Chi vive la sapienza è credibile

 

Un bimbo, annoiato dalla predica del parroco durante una messa domenicale, ad un certo punto ha detto alla mamma che voleva andare via. Invitato a star calmo, ha resistito ancora un po’ ma poi, ricordandosi che la madre dopo la predica faceva la sua offerta, le ha detto: «Perché non paghiamo subito e così possiamo andarcene?».

Come mai la predica è diventata così spesso sinonimo di noia, non solo per i bambini ma anche per gli adulti? Perché l’annuncio del Vangelo, che significa appunto “Buona Novella”, non suscita in genere entusiasmo e neppure una certa curiosità? La causa non può trovarsi solo negli altri o nelle circostanze storiche che viviamo. Forse per molti le nostre parole non sono credibili più di tanto. Non manca qualcosa nel nostro modo di trasmettere il cristianesimo?

D’altro canto assistiamo anche a fenomeni opposti. Ci sono persone che quando parlano di Dio sono ascoltate con interesse non solo dai credenti, ma anche da coloro che vivono lontani dalla pratica religiosa o che addirittura si dicono atei.

Avete mai assistito ad una Mariapoli? Non c’è solo l’ascolto attento, ma anche la gioia, l’entusiasmo e il vivo desiderio di mettere in pratica quanto si annuncia. Si avverte che le Parole del Vangelo sono state pronunciate da Gesù proprio per l’umanità di oggi, per risolvere i problemi nostri, sono rivolte ad ognuno personalmente e alla comunità nel suo insieme, e attirano per la loro bellezza e attualità.

Quando parlava Teresa di Calcutta, anche di fronte ad assemblee di politici, tutti ascoltavano con rispetto e ammirazione; eppure questa donna minuta e curva sotto il peso degli anni diceva parole semplici che, pur andando spesso al di là degli schemi mentali degli uditori, colpivano il loro cuore e ne illuminavano le menti.

Un arcivescovo, dopo aver ascoltato Chiara Lubich, mi ha detto: «Che cosa ha  questa donna? Ha parlato di Vangelo, quello che io conosco e predico da decenni. Eppure le sue parole mi hanno toccato nel profondo e gettano una luce nuova sulla mia vita!». La medesima impressione mi comunicava un altro vescovo: «Noi predichiamo le stesse cose e la gente rimane indifferente, mentre Chiara suscita interesse e trascina verso Dio, perché racconta il Vangelo vissuto». Vangelo vissuto non solo da lei personalmente, ma da migliaia e migliaia di persone che la seguono e vivono in comunione tra loro.

Adalberto, vescovo di Praga, nel 989 venne a Roma e rimise nelle mani del Papa il suo incarico e si fece monaco, perché i praghesi non erano interessati alla sua predicazione ed egli non intendeva passare la vita celebrando semplicemente solenni cerimonie, quasi fossero ricreativi spettacoli teatrali. Dopo alcuni anni i suoi concittadini lo supplicarono di tornare. Egli accettò l’invito loro e del Papa ad una condizione: «Tornerò – disse – se posso portare con me un drappello di monaci e costruire un’abbazia vicino alla capitale». E spiegò al Papa: «Conosco i miei concittadini: credono solo a quello che vedono con i loro occhi e toccano con le loro mani. Prima ancora di predicare devo mostrare loro uno stile di vita più nobile e più attraente di quello che loro stanno vivendo». E partì dunque per Praga portando con sé dodici monaci esperti in agricoltura e nei vari mestieri, ma soprattutto uniti tra loro dall’amore fraterno. Così la sua parola divenne efficace non solo a Praga, ma portò la luce del Vangelo fino alla Polonia.

Oggi è necessaria una nuova presentazione della Verità, ma per far questo non basta una conoscenza teologica aggiornata – pur sempre necessaria – e neanche bastano la capacità oratoria e l’uso dei mezzi moderni di comunicazione. Chi parla di Dio deve poter dire: «Venite e vedete». La realtà annunciata per essere credibile deve essere palpabile. Per questo dietro chi annuncia il Vangelo deve esserci una comunità di persone che si sforzano di incarnarlo nel quotidiano e non ciascuno per suo conto, ma in comunione. Solo in questo modo chi ha il compito di parlare può far “vedere”, far “gustare” la sapienza. E allora l’annuncio diventa non solo credibile, ma anche attraente.

Una delle definizioni più pregnanti e belle della sapienza la dà san Tommaso nella prima parte della Somma Teologica: «È un dono dello Spirito, che cresce con la carità». Oggi, però, è necessaria una carità vissuta ancor più a corpo.

Non per nulla il Papa nella Novo millennio ineunte ci invita a fare della Chiesa una casa e una scuola di comunione, affinché tutti i cristiani diventino portatori della sapienza con la parola e con le opere, secondo il compito affidato ad ognuno.

Forse, proprio per venire incontro a questo estremo bisogno di comunione nell’umanità, lo Spirito ai nostri giorni ha suscitato nelle varie Chiese cristiane tanti nuovi carismi. Ognuno di questi, secondo la propria ispirazione, sta creando comunità dove si cerca di vivere appunto la comunione fino agli aspetti più concreti della vita.

Di fronte ai fallimenti di tutte le ideologie moderne, spesso con conseguenze devastanti a livello mondiale, solo un’esperienza comunionale della Parola di Dio farà riscoprire ai nostri contemporanei la sapienza del Vangelo e ridonerà al mondo la fiducia in un futuro di pace, di uguaglianza e di fraternità.

Enrico Pepe