Al cristiano non basta lo studio, occorre la sapienza. Come acquistarla?

 

L’amore genera sapienza

di Chiara Lubich

 

Questa conversazione è stata presentata nell’ottobre scorso a tutti i responsabili del Movimento dei focolari nel mondo convenuti a Rocca di Papa (Roma). Dopo aver fatto notare che esistono varie pubblicazioni dove si offre una descrizione sia degli aspetti spirituali del tema sia delle realizzazioni pratiche (corsi, scuole, università, ecc.), l’Autrice si limita ad esporre alcuni pensieri di fondo, frutto della luce e dell’esperienza  del carisma dell’unità.

L’amore vissuto, se crea comunione, se irradia, se eleva, se risana, se fa casa, se unisce, è in grado anche di generare luce, sapienza.

C’è nella storia del Movimento dei focolari un momento conosciutissimo che abbiamo sempre ritenuto fondante e fondamentale per quanto riguarda quest’aspetto.

Si tratta di quel giorno, degli anni ’40, in cui nel primo focolare, a Piazza Cappuccini, ho lasciato i miei amatissimi libri, riponendoli in soffitta.

Risolvevo così quella contraddizione, che avevo avvertito evidente nella mia vita: cercare la verità nella filosofia mentre essa era tutta intera in Gesù Eucaristia che ricevevo ogni mattina.

Infatti, una luce dello Spirito Santo mi aveva fatto chiaramente comprendere che avrei trovato la verità piena, autentica, indiscussa, alta e profonda in Lui, Verità: «Io sono la via, la verità e la vita» (Gv 14, 6).

“Ho visto una luce”

È questo fatto – penso – l’esordio dell’aspetto che trattiamo.

Ed a proposito di esso, negli archivi dell’Opera, ho trovato recentemente una lettera di quei primi tempi scritta ad un’amica.

«Vedi – dicevo – io sono una persona che passa per questo mondo.

Ho visto tante cose belle e buone e sono sempre stata attratta solo da quelle.

Un giorno, un indefinito giorno, ho visto una luce. Mi parve più bella delle altre cose belle e la seguii.

M’accorsi che era la Verità».

Questa lettera mi ha sorpreso: come mai – ho pensato – posso aver detto così? Ed ho supposto che la luce, di cui qui ho parlato, sia quella del carisma che lo Spirito Santo ci ha donato e che poi la Chiesa ha studiato e, col dono del discernimento, ha approvato.

Quello che ho trovato di interessante in scritti, discorsi, diari riguardanti quest’aspetto che, per semplicità chiamerò “indaco”1, non sono in genere lunghi pensieri compiuti, meditati. Sono gocce, forse di sapienza o di semplice saggezza umana, che s’aggiungono o spiegano meglio cose già conosciute; o piccoli corollari che ho scelto e ho voluto mettere in evidenza semplicemente perché, belli, hanno in sé – penso – un raggio della bellezza che è, al contempo, la verità di Dio. O, ancora, previsioni che sorprendono perché realizzatesi poi dopo anni e anni.

I sette aspetti dell’amore

Siamo negli anni ’50. Nel 1954 lo Spirito Santo ci aveva illuminato sui sette aspetti dell’amore e sin dal 1955 si parla dell’indaco. Ed ecco un fatto che meraviglia assai: sembra che, sin d’allora, lo Spirito Santo voglia comunicarci il progetto che ha sul nostro Movimento. Ci fa capire che tre sarebbero stati, nel tempo, i periodi della nostra Opera precisandoli con questi nomi: Assisi, Parigi, Hollywood, già presenti nel DNA di essa, se così si può dire, per il carisma che l’ha suscitata e sempre condotta, ma venuti in piena luce solo alcune decine di anni dopo.

È un discorso che riprenderò solo nell’882:

«Noi distinguiamo – ho detto – nel nostro Movimento tre periodi: il primo è stato quello in cui è nata la nostra spiritualità, il nostro stile di vita. E lo abbiamo chiamato “Assisi”».

Il secondo è stato quello nel quale ho incominciato a studiare per confrontare gli aspetti della nostra spiritualità con la dottrina della Chiesa. Ed abbiamo visto che coincidevano, anche se prevedevamo l’apertura di nuovi orizzonti. E l’ho comunicato a tutti.

Ci aveva fatto impressione e timore, a questo proposito, fra il resto, una frase forse di san Francesco, timoroso che i frati s’attaccassero ai libri: «Parigi, Parigi, tu distruggi Assisi».

«Noi – si affermava – vogliamo che Parigi  esista, ma anche Assisi. Noi viviamo la spiritualità, ma vogliamo anche studiare».

Ed ora – come tutti sappiamo – s’è già aperto il terzo periodo che abbiamo intitolato ad un’altra città simbolo: Hollywood. Esso presenta e presenterà il contenuto del nostro Movimento in pubblico attraverso le varie espressioni artistiche e i grandi mezzi di comunicazione.

Ma affrontiamo direttamente il tema della sapienza.

Cos’è la sapienza?

Riportiamo questa pagina di un libro del ’64:

«Per il dono della sapienza l’anima è messa a contatto delle realtà eterne (…) Essa scruta la profondità di Dio e ne scorge la fulgida bellezza. Vede ciò che non sa ridire, e beve a quella sorgente inesauribile, senza essere mai sazia, con un desiderio sempre più vivo – come di cerva giunta alla sorgente – (…).

Ma, scoperto e quasi assaporato Dio, con quella luce negli occhi può guardare il mondo, e vederci bene (…) tutto giudicando secondo ragioni divine, quasi proiettando su tutto la luce dell’infinito sguardo di Dio.

Nella mente del saggio cristiano viene quasi ricostruito l’ordine ideale che è nella Mente di Dio. Lo svolgersi delle ère e delle età, il succedersi e il concatenarsi degli avvenimenti, il fluire delle cose, l’avanzare della storia, lo svilupparsi della propria vita, tutto è visto nel suo rapporto di dipendenza e di convergenza a un divino disegno (…) con la stessa “sintesi mentale” di Dio, che vede ogni cosa nel Verbo e ogni cosa ama nello Spirito, e tutto conosce amando e tutto ama nell’atto stesso della sua contemplazione infinita»3.

«Il membro del Movimento deve possedere la sapienza». Lo si dice, lo si ripete negli scritti, nei diversi Statuti. È un imperativo.

Ma vien da chiedersi: come si può avere la sapienza?

Lo stesso Spirito Santo, che ci comanda qualcosa (attraverso gli Statuti da Lui ispirati), ci dà anche la risposta.

E la risposta, nel tempo, è divenuta sempre più chiara.

Come ottenere la sapienza

La sapienza si può ottenere in quattro modi: domandandola a Dio, amando Dio e il prossimo, amando Gesù abbandonato, ponendo Gesù in mezzo a noi.

1) Si è sempre pregato per avere la sapienza, sin dai primi giorni – direi – quando, per prepararci a parlare al nostro piccolo pubblico, stavamo anche un’ora di fronte a Gesù nel tabernacolo ripetendogli: «Tu sei Tutto ed io sono nulla», affinché Lui e Lui solo parlasse per mezzo nostro. E lì – occorre ricordarlo – tutto è iniziato.

Preghiamo anche tuttora il Padre, con uno o più consenserint (così chiamiamo la preghiera insegnataci da Gesù: «Se due di voi sopra la terra si accorderanno per domandare qualunque cosa, il Padre mio che è nei cieli ve la concederà» (Mt 18, 19) che spesso pronunciamo insieme prima di un discorso, per avere lo Spirito Santo.

2) Si può ottenere la sapienza, ancora, amando: amando Dio e il prossimo.

È sempre stata una nostra convinzione ed esperienza che l’amare porta luce. È, infatti, dei primi anni il nostro speciale amore per questa Parola di Gesù: «Chi mi ama sarà amato dal Padre mio e anch’io lo amerò e mi manifesterò a lui» (Gv 14, 21).

San Beda diceva: «A chi ha amore per la Parola (nella quale è Cristo), sarà data anche l’intelligenza per comprendere la parola che ama; mentre chi non ama la Parola non gusterà affatto le delizie della vera sapienza. Anche se crede, per le sue doti naturali e per i suoi studi, di possederla, non la possiede»4.

«Per avere la sapienza – spiegavamo ulteriormente – bisogna essere un altro Gesù e per essere un altro Gesù occorre amare: la luce che si ha amando è la sapienza». Come la luce della bicicletta s’accende pedalando, così la sapienza s’accende in noi amando.

E si ricordava un proverbio orientale: «Dammi il tuo cuore – [cioè ama] – e ti darò un paio di occhi», che vuol dire: ama, e ti farò vedere.

La sapienza si ha, dunque, amando.

3) La si ha pure amando Gesù crocifisso e abbandonato.

Nel capitolo VI degli Statuti attuali si dice: «Le persone che fanno parte dell’Opera cercheranno di possedere anzitutto la vera sapienza cristiana. “Nulla infatti Dio ama se non chi vive con la sapienza” (Sap 7, 28).

Per questo, abbracciando con Cristo la sua croce e il suo abbandono, cercheranno di fare splendere nel proprio cuore il Risorto, che irradia i doni dello Spirito» (art. 58).

Già nel 1967 dicevo che la sapienza si ha amando Gesù abbandonato.

«Se noi non amiamo la croce, se non viviamo che per essa, non esiste nel nostro cuore vero amore per Dio e per i fratelli, non esiste la sapienza.

Noi, offrendo la nostra giornata, ripetiamo sempre ogni mattina, come quando eravamo appena nati a questa nuova vita: “Perché sei abbandonato Gesù, perché sei desolata Maria”. E Lui è tutta la sapienza per noi. E capiamo perché ancora san Bernardo dicesse che nel crocifisso è la sua più alta filosofia».

Si legge in un libro edito da Città Nuova che Bernardo da Chiaravalle disse ad un professore di Parigi: «A quanto ho saputo tu commenti libri dei Profeti. Ma puoi tu dire che comprendi le loro lezioni, ed in particolare il loro insegnamento su Cristo? Tu comprenderai meglio Cristo seguendolo piuttosto che insegnandolo».

Montfort confonde quasi la sapienza con la croce. Da lui si apprende che l’albero della croce distilla nettare eterno: sapienza, raggio, riflesso, partecipazione alla sapienza eterna che è il Verbo di Dio.

E dice che la sofferenza insegna ciò che in nessun’altra arte si può apprendere. Essa siede sulla più alta cattedra. È maestra di sapienza e chi ha la sapienza è beato. Beati, infatti, coloro che soffrono. Essi saranno consolati non solo col premio di là, ma con la contemplazione di cose celesti di qua.

4) Quarto modo per avere la sapienza è porre Gesù in mezzo a noi.

«(Le persone) cercheranno inoltre – continua lo Statuto – di essere unite fra loro affinché Cristo, presente nell’amore reciproco, possa elargire anche in mezzo a loro i doni dello Spirito» (art. 58).

Ci siamo sempre più convinti che «dobbiamo aver la sapienza singolarmente (mediante il Risorto in noi) e collettivamente (con Gesù fra noi). Dobbiamo imparare (con ciò) – si è affermato – ad essere “fontane zampillanti”».

Un segno che la sapienza è presente in chi parla, è l’esclamazione: “Che bello!” di chi ascolta. Essa non è riferita mai ad un ragionamento umano che si è udito, ma al soprannaturale. Se nelle nostre parole, ad esempio, si sente il filo d’oro che lega tutti gli avvenimenti della nostra vita, lasciandoci ammirati, vuol dire che qui c’è della sapienza.

E la sapienza è stata abbondante nella nostra Opera sia nel delineare la sua spiritualità che la sua struttura.

Un solo Maestro

Come spesso ricordiamo, ancor prima della nostra avventura volevo conoscere Dio, ed avevo avuto l’impressione di sentire nel mio cuore le parole: «Sarò io il tuo Maestro».

E lo è stato per me e per molti.

Per questo all’Università  di Buenos Aires (UBA) nel ’98 ho potuto dire:

«Con sorpresa, posso affermare ora, a sola gloria di Dio, che, dopo decenni della mia impegnativa e splendida sequela, il Signore ha avuto la bontà di far conoscere a me, ed a quanti seguono il Movimento, qualcosa della sua infinita sapienza. E non solo per quanto ha a che fare con lo studio su Dio, la teologia, ma – sembra – anche per altri ambiti del sapere, dandoci la possibilità di cogliere quelle linee che devono innervare – per renderle autenticamente vere ed accette a Lui – le varie scienze umane».

Ed ecco cosa sta scritto a questo proposito nel libro della Sapienza:

«Sebbene unica, essa può tutto;
pur rimanendo in se stessa,
tutto rinnova (…).
Essa in realtà è più bella del sole
e supera ogni costellazione di astri;
paragonata alla luce, risulta superiore;
a questa, infatti, succede la notte,
ma contro la sapienza la malvagità
non può prevalere» (Sap 7, 27-30).

Lo studio a servizio della sapienza

Passiamo ora a parlare dello studio. Si vuole lo studio, però con una precisazione: «L’“indaco” non è tanto lo studio ma la sapienza, perché è un colore dell’amore: l’amore che diventa sapienza, che illumina».

Lo studio non è quindi un’aggiunta alla sapienza, ma un mezzo per ampliarla, per renderla più irradiante.

«L’alfa e l’omega – è scritto – resta la sapienza. Il principio è la sapienza: il fine è la sapienza: Dio».

Si precisa pure il posto dello studio: «Lo studio (…) sgabello alla sapienza».

Lo studio comunque ha per noi il suo peso. Si è sempre saputo che «per aumentare la sapienza occorreva studiare».

E fra noi, grazie a Dio, finora ci sembra di poter dire che «Parigi non ha distrutto Assisi». Lo studio è stato a servizio della sapienza.

E si incoraggia anche lo studio dicendo: «Ma potrebbe essere molto di più (a servizio della sapienza). Un settimo della nostra vita (considerando i sette aspetti dell’amore) sia dedicato sempre allo studio».

Già nel ’60 troviamo scritto:

«La sapienza sarà corredata dalla conoscenza della teologia e di quante altre nozioni profane servono a questi scopi.

Mai però la teologia soffochi la sapienza, ma viceversa: la sapienza aiuti la teologia».

E si ribatte:

«A me è venuta una grande gioia pensando che nella nostra Opera lo studio è visto come la “settima” espressione della nostra vita, come un aspetto dell’amore. Ci può essere però a condizione che serva all’amore di Dio e del prossimo. Altrimenti è un disturbo, è Parigi che distrugge Assisi».

Le “inondazioni”

C’è poi un pensiero (fra i tanti) che fa capire che anche lo studio umanistico e scientifico è una precisa volontà di Dio per noi. Nel tempo poi si sarebbe data ragione a questa precisazione e specie ora con le nostre cosiddette “inondazioni”5.

Per lo studio dei focolarini, ad esempio, già nel ‘66 si diceva: «Per quanto concerne gli studi umanistici e scientifici, si prevede che il focolarino si tenga aggiornato su quello che riguarda la sua professione e vada sempre più perfezionandosi.

Bisogna pensare che, con l’andar del tempo, molti focolarini della stessa professione saranno raggruppati nelle opere che nasceranno. Questo farà sì che dovranno mettere in comune, con Gesù in mezzo a loro, anche quelle idee, quelle nozioni, quegli approfondimenti che di giorno in giorno avranno acquistato.

La presenza di Gesù in mezzo ad operai dello stesso mestiere, ad esempio, farà sì che sia sempre di più Gesù in essi ad operare in quel dato settore ed illuminerà anche il mestiere stesso.

Nello stesso tempo questi focolarini potranno essere anche lievito nei Centri del Movimento». (Si tratta appunto delle “inondazioni”).

La nostra teologia

«Per quanto riguarda invece lo studio teologico, si prevede che i focolarini dovranno frequentare corsi superiori di teologia».

E qui c’è un pensiero assai ricorrente:

«Noi, per quanto riguarda la teologia, dovremo approfondire la dottrina del Corpo di Cristo», studio che si andrà perfezionando anche nei dettagli.

«Questo patrimonio di dottrina del Corpo di Cristo sarà messo in comune nell’Opera di Maria e sarà una ricchezza anche per la Chiesa».

E qui c’è un altro concetto importante:

«Naturalmente la dottrina del Corpo di Cristo (che domanda che si viva sul modello trinitario) avrà un riflesso anche nel corpo sociale che verrà edificato, almeno per quanti lavorano nell’Opera di Maria, a immagine e somiglianza del Corpo di Cristo».

Come studiare?

Per quanto riguarda il modo di studiare, nel 1974, ad una domanda di un gens6 che suonava così: «Come vedi che possiamo passare attraverso lo studio della teologia senza rischiare di lasciarci prendere troppo o perdere il senso della radicalità del Vangelo?», rispondevo:

«La cosa è molto semplice. Ho studiato anch’io e per 14 volte mi era stato detto di lasciare lo studio e poi di riprenderlo.

Ebbene, ricordo la mia ultima ora di studio. L’ho sempre in mente. Ero seduta su una pelle per terra; avevo l’atlante da una parte e le dispense dall’altra, e studiavo per un esame di geografia. “Adesso – ho detto – voglio proprio studiare benissimo per fare la volontà di Dio e non andrò avanti se non so bene quanto ho studiato precedentemente come so l’Ave Maria”. E così ho fatto.

Mi sembrava che il mio studio fosse come incenso che andava a Dio perché era fare bene la volontà di Dio. Ricordo che l’ultima ora mi è parsa un capolavoro. E, finita l’ora, ecco un’altra volontà di Dio: far da mangiare per le focolarine perché ero l’unica a casa; le altre erano negli uffici.

Dopo quell’ora mi è stato detto di non studiare più. E sono stata felice perché la vita è amore, non è studio. Quindi importante è fare la volontà di Dio, perché così si ama.

Facendo in tal modo, non c’è pericolo d’attaccarsi allo studio».

Si cerca pure che lo studio sia fatto come si deve perché «ben fatto può aiutare la contemplazione». È una convinzione di Teresa d’Avila, dottore della Chiesa, che di contemplazione se ne intendeva; i dotti, per lei, sono facilitati, «se veri dotti, alla contemplazione», e quindi ad acquistare sapienza.

Le seguenti parole del 1960 ci dicono ancora come comportarci di fronte agli studi.

«Lo studio per noi non vale niente se non è effetto del nostro amore. È stato detto: “surgunt indocti, sorgono gli indotti e rapiscono il Regno di Dio e noi con i nostri studi andiamo nel profondo dell’inferno”. Così era di quelli che davano troppo peso allo studio di fronte allo spirito di pietà, di orazione».

Studiamo perché amiamo

Per noi l’amore dunque deve essere molla dello studio.

«Perché noi – ho trovato scritto – vogliamo studiare? Perché noi vogliamo non smettere mai di studiare?

Perché amiamo Dio e quando uno ama qualcuno e ne è innamorato, vuol sapere di questo qualcuno tutto quello che può sapere.

Noi vogliamo sapere tutto quanto è possibile su Dio per poterci innamorare sempre più di Lui. Allora i libri non saranno un ingombro per la nostra anima, qualcosa che spegne lo spirito di orazione, ma saranno come paglia sul fuoco…».

Lo studio, poi, non deve esser solo effetto della carità ma deve servire la carità.

Per noi, come per san Bernardo, ogni conoscenza, e la stessa conoscenza della Scrittura, devono «servire la carità». Perché è nella carità che l’uomo impara a conoscere se stesso ed a conoscere Dio, restaurando la “somiglianza” con Dio.

Lo stesso Bernardo, in un celebre sermone, diceva: «Tutta la mia alta filosofia, oggi, consiste nel conoscere che Gesù è, e che è stato crocifisso».

E quando Bernardo cominciò, con i suoi primi compagni, la strada che Dio gli aveva indicato, e “scelse Dio solo”, «la sua vita con i compagni – dicono – era carità». «Coloro che vedevano come essi si amavano, riconoscevano che Dio era in loro».

Così deve essere sempre di noi, anche di quelli più dedicati allo studio.

L’amore deve pure essere l’anima dello studio.

Giovanni Paolo II, parlando ad un gruppo di intellettuali, ha detto che bisogna che gli studiosi, i teologi, abbiano di fronte, come modello, Teresina di Lisieux, perché è l’amore che può fare una teologia viva7.

Si poteva pensare a san Tommaso come modello. E invece il Papa ha indicato Teresa di Lisieux.

Una nuova dottrina

Da tempo si pensa che dal carisma dell’unità debba nascere una dottrina. O, meglio ancora, dalla vita d’unità. Si dice sempre, infatti, che come dal Padre è stato generato il Figlio, suo Verbo, sua Luce, sua Bellezza, così dalla vita d’unità deve sorgere una teoria, una dottrina.

Ecco alcuni pensieri in proposito:

«Se non ci fosse la vita vostra non ci sarebbe neanche la dottrina, perché il Padre ha bisogno di esserci per generare il Figlio, e la dottrina è come il Figlio di fronte al Padre. Questa realtà nuova (la dottrina), che tutti ci abbraccia, non andrebbe avanti se noi non vivessimo così (…)».

«Questa vita evangelica è come una scuola, anzi come la fonte di una nuova dottrina che sintetizza e amplia le conoscenze già acquisite».

«Una dottrina che sarà una sintesi nuova perché l’ideale dell’unità fa l’unità degli opposti. Nel campo teologico ci sono tante scuole. Il carisma dell’unità ha la forza, con Gesù in mezzo, di fare una sintesi e non un compromesso».

E la si vide, questa dottrina, collegata con Maria:

«Verrà una nuova teologia, una teologia della Chiesa, che è anche una teologia mariana, perché è la teologia dell’Opera di Maria. Sarà Maria qui, che con il suo carisma particolare ci aiuterà a raccogliere tutto quello che è stato frutto, attraverso i secoli, di tutti i carismi, di tutte le scuole, per poter fare una nuova sintesi, una sintesi mariana, la sintesi che oggi l’umanità aspetta onde (…) rivestire il volto della Chiesa non solo di carità ma di luce perché Gesù è la luce venuta nel mondo».

Un giorno, parlando con un nunzio in Africa dei “semi del Verbo” presenti in ogni cultura, mi sembra d’aver capito che la dottrina che emerge dal carisma dell’unità, non è fondata su nessuna cultura umana, perché è dallo Spirito Santo.

E allora è una luce che non ha colore. È una luce bianca che può servire a tutte le culture. Può penetrare nel profondo di ogni essere umano perché Gesù è l’Uomo: non un uomo, ma l’Uomo.

Per quanto riguarda l’“indaco” scrivevo:

«Ciò che mi interessa è la dottrina che si ricava. Non è che io bevo il vino mangiando l’uva. Io bevo il vino dopo che l’uva è stata pestata. Il vino sarebbe la dottrina che si ricava dal grappolo di uva e il grappolo sarebbe l’esperienza nostra tutta intera. Il vino sarebbe la dottrina con la quale dovremo tutti diventare brilli: tutti illuminati, tutti felici».

La Scuola Abbà

I seguenti sono pensieri un po’ nuovi che senz’altro contengono una previsione.

«Abbiamo l’impressione che, nell’Opera di Maria, il Signore stia sviluppando non solo una dottrina nuova, ma la stia incarnando anche in forme di vita, le più varie, che saranno tanti campi di esperimento e faranno, esse stesse, parte della scuola (le “inondazioni” sono legate alla Scuola Abbà8).

Così, per studiare bene la dottrina sociale cristiana (per il nostro particolare apporto) occorrerà andare a vedere come si vive nelle industrie, nelle aziende che l’Opera di Maria avrà fatto nascere.

E, per conoscere a fondo i problemi pedagogici, legati all’educazione, occorrerà andare a vedere quelle scuole nelle quali si vive il nostro Ideale.

Tutta l’Opera di Maria apparirà come un campo di prova, come una palestra di questa dottrina e sarà, nello stesso tempo, generatrice di essa».

È impressionante ciò che si diceva sin dal 1967:

«Io vorrei che nascesse dal nostro Movimento (giacché il contributo che noi dobbiamo dare alla Chiesa non è tanto, ad esempio, quello dei Compagnons Bâtisseurs9) un’opera di luce.

Dovranno nascere dalla nostra spiritualità una cultura, una filosofia, una sociologia, una teologia. E questo è veramente da augurarsi. Voglio dire che, fra le cose concrete che devono uscire dal Movimento dei focolari, questa è la più indovinata, la più logica.

Questa sarebbe una delle opere, mi sembra, che l’Opera deve fare e proprio perché ha una spiritualità.

Siccome è cristianesimo visto con l’occhio del ventesimo secolo, con le esigenze del ventesimo secolo, che suppone tutto il passato, deve per forza avere degli studiosi e delle studiose».

E già nel 1974 ritroviamo i prodromi della Scuola Abbà.

«La lettura di queste pagine dava a voi dei barlumi per comprendere una cosa o l’altra. E metteva in voi soprattutto una grande carica di speranza che questi barlumi un giorno diventassero luce. I barlumi erano i più vari: andavano dal campo della sociologia a quello della politica, alla scienza, ecc. Ora noi ci siamo radunati oggi proprio per incominciare a raccogliere questi barlumi.

Non potrà però avvenire niente di tutto questo se noi non ricreeremo fra noi tutti quell’aria, quell’atmosfera di unità, di altissima unità che è l’Anima10; e io penso che oggi potrebbe essere un giorno che domani chiameremo storico, il 2 dicembre del ’74. Perché potrebbe essere la pre-nascita della dottrina dell’Opera di Maria».

Maria modello di sapienza

E concludiamo ora con un pensiero preso dal libro della Sapienza:

«La sapienza è radiosa e indefettibile,
facilmente è contemplata da chi l’ama
e trovata da chiunque la ricerca.

Previene, per farsi conoscere,
quanti la desiderano.

Chi si leva per essa di buon mattino
non faticherà,
la troverà seduta alla sua porta.

Riflettere su di essa
è perfezione di saggezza,
chi veglia per lei
sarà presto senza affanni» (Sap 6, 12-15).

La Madonna è sede della sapienza, non perché ha parlato, non perché è stata un dottore della Chiesa, non perché è stata seduta in cattedra, non perché ha fondato università; è sede della sapienza perché ha dato al mondo Cristo, la Sapienza incarnata. Ha fatto un fatto. Così pure noi: avremo la sapienza se vivremo in modo che Gesù sia in noi, sia fra noi, ci sia di fatto.

 

Chiara Lubich

 

1)   «La vocazione dei membri dell’Opera di Maria è l’Amore vissuto personalmente e comunitariamente, a Corpo mistico. Esso ha varie espressioni, che a noi piace paragonare alla luce, che si rifrange nei sette colori. Per questo nel Movimento dei focolari si usa chiamare “colore” ciascuno di questi aspetti: (...) L’aspetto della sapienza e dello studio è detto “indaco”». Cf. AA.VV., Come un arcobaleno, Roma 1999, ad uso interno, pp. 17-18.

2)   Sono discorsi parlati che trasformo in discorso scritto.

3)   R. Spiazzi, Lo Spirito Santo e la vita cristiana, Roma 1964, p. 229.

4)   Beda, Commento al Vangelo di Marco, Vol. I, Roma 1970, p. 129.

5)   Mutuando il termine da san Giovanni Crisostomo, con “inondazioni” si intende la penetrazione forte e intensa della vita e della luce del carisma dell’unità nelle realtà umane.

6)   I gens rappresentano i giovani seminaristi che aderiscono alla spiritualità del Movimento dei focolari.

7)   Cf Discorso ai partecipanti alla plenaria della Congregazione per la Dottrina della Fede, 24 ottobre 1997, in “L’Osservatore Romano”, 25/10/1997, p. 5.

8)   La Scuola Abbà è costituita da un gruppo di studiosi del Movimento dei focolari, per l’approfondimento teoretico ed interdisciplinare dei contenuti dottrinali del carisma di Chiara Lubich.

9)   Associazione sorta in Belgio nel 1953 allo scopo di aiutare le popolazioni vittime delle distruzioni della seconda guerra mondiale.

10) Questa espressione di Chiara Lubich si rifà ad un’esperienza di profonda unità sperimentata da lei con le prime focolarine e focolarini nel 1949 e trasmessa poi ai membri del Movimento. Essa si richiama alla vita dei primi cristiani: «La moltitudine di coloro che erano venuti alla fede aveva un cuor solo e un’anima sola» (At 4, 32).