ne sono arrivati subito due di ciascun tipo.

In prossimità dell’Avvento ho pensato di lanciare l’«arte di amare» prima nell’ambiente catechistico e poi coinvolgendo tutta la comunità nelle Messe dominicali. Mentre preparavo questo piano, sono stato invitato a mangiare una pizza dalla famiglia di un missionario gesuita, tornato a casa per un paio di giorni. Lì per lì non avrei voluto accettare sia perché di sera la pizza mi è pesante, sia perché non avevo ancora ben chiaro come proporre il tema dell’ arte di amare alle catechiste che avrei incontrato subito dopo. Ma mi son detto: qui non posso pensare a me stesso, devo solo farli contenti.

Mentre ero con loro, mi è venuto tra le mani il cubetto di legno che nel ristorante indica il numero del tavolo e  ho detto che stavo cercando chi mi facesse alcuni di questi dadi. Uno dei parenti mi ha presentato un suo cognato presente in un’altra stanza della pizzeria. Gli ho spiegato come e quanti me ne occorrevano e il giorno dopo me li ha portati tutti e 90. Con questa gioia in cuore ho contagiato le catechiste, poi sono passato classe per classe spiegando ai ragazzi cos’era l’«arte di amare» e invitandoli a scrivere gli atti d’amore su pezzetti di carta gialla che, arrotolati, sarebbero diventati la paglia della culla di Natale.

Per la prima domenica d’Avvento abbiamo messo vicino all’altare una culla vuota, da riempire con tanti atti d’amore. In ogni incontro chiedevo alle persone se avevano qualcosa di bello da donare. Tanti adulti mi dicevano che quello che vivevano non era degno di entrare nella mangiatoia. Allora cercavo di far capire che «nulla è piccolo di ciò che è fatto per amore» e che dobbiamo aiutarci a scoprire in noi e attorno a noi il bene che già c’è e farlo circolare, «gareggiando nello stimarci a vicenda». Far questo per assumere l’atteggiamento che Dio vive costantemente verso di noi. Egli infatti  valorizza anche il più piccolo gesto d’amore, come un bicchier d’acqua offerto a chi ha sete. Così un po’ alla volta hanno preso confidenza e trovato il gusto di unire la loro vita ordinaria a quella di Gesù. Per tutto l’Avvento abbiamo cercato di mettere a fuoco un solo punto dell’arte di amare, cioè “amare tutti”.

La prima persona da amare è Gesù che ha dato la vita per l’unità della comunità cristiana e del mondo. Abbiamo sentito il bisogno di imparare un nuovo saluto che esprimesse la spiritualità comunitaria. Finora nella Chiesa abbiamo accentuato piuttosto la spiritualità personale, individuale: salvarsi l’anima. Questa veniva trasmessa anche con il saluto: «Sia lodato Gesù Cristo» e con la risposta: «Sempre sia lodato». Un saluto che mette ciascuno davanti al Signore, senza però invitarlo esplicitamente a riscaldare le relazioni con gli altri. Ho raccontato come in altre parrocchie hanno adottato un nuovo tipo di saluto. Il sacerdote dice: «Teniamo Gesù...» e gli altri rispondono: «... in mezzo a noi». È piaciuto subito ed ora ogni tanto rinnoviamo così il patto d’amore reciproco.

Per “amare tutti” a Natale abbiamo scelto alcune persone come ministri momentanei dell’Eucaristia, per portare a tutti gli ammalati la Comunione, andando a due a due subito dopo la Messa del mattino. È stata un’esperienza toccante sia per i ministri che per le famiglie degli ammalati.

“Amare tutti” vuol dire anche far arrivare l’amore oltre la nostra comunità. Così tra il Natale e l’Epifania ho invitato a preparare pacchetti regalo per un monastero di clausura. Poi sono venuto a conoscenza della situazione tragica dell’ospedale di Betlemme in Terra Santa e abbiamo raccolto anche del denaro a questo scopo.

L’incontro con le suore nel monastero, nel portar loro i doni, è stato bello. La prima volta sono andato con i ragazzi della cresima e i loro genitori e la seconda volta con quelli della prima comunione e i rispettivi genitori. Abbiamo pregato con le suore e poi si è instaurato un dialogo con domande e risposte con i ragazzi. Questi scoprivano una realtà bella che non immaginavano ed erano felici, ma i più toccati erano i genitori.

Per coinvolgere un po’ tutti

Per la notte di Natale abbiamo distribuito dei lumini rossi da accendere su una finestra di ogni casa. Questo ha dato la possibilità di fare altri piccoli gesti d’amicizia, come portare il lumino alla nonna o ai vicini. Il paese sembrava un presepe illuminato dall’amore.

Quattro giorni dopo il Natale, in due gruppi, siamo andati a cantare il canto natalizio,  il “canto della stella”, in ogni famiglia. Il ricavato l’abbiamo destinato a un nostro missionario in El Salvador. E così l’amare tutti varcava l’oceano.

La notte di capodanno con alcuni del Rinnovamento nello Spirito abbiamo organizzato una veglia di adorazione, pregando per tutte le 1.130 persone della parrocchia, leggendo in chiesa il nome di ognuna. La gente è rimasta contenta di questa attenzione.

Un momento importante era stato anche la Messa della sera del 7 dicembre con la partecipazione di tre Movimenti: il Cammino neocatecumenale, il Rinnovamento nello Spirito ed io, sacerdote focolarino. Nell’unità abbiamo sperimentato qualcosa di divino.

Il giorno di Natale è venuto a fare la comunione un uomo cieco da qualche anno, accompagnato dalla moglie. Per stabilire un rapporto con lui, gli ho fatto una carezza sulla guancia. Questo piccolo gesto ha fatto del bene a molte persone ed ha dato tanta gioia alla famiglia.

I parrocchiani sono rimasti impressionati dal fatto che alcuni sacerdoti, che vivono con me la spiritualità dell’unità, hanno dedicato un bel po’ di tempo per aiutarmi a mettere in armonia l’arredamento della casa. Un parrocchiano mi ha detto che prova un senso di pace quando mette piede in canonica.

Anche il brindisi natalizio fatto nella sede della squadra di calcio è stato importante per stabilire un buon rapporto con gli sportivi. Alcuni dirigenti ci ospitavano in questa sede ogni sera quando tornavamo dal “canto della stella” e preparavano un vino brûlé per noi.

Un giorno ci è venuta un’idea: per l’Epifania non dovevamo regalare a Gesù oro, incenso e mirra, ma il nostro amore vissuto. Così abbiamo raccolto i 277 bigliettini che formavano la paglia della mangiatoia, scegliendo quelli più belli per metterli in sacchetti legati a dei palloncini e farli volare verso il cielo con dentro una breve spiegazione dell’arte di amare e il nostro indirizzo. Aiutati da tre re magi (uno era indiano induista) abbiamo lanciato 20 palloncini che, per nostra imperizia, sono partiti aggrovigliati in due gruppi.

E sono volati ben lontano, fino ad una località chiamata Praticello di Gattatico in provincia di Reggio Emilia, posando nel giardino di una casa di campagna. Il papà è andato a prendere la legna ed è stato attirato dall’abbaiare continuo della cagnetta che vedeva i palloncini muoversi sul terreno. La famiglia era riunita: con i genitori c’erano la figlia Caterina di 7 anni e 4 nipotini. Erano appena tornati dal paese e i bambini erano un po’ delusi dalla festa della Befana. Quando hanno visto i palloncini con i bigliettini, hanno gioito per questo regalo venuto dal cielo, hanno letto le esperienze cercando di capire, poi mi hanno telefonato lasciando un messaggio in segreteria. Li ho richiamati il giorno dopo.

La mamma Patrizia, tra l’altro, mi ha detto  che avrebbero portato i bigliettini a scuola e al catechismo. Mi ha chiesto poi una preghiera, perché stava per affrontare un parto un po’ difficile. Ora è nata Bianca Maria e noi abbiamo messo anche il suo fiocco rosa nel nostro albero della vita presso l’altare della Madonna.

E la storia continua

In questa quaresima stiamo valorizzando il suggerimento del nostro vescovo di nutrirci della Parola per far fiorire la vita di Gesù in noi. Abbiamo scelto otto frasi del quarto capitolo della prima lettera di san Pietro.

Nella prima domenica di quaresima, dopo la comunione, i chierichetti sono passati con dei cestini contenenti queste frasi. Ciascuno ne sceglieva una col proposito di meditarla e di viverla. Sapendo che per nutrire la Vita di Gesù è importante amare e qualche volta è bene anche contare questi atti d’amore per vedere se la vita cresce. Per questo abbiamo preparato tanti sacchetti di chicchi di grano da dare ad ogni famiglia per contare appunto gli atti d’amore.

Ogni domenica questi chicchi, che indicano gli atti d’amore compiuti per Gesù, vengono portati in chiesa e versati in un grande calice di vetro posto vicino all’altare. Di fianco al calice c’è anche uno scrigno dove si possono mettere i bigliettini dove sono scritte le nostre esperienze. I bambini della prima confessione e della prima comunione invece hanno un quadernetto apposito all’interno del quale c’è la sintesi dell’arte di amare. Su di esso scrivono le proprie esperienze per offrirle a Gesù il giorno del grande incontro con lui.

I chicchi di grano saranno poi macinati per fare dei piccoli pani da condividere con i familiari nella festa della prima comunione. Il panettiere nel programmare questi pani ha pensato di non macinare alcuni grani per porne uno nel cuore di ogni pagnottina in modo da ricordare l’atto d’amore: pane che nutre, seme che fa riconoscere la Vita! Questa proposta ha contagiato anche persone di altre comunità cristiane.

Un bulgaro ortodosso, sposato con una cattolica impegnata, venuto a conoscenza dell’esperienza dei palloncini, ha voluto conoscermi. L’ho accolto facendogli festa e presentandogli i chierichetti che avevano scritto qualcuno dei bigliettini. È partito anche lui con un sacchetto di chicchi per la sua famiglia. Anche gli amici di Reggio Emilia partecipano a questa gara d’amore.

Pure i giocatori della nostra squadra di calcio si sono impegnati. Ho proposto questa iniziativa come un gioco, dando una scatoletta piena di chicchi e invitandoli a scegliere una delle loro coppe dei campioni dove deporre un chicco di grano per ogni cosa bella fatta da loro fino a Pasqua.

L’allenatore è stato tra i primi a deporvi un chicco perché, dopo essersi arrabbiato con la squadra, aveva chiesto scusa a tutti, ricostruendo l’unità.

Mariano Cocco Lasta