Una generazione che guarda al futuro
Più di mille sacerdoti e seminaristi di tutto il mondo hanno preso parte al convegno promosso dal Movimento dei focolari dal 19 al 21 aprile 2006 a Castel Gandolfo (Roma).Giovani, per la maggior parte, i partecipanti. Emergevano quindi alcune caratteristiche: l’essere figli del proprio tempo, la libertà di fronte a pregiudizi dei decenni passati, lo zelo per vivere bene in questo periodo storico la propria donazione a Cristo e alla Chiesa.Al posto di lunghe conferenze, il convegno ha offerto l’opportunità di conoscere più di cinquanta testimonianze, assieme a succinte riflessioni di carattere teologico, pastorale e di spiritualità. Suggestivi momenti artistici eseguiti al pianoforte, al flauto e con il linguaggio della coreografia si avvicendavano con gli interventi parlati. Al centro dell’incontro, le bellissime celebrazioni liturgiche, vissute intensamente.Uno dei partecipanti, attento e sensibile, ha fatto un’osservazione che condivido in pieno: «Più che la luce di idee teoriche in questo incontro risplende la bellezza che spande nell’aria e si esprime spontaneamente nella simpatia con cui tutti si accolgono e testimoniano il valore di esserci». E ancora, sempre a proposito di bellezza, annota: «L’équipe organizzativa che, ha ben misurato i vari interventi, sottraendoli alla pesantezza o alla insignificanza, lascia intravedere la bellezza anche nel palinsesto tecnico. La generosità con cui sacerdoti e seminaristi narrano le loro personali esperienze, a volte anche dolorose o imbarazzanti, mette in luce quella nobiltà delicata che è riposta nell’animo umano. Esperienze eroiche di vita, come quella del card. Van Thuan, hanno mostrato le altezze cui Dio può chiamare una persona».
Il
profilo del sacerdote nella società secolarizzata
Le testimonianze
provenivano da culture, società e tradizioni ecclesiali diverse. Coincidevano
però sostanzialmente sia nella diagnosi che nella proposta per il futuro. Se il
prete oggi è visto spesso come un personaggio bizzarro nelle società
secolarizzate, se spesso non vede i frutti della sua donazione, se si sente
invece tentato di cadere nell’attivismo quando cerca di avvicinare e servire
tutti, la diagnosi è chiara: il prete nel tempo odierno non è chiamato ad
essere un superman, una roccia immutabile o un eroe solitario. Il peggiore
nemico del prete oggi è il voler fare da sé e da solo. Lo spirito di questo
convegno è stato focalizzato dal messaggio rivolto ai partecipanti da Chiara
Lubich, fondatrice dei Focolari. Un messaggio nel quale si presenta la teologia
del sacerdozio centrata in Cristo da una prospettiva nuova, quella della
comunione, dell’unità. «Gesù crocifisso e abbandonato è Colui che ha aperto
agli uomini la via alla fraternità universale». È proprio nell’abbandono che
lui ha ristabilito il rapporto fra Dio e l’umanità. È per questo che si parla
di lui: «Egli è il vero sacerdote!». Più avanti il messaggio propone in questo
modo la vita del sacerdote: «che ognuno veda in lui il suo modello, affinché la
Chiesa oggi si trovi arricchita di sacerdoti-Cristo, sacerdoti-vittime per
l’umanità; autentici Cristo, pronti a dare la vita per tutti».Durante i giorni
del convegno si è puntato a offrire questa visione rinnovata della vocazione
sacerdotale a partire da uno sguardo pure nuovo sulla Chiesa, la sua vita e la
missione globale. Del cammino spirituale che può dare vita alla Chiesa come
comunione ha parlato sinteticamente Giuseppe Maria Zanghì, responsabile del
centro studi del Movimento dei focolari. Viviamo un cambiamento storico: «da
una spiritualità e visione dell’essere umano prevalentemente individuale ad una
visione che dilata l’interiorità dell’individuo nella comunione con ciascun
essere umano». Silvano Cola, che coordina il Movimento sacerdotale dei
focolari, ha fatto rivivere il suo incontro con la spiritualità dell’unità,
mettendo in rilievo tre dimensioni fondamentali per la vita cristiana e
sacerdotale oggi: «scoprire Dio Amore come il tutto dell’esperienza cristiana,
saper guardare tutti come figli di Dio e centrare la propria vita in Gesù
crocifisso il quale, nel momento della sua separazione dal Padre, si riconsegna
a lui per amore».
Volti
di Gesù-sacerdote nei cinque Continenti
Nelle tante testimonianze si
manifestavano i molteplici volti di Gesù-sacerdote nei diversi Continenti, di
Gesù crocifisso e abbandonato che dà la vita per l’umanità, e del Risorto che, in mezzo ai suoi, continua a
«far nuove tutte le cose», ad operare autentici prodigi, non percepiti magari
dai più ma che sostengono la speranza perché miracoli di conversione, di
riconciliazione fra fratelli in lotta; di pace nell’intimo della persona e nei
rapporti interpersonali; d’unità nella
Chiesa e fra le Chiese, nella famiglia e fra le famiglie, nella società e fra
le società e i popoli, fra confessioni, culture e mondi differenti.Nel Perù un
giovane sacerdote visita le sue 40 comunità a dorso di un mulo, costituendo
l’unico segno visibile che l’amore di Dio non ha dimenticato quegli esseri
umani che vivono al margine del treno della modernità.Negli USA un sacerdote
incaricato in diocesi per la formazione permanente del clero deve far fronte
alla difficile situazione che vive la Chiesa per i ricorrenti casi di abusi
sessuali; lo fa senza paura e in modo trasparente. Per attuare le direttive dei
vescovi egli promuove la fraternità sacerdotale, convinto che vivere la
comunione è il migliore antidoto di fronte a qualsiasi tentazione di fuga,
dalle meno appariscenti fino alle più scandalose.In Brasile un sacerdote, che
cerca i ragazzi di strada che vengono uccisi senza sosta e i giovani
tossicodipendenti e spacciatori, riesce a perseverare nella sua missione,
perché fissa lo sguardo su Maria desolata ai piedi della croce. In Burundi un
altro sacerdote cerca di riconciliare cristiani di diverse etnie, proponendo
loro di vivere con radicalità l’amore reciproco del Vangelo, in un contesto in
cui a volte gli stessi sacerdoti sono tentati di sentirsi figli del proprio
gruppo etnico prima che dell’unica comunità della Chiesa.In Italia un sacerdote
viene inviato dal suo vescovo in una parrocchia problematica con chiesa e casa
ancora in costruzione. Cercando di «non ragionare» ma solo di amare, riesce a
creare la comunità cristiana a partire dai più poveri fra la sua gente. In
Venezuela un seminarista soffre di sclerosi multipla e trova il senso della sua
vita e della sua vocazione perché – racconta – non è il sacerdozio ma Dio Colui
che ha scelto come unico Ideale della propria esistenza. Impiegando le sue
forze nello scrivere, vince con i suoi poemi un premio nazionale di letteratura
e si situa così nell’avanguardia dell’evangelizzazione della cultura nella sua
terra.
Non
un’immagine a tavolino ma la forza dell’esperienza
Proprio a partire da
esperienze come queste, si capisce l’impatto della proposta del convegno che è
riuscito a provocare reazioni come quelle di tre sacerdoti d’Oltralpe che
dicono: «La solitudine del sacerdote è terribile. Ho capito che anche Gesù,
sfigurato sulla croce, l’ha vissuta. Ma egli ha continuato ad amare, ha dato il
paradiso al ladrone. Così dobbiamo fare noi: donarci agli altri». «Ho capito
che l’Abbandonato è il volto di Dio per il nostro tempo, l’identità dei
sacerdoti oggi. I preti non sono persone che sanno risolvere tutti i problemi.
Si tratta invece di farsi uno con tutti, come ha fatto lui. È Gesù che
trasforma il mondo, non noi». «Ho capito che vivendo l’amore reciproco si entra
nel cuore della Trinità e che è questa l’unica cosa importante». Le teorie
pastorali, i piani formativi, l’immagine del prete oggi disegnata a tavolino,
sono sempre discutibili. L’esperienza vissuta la si rispetta, magari la si
apprezza. Per questo, partendo dal convegno la proposta è chiara: tutte le
testimonianze scritte e le impressioni raccolte alla fine di questi giorni concordano
sulla necessità di cambiare registro. Al posto del sacerdote «solo davanti al
pericolo» – come si diceva un tempo – urge un sacerdote che rinnova ogni giorno
la sua vocazione e la sua donazione attingendo alla fonte della comunione
ecclesiale, cominciando col vivere la comunione nel proprio presbiterio. Quella
comunione fra i presbiteri così cara ai Padri del Concilio Vaticano II e più
necessaria oggi che quaranta anni fa. Una comunione sacramentale, quella della
fraternità sacerdotale, non solo teorica ma pratica, realizzata grazie a una
spiritualità. Perché senza questa, come diceva Giovanni Paolo II, le strutture
di comunione sono vuote.Realizzare la bella vocazione al ministero sacerdotale
non è frutto di una conquista. È un dono. Per ottenerlo e rinnovarlo giorno
dopo giorno, oltre a chiederlo nella preghiera, occorre coltivare una vita di
famiglia fra sacerdoti. Una vita che faccia trovare il clima nel quale tutto si
può condividere: preoccupazioni e gioie. E soprattutto un clima nel quale Cristo,
unica fonte di vita, si fa presente in mezzo ai suoi, uniti fra loro e col
vescovo, perché fra loro regna quell’unità che è la carità consumata.Ma il
convegno, memore del suo tema: «Chiesa oggi», ha spalancato un orizzonte ancora
più vasto: a partire da una spiritualità di comunione vissuta, il Popolo di Dio
si ravviva tutto intero, attorno al Risorto. E allora le varie vocazioni si
arricchiscono e si completano a vicenda. E irradiano spontaneamente quello di
cui tutti hanno nostalgia: verità e amore, felicità e bellezza. «L’uomo d’oggi
– ha detto, nel suo intervento, il segretario del Consiglio delle Conferenze
episcopali europee, Aldo Giordano – è alla ricerca di una verità che dia senso
alla vita, in grado di rispondere al desiderio di felicità, di affetto e di
eternità». Si tratta perciò di «passare ad ogni livello dalla frammentazione
all’unità. È l’ora della comunione. La carità reciproca, la comunione, è la
casa del Risorto che porta sulla terra la vita stessa di Dio. È questa la
prospettiva più rivoluzionaria che abbiamo per la nostra pastorale: creare la
dimora dove vive il Risorto stesso».Su questo sfondo, è risuonata scultorea la
conclusione di Silvano Cola alla fine di quei tre giorni luminosi, affidata a
una sola frase: «Come Gesù ha detto 2000 anni fa: andate e portate a tutti il
Vangelo vissuto».
Manuel Maria Bru
Alonso