L’annuncio deve sempre poggiare sulla Parola vissuta

 

Il Rinnovamento nello Spirito

di Salvatore Martinez

 

Se l’essenza di Dio è “amore”, la missione della Chiesa, lo sappiamo bene, è evangelizzare, comunicare questa “buona novella”. Gesù è venuto per questo, la Chiesa esiste per continuare questa missione. Ne consegue che tutti i cristiani, quindi anche coloro che non appartengono ad associazioni, hanno nel “dovere di evangelizzare” la forma più certa d’obbedienza alla volontà del Padre, il quale vuole che tutte le creature umane siano salve mediante Gesù.

Fondamenti teologici e spirituali

Qual è il compito specifico del Rinnovamento nello Spirito (RnS) che Paolo VI definì “chance per la Chiesa” e Giovanni Paolo II “speranza per il mondo”, proprio con riferimento alla missione evangelizzatrice?

Il RnS è uno strumento ecclesiale per una nuova comunicazione spirituale della fede, ma non rappresenta in se stesso una nuova spiritualità; il RnS vuole contribuire a ridestare la struttura fisiologica dell’esistenza cristiana, che è, per sua natura, un’esistenza “nello Spirito”. Ecco perché già il Card. J. L. Suenens definiva il Rinnovamento «una corrente di grazia capace di dare una scossa alla Chiesa postconciliare... un movimento dello Spirito che aiuti la Chiesa a divenire tutta carismatica secondo le attese e le proposizioni del Concilio Vaticano II…».

Il Rinnovamento è caratterizzato dal «costituirsi di gruppi e comunità che pregano insieme e chiedono nella preghiera, per ognuno dei propri membri, una nuova effusione dello Spirito Santo, in virtù della quale si aggiunga alla grazia dell’iniziazione cristiana, una nuova presa di coscienza della Signoria di Gesù, una nuova esperienza dei doni e dei carismi dello Spirito e una nuova disponibilità ad usare, a servizio dei fratelli e della Chiesa, tutti i talenti e i carismi dei quali Dio ha stabilito di dotarli».

L’assemblea comunitaria, che prega e celebra, è l’evento fondante del Rinnovamento. Il modello può essere recuperato nella celebre descrizione contenuta in Atti 2, 42-48 e nella 1Cor 12 e 14.

Mediante la preghiera carismatica e il ricorso alla Parola di Dio i membri del RnS si impegnano a vivere una spiritualità integrata, cioè un modo di vivere la fede che abbracci tutte le dimensioni umane: corporeità, affettività, emozioni, razionalità, creatività, socialità.

Una spiritualità che non sia una parte della vita, bensì la vita stessa guidata dallo Spirito. Una spiritualità che non allontani dalla vita quotidiana, ma che abbatta il divario tra fede e vita. Ne consegue che l’evangelizzazione non rappresenta un gesto, un tempo, una metodologia da individuare all’interno della vita comunitaria, ma l’espressione naturale, senza fratture, della vita nuova che si è abbracciata.

La preparazione remota all’evangelizzazione avviene nei cenacoli di preghiera, dove i fratelli sperimentano l’abbandono fiducioso e docile allo Spirito e vedono rifiorire i doni di Dio come effetto del cammino di vita nuova e di conversione permanente che viene proposto. Questo nuovo dinamismo spirituale ha il suo cuore generante nell’esperienza della preghiera per una nuova “effusione dello Spirito o battesimo nello Spirito”.

Nel 1980 Giovanni Paolo II, incontrando i gruppi e le comunità italiane del RnS, ebbe a dire: «A questa effusione dello Spirito Santo noi sappiamo di essere debitori di un’esperienza sempre più profonda della presenza di Cristo».

Non si tratta certo di un nuovo battesimo o della reiterazione del sacramento, ma implica il rapporto a un sacramento (ecco perché nei Paesi anglofoni si definisce “battesimo nello Spirito”), meglio a più sacramenti, quelli dell’iniziazione cristiana. L’effusione dello Spirito attualizza e rinnova il nostro battesimo, dona una coscienza più chiara della sua attualità in vista dell’evangelizzazione a cui tutti i cristiani sono chiamati.

Afferma padre Raniero Cantalamessa, a proposito dell’efficacia dell’effusione dello Spirito nel riattivare il battesimo: «L’uomo finalmente reca la sua parte, cioè fa una scelta di fede responsabile e personale, preparata dal pentimento, che permette all’opera di Dio di liberarsi e di sprigionare tutta la sua forza. Il dono di Dio viene finalmente ‘slegato’, la fede rivive e l’opus operantis si rende manifesto». L’effusione dello Spirito Santo è causa di “rinascita” spirituale, la stessa che Gesù proponeva a Nicodemo, perché fosse capace di stupirsi delle meraviglie e delle novità dello Spirito.

L’evangelizzazione

Nel RnS, l’evangelizzazione è fondamento, cuore e rimedio della vita comunitaria. Non si può decidere di aderire al RnS se non si sceglie di “dipendere dalla Parola” e diventare evangelizzatori.

La nostra identità carismatica ed ecclesiale può essere espressa in cinque rimandi alla Parola, cinque relazioni vitali in cui si esprime il processo permanente di evangelizzazione in cui gruppi e comunità sono impegnati, traendo origine e sostentamento nel loro cammino.

Il RnS è generato dalla Parola

La fondazione di gruppi e comunità derivano da un “pronunciamento di Dio”: nel discernimento, mediante la Parola, gli anziani e i responsabili comprendono la volontà di Dio e si assumono la responsabilità di “consegnare il deposito”, la tradizione della nostra esperienza carismatica ad altri fratelli. Inizia così un cammino di “illuminazione spirituale”, cioè la chiamata alla conversione mediante l’apposito “seminario di vita nuova nello Spirito”, in cui l’annunzio dell’opera di “rinnovamento nello Spirito”è reso fecondo dalla Parola di Dio proclamata e accolta dai fratelli.

Prega con la Parola

La mancanza di Parola, di profezia negli incontri di preghiera comunitaria è “mancanza d’ispirazione”: mediante la Parola lo Spirito “ispira” la nostra preghiera, perché questa non rimanga soltanto “spontanea”. Senza la Parola la preghiera non ha il respiro carismatico: chi ha confidenza con la Parola di Dio nella preghiera personale, si lascerà più facilmente coinvolgere nella preghiera comunitaria, sperimentando una maggiore intimità con Dio e con i fratelli. Ogni gesto, ogni esortazione, ogni impegno che gli animatori richiedono all’assemblea durante la preghiera comunitaria, devono sempre essere “mossi” dalla Parola.

Celebra la Parola

La vita liturgica è fondamento di ecclesialità, è ciò che “ci fa Chiesa”. Gruppi e Comunità sono chiamati a celebrare comunitariamente la Parola mediante momenti liturgici opportunamente preparati per la crescita dei fratelli. La celebrazione eucaristica e la celebrazione penitenziale comunitaria sono due appuntamenti in cui il RnS vede rifiorire la propria identità cattolica, ecclesiale ed ecumenica. È in queste celebrazioni che gruppi e comunità sperimentano la pienezza della fraternità e della vita comunitaria. Quando il RnS “celebra la Parola” si offre a Dio come strumento di salvezza per tanti e si sente spinto dallo Spirito a dilatare i confini della Chiesa.

Vive della Parola

Senza lo studio della Parola, senza l’applicazione del cuore e della mente a ciò che Dio vuole per il nostro bene, il cammino di crescita di gruppi e comunità è come bloccato. “Ricordare le promesse fatte dal Signore”: è un modo per aiutare i fratelli a sentire la fedeltà di Dio lungo gli anni di cammino. Ecco perché “vive della Parola” quel gruppo o comunità che “cammina con la Parola”; un impegno, questo, che non può essere disatteso, un’occasione irrinunciabile in cui ci si confronta con la volontà di Dio facendosene carico responsabilmente ai vari livelli di vita comunitaria.

Testimonia la Parola

Se la Parola diviene la stessa nostra vita, cioè l’espressione della “vita nuova” secondo lo Spirito, ne consegue che “testimoniare la Parola” è già “dare la vita”. Lo Spirito ci manda ad essere “servi della Parola”, testimoni di ciò che abbiamo accolto e creduto nella vita comunitaria. La Parola è Gesù stesso: non può essere “custodita gelosamente”, ma deve essere “condivisa”, perché divenga salvezza per coloro che non credono o si rifiutano di credere. Senza l’evangelizzazione la fede tende a spegnersi: ogni gruppo è chiamato a “rendere ragione” della speranza riposta in Gesù, Parola vivente in mezzo a noi. Gruppi e comunità che non evangelizzano estinguono il fuoco di Pentecoste

Più preghiera e meno tecnica; più profezia e meno discorsi astratti

Bisogna tornare alla guida dello Spirito, bisogna recuperare questa guida profetica, interiore nella preghiera. Questa è la sola vera tecnica che un evangelizzatore deve desiderare. Le tecniche, le metodologie di evangelizzazione sono buone, ma nessuna di esse, anzi nemmeno l’insieme di tutte potrebbe sostituire l’azione discreta, sorprendente, sempre nuova, tutta divina in noi dello Spirito che solo nella preghiera sappiamo trovare.

Senza lo Spirito, anche la preparazione più raffinata non opera nulla; senza lo Spirito la dialettica più convincente è impotente; senza lo Spirito tutti gli schemi di catechesi su base sociologica e psicologica si rivelano vuoti.

Serve più abbandono allo Spirito e meno sicurezze umane; serve più semplicità evangelica e meno ricorso alla scienza per evangelizzare.

Il Vangelo è comunicazione da cuore a cuore: è un annuncio immediato, senza mediazioni, senza sovrastrutture. Dobbiamo rivelare Gesù e non noi stessi; è Cristo che deve apparire e non le nostre invenzioni comunicative.

Bisogna tornare a parlare di Gesù, perché la fede nasce dall’ascolto: «Come potranno credere senza averne sentito parlare? E come potranno sentirne parlare, senza nessuno che lo annunzi? La fede dipende dalla predicazione della parola di Cristo» (Rm 10, 4.17), senza dimenticare, poi, che «la testimonianza di Gesù è lo spirito di profezia» (Ap 19, 10).

Senza una fede operante, la nostra vita cristiana resta mediocre, priva della gloria di Dio; non serve a niente parlare della fede se essa non è attiva, se non è messa in pratica.

Non possiamo annunciare ciò che non abbiamo nel cuore; non possiamo raccontare ciò che non abbiamo sperimentato: è qui il segreto di un’evangelizzazione efficace. La parola che noi proclamiamo è una parola di fede, è una professione di fede, è sempre riconoscere Gesù. Solo una parola veramente creduta potrà essere veramente annunziata, cioè risultare vera, credibile, attraente per chi la riceve.

Il Vangelo è parola di verità: ricevere il Vangelo è fare la verità; annunziare il Vangelo è insegnare come si può essere veramente felici, in Gesù, se si è veri. Il card. Ratzinger, nel discorso tenuto nell’ottobre scorso in occasione del “Giubileo dei catechisti”, affermava risolutamente: «Evangelizzare è insegnare l’arte di vivere».

Aspetti peculiari
dell’evangelizzazione nel RnS

Gesù ha detto: «Se rimanete fedeli alla mia parola, sarete davvero miei discepoli» (Gv 8, 31). Rimanere in Lui (ecco la preghiera) per conoscerlo (ecco l’ascolto della sua Parola) e diventare così suoi. Senza la preghiera e la Parola ci illudiamo di essere discepoli di Gesù: siamo ancora lontani, addirittura estranei per il Padre, pur professandoci figli.

Il cenacolo e la piazza

Preghiera ed evangelizzazione, allora: per farci santi e aiutare il mondo e la Chiesa ad essere più santa. Preghiera ed evangelizzazione per risentire forte, intenso, il respiro della Pentecoste. Pentecoste è un “cenacolo” ed una “piazza”, e si consuma sempre in due luoghi distinti e strettamente complementari: un “cenacolo” per pregare e attendere lo Spirito e i suoi carismi profetici; una “piazza” per parlare di Gesù, per far brillare il Vangelo di salvezza sulle nostre labbra, sul nostro sguardo, nella nostra vita.

Il RnS intende ridare forza profetica alla causa dell’evangelizzazione, ripartendo dalla preghiera, ripartendo dalla Parola; un’evangelizzazione supportata da una spiritualità profetica che riaffermi la signoria di Gesù nel potere dello Spirito in tutte le situazioni nelle quali ci siamo adagiati, nelle quali il mondo è rassegnato.

La preghiera di lode

«E li udiamo annunziare nelle nostre lingue le grandi opere di Dio. Tutti erano stupiti e perplessi, chiedendosi l’un l’altro: “Che significa questo?”. Altri, invece, li deridevano e dicevano: “Si sono ubriacati di mosto”» (At 2, 11-13). Annunziare le grandi opere di Dio, rendere gloria al nome onnipotente di Dio: ecco il frutto della Pentecoste, ecco il segreto dell’evangelizzazione. Gli apostoli non vogliono farsi un nome, ma vogliono farlo a Dio; non discutono più fra di loro chi sia il più grande: sono travolti dallo Spirito Santo, abbagliati dalla gloria di Dio. Avviene in loro la rivoluzione più grande dal giorno della dispersione delle lingue di Babilonia: lo Spirito ci decentra da noi stessi e ci ricentra su Dio.

La preghiera di lode è uno dei carismi specifici del RnS, vorrei dire quasi la sua arma segreta nell’evangelizzazione: è lo strumento più efficace per ricentrarsi in Dio e vivere la conversione permanente, il cammino personale di evangelizzazione. Nella lode appare manifesta la santità di Dio e la nostra povertà; nella lode noi diamo gloria a Dio, riconoscendo ciò che Egli è nonostante noi, senza guardare a noi, come accade quando ci si rivolge a Dio per ciò che egli ha fatto (preghiera di ringraziamento) o per ciò che può fare (preghiera di richiesta).

Mediante lo Spirito, lodare è entrare nel riposo di Dio; lodare è sprofondare nei misteri di Dio; lodare è amare la volontà di Dio su di noi.

La lode è pura oblazione a Dio, che non accresce la grandezza di Dio, ma ci ottiene la grazia che ci salva. La lode si addice ai piccoli e ai peccatori: essi confidano nella misericordia di Dio da credenti e non da clienti, proclamando la fedeltà di Dio. Come dice la Scrittura: «Se con la bocca proclamerai che Gesù è il Signore e nel tuo cuore crederai che Dio lo ha risuscitato dai morti, sarai salvo» (Rm 10, 9).

Chi non prega resta solo: perde se stesso, perde Dio. La preghiera è la sola capacità che abbiamo di essere aperti verso l’alto e verso l’altro, di incontrare Dio e di incontrare in Dio qualunque prossimo, di riconoscere Dio in Cielo e di riconoscerlo vivo nei fratelli, sempre.

«Il cristiano vale quanto prega» (Lettera autografa di Giovanni Paolo II al RnS, 2001): solo pregando anche gli altri avranno valore per noi, anzi, sempre più valore, così da essere pronti a dare la nostra vita per loro.

Pregare, allora, non è abdicare ad altri l’impegno: solo chi prega sa sporcarsi le mani, perché sente l’urgenza di Dio, il fuoco, la passione di Dio per noi, e non può fare a meno di impegnarsi, di entrare nella storia, di dare la vita per il Regno di Dio.

Non “colti” di Dio,
ma “cultori” della sua gloria

È nella vita comunitaria che i membri del RnS sperimentano la docilità allo Spirito, la forza della preghiera carismatica, il discernimento basato sulla Parola di Dio. Si impegnano, così, a riprodurre l’esperienza del Cenacolo di Pentecoste.

Quando non è possibile parlare al mondo di Dio, non si cessa di parlare a Dio del mondo nella preghiera e nell’intercessione, così che mediante lo Spirito Gesù sia sempre vivo nella sua Chiesa e la Chiesa non cessi di desiderare che il Regno di Dio progredisca sulla terra.

Più che preoccuparsi di tenere un discorso su Dio, i nostri fratelli sono educati a testimoniare la loro esperienza spirituale e il cammino di conversione iniziato a partire dalla preghiera per una nuova effusione dello Spirito. Piuttosto che “colti di Dio”, ci professiamo “cultori della gloria di Dio”, testimoni della “cultura di Pentecoste”, di cui il mondo tristemente manca.

È un incredibile miracolo potere ammirare la rinascita nella Chiesa di fedeli che prima della conversione avevano condotto un’esistenza apatica, indifferente ad ogni forma di coinvolgimento ecclesiale, e che oggi si assumono responsabilità individuali e collettive per il miglioramento della propria vita personale, familiare, comunitaria, sociale.

Ecco che i silenziosi diventano eloquenti annunciatori della Parola di Dio; gli ignoranti rivelano forme di conoscenza e di sapienza spirituale sorprendenti: davvero una nuova Pentecoste. Quanti figli di Dio che non avevano avuto accesso a ministeri istituiti o ordinati nelle istituzioni ecclesiastiche ricevono dallo Spirito dignità ecclesiale come guide e animatori di ministeri di fatto, assumendo anche responsabilità pastorali.

I prodigi dello Spirito

Un’altra caratteristica dell’evangelizzazione nel RnS è il credere fortemente che essa debba essere contraddistinta dai carismi dello Spirito e dai segni e dai prodigi che – come nella Chiesa primitiva – sempre accompagnano la predicazione del Vangelo. Crediamo infatti che lo Spirito di Cristo non abbia esaurito la missione annunziata da Gesù duemila anni or sono e che la Chiesa non abbia perduto nulla della sua potenza originaria nella diffusione del Regno di Dio. Dio è onnipotente e risveglia mediante lo Spirito la “fede carismatica”, l’invocazione delle meraviglie di Dio, perché il mondo creda e si converta a Lui. Gli interventi carismatici dello Spirito dirigono la nostra attenzione verso il Signore Risorto, dandoci di meritare la sua gloriosa vittoria sulla morte e sul peccato.

Sempre, dalla prima persecuzione degli Apostoli a causa del Vangelo (cf At 4, 29-31 ss), la Chiesa ha invocato l’assistenza di Dio, il suo intervento prodigioso, perché – come al tempo in cui Gesù passava tra i suoi «risanando e beneficando quanti stavano sotto il potere del diavolo» (cf At 10, 38) – guarigioni, liberazioni, miracoli si manifestassero a maggior gloria di Dio e a vantaggio dei cuori induriti.

L’apostolo Paolo ci ricorda come il Vangelo si sia diffuso «non soltanto per mezzo della Parola, ma anche con potenza e con Spirito Santo e con profonda convinzione» (1Ts 1, 5). La Chiesa di oggi possiede lo stesso potere di predicare, guarire, liberare che apparteneva a Gesù, perché essa è – nello spazio e nel tempo – il sacramento del potere salvifico di Gesù nella storia, e «Gesù Cristo è lo stesso ieri, oggi e sempre» (Eb 13, 8). Predicare il messaggio di salvezza senza invocare i doni dello Spirito che permettono alla Parola di portare maggior frutto, equivale a non assecondare l’insegnamento ultimo di Gesù sulla costruzione del Regno di Dio, a non camminare in sintonia con il magistero del Vaticano II e con l’insegnamento del nuovo Catechismo della Chiesa Cattolica che incoraggiano l’uso di tutti i carismi per l’evangelizzazione, «utili al rinnovamento e alla maggiore espansione della Chiesa» (LG 12).

Gesù non ha inviato i suoi apostoli a insegnare teorie o idee astratte, ma a testimoniare ciò che avevano udito e visto. Spesso appare che noi siamo più preoccupati di insegnare una dottrina piuttosto che di comunicare la vita: per crescere nella vita di Dio, la vita nuova, bisogna prima essere nati dalla potenza dello Spirito Santo. Un evangelizzatore è prima di tutto un testimone che ha un’esperienza personale della morte e della risurrezione di Cristo Gesù, un testimone che trasmette agli altri più che una dottrina una Persona viva, che dà la vita in abbondanza. Dopo, solo dopo e sempre dopo, si deve fare catechesi e trasmettere insegnamenti morali.

I comandamenti vennero dati dopo la teofania di Dio sul Monte Sinai. Che i comandamenti dati dal Signore a Mosè fossero opera divina e non umana, fu chiaro al Popolo dal volto luminoso di Mosè, conseguenza del misterioso incontro del profeta con la Parola discesa dal Cielo. Dio si mostra, non si dimostra: siamo spesso preoccupati di far comprendere alla gente i comandamenti di Dio, quando la stessa gente ignora il Dio dei comandamenti.

È essenziale in questo nostro tempo pagano e scristianizzato che il Vangelo della Salvezza, Gesù stesso, possa agire, operare in mezzo a noi. Molti si accontentano che Gesù sia solo “presente” senza preoccuparsi di verificare che sia anche “operante” in mezzo ai suoi. La fede è dinamismo di Dio, richiama l’attività di Dio in mezzo a noi. Sono sempre solito ripetere ai miei: non basta sapere che Gesù è in mezzo a noi se la sua presenza non si vede, non si sente, non si tocca, se lo Spirito non può fare Pentecoste con noi.

Se rileggiamo gli incontri di Gesù narrati dai Vangeli, osserviamo Gesù ripetere «cosa vuoi che io ti faccia?», spesso oltre che con la voce anche con un solo sguardo d’amore. Ogni venuta di Gesù, la sua presenza in mezzo a noi è sempre un evento “sensibile”. Questo richiamo ai sensi spirituali è assai importante per comprendere la celebre affermazione dell’apostolo Giovanni nel prologo della sua prima lettera: «Ciò che era fin da principio, ciò che noi abbiamo udito, ciò che noi abbiamo veduto con i nostri occhi, ciò che noi abbiamo contemplato e ciò che le nostre mani hanno toccato, ossia il Verbo della Vita… noi l’annunziamo anche a voi…» (1Gv 1, 1-3). Ne deriva che più che parlare di Gesù, occorre pregare Gesù che agisca con tutta la potenza dello Spirito Santo. Il Vangelo non è fatto di parole; anche il Regno di Dio non consiste di parole ma si fonda sulla Parola, sul Dio vivente, sulla potenza che viene dall’alto.

Chiamati a trasformare il mondo

Nella terza parte della Novo millennio ineunte il Santo Padre ci ha esortato a “ripartire da Cristo”. “Ripartire da Cristo” significa prima di ogni cosa “ritornare a Cristo nello Spirito”. Si può parlare di Cristo, se ne può vantare una buona conoscenza senza poi essere con Lui. Dobbiamo lasciarci convincere dallo Spirito: forse abbiamo dimenticato Gesù, abbiamo trascurato la sua presenza nella nostra vita. Questo è il vero male per noi: tutto quello che accade, ne è la conseguenza.

Tante persone oggi sembrano aver dimenticato Dio e per questo sono in balia del mondo. Abbiamo trascurato lo Spirito Santo, perché non abbiamo accolto e creduto fino in fondo alle parole di Gesù. Ogni mancanza di fede è uno “spazio buio”, uno spazio proibito a Dio, una terribile solitudine.

Diceva Paolo VI: «Molti anziché convertire il mondo a Cristo hanno convertito se stessi al mondo». Noi non siamo chiamati a conformarci al mondo, ma a trasformare il mondo.

I discepoli di Gesù non soltanto “parlavano di Gesù”, ma trovarono la forza di testimoniare il Vangelo fino a dare la vita per il Signore. La testimonianza è un dire che si vede, è un dire con la vita che fa trasparire una forza invisibile, che è dentro di noi: la presenza dello Spirito Santo.

Maria, modello degli evangelizzatori

E a testimoniarci questo, a gridarcelo con la sua vita è proprio Maria.

Quella stanza al primo piano è casa di preghiera e Maria aiuta gli apostoli nel cenacolo a costruire nel loro cuore il cenacolo interiore dove lo Spirito può sempre essere invocato, atteso, ospitato. Perché si rinnovi la Pentecoste, inizio della missione evangelizzatrice della Chiesa, bisogna ricostruire il cenacolo e mettere in questo cenacolo Maria.

Lei ci insegna che non c’è preghiera più importante nella nostra vita di quella di fare del nostro essere una solida dimora di Dio, così che il Signore mediante il suo Spirito arrivi a santificarci nelle corde più intime della nostra esistenza. Come Maria, dobbiamo sentirci “scelti da Dio” a diventare nella Chiesa e per la Chiesa la casa, il cenacolo dove si attinge pensiero, parola, forza per essere testimonianza assidua di vita nuova.

I sacerdoti, “uomini dello Spirito”

Termino con una parola diretta a voi, carissimi sacerdoti.

Una delle più grandi scoperte che può fare un sacerdote in mezzo ai suoi combattimenti apostolici, è quella della confidenza con lo Spirito Santo. Nella Pastores dabo vobis, al n. 33, rivolgendosi ai sacerdoti, il Papa ha affermato con fermezza: «Sì, lo Spirito del Signore è il grande protagonista della nostra vita spirituale... Come non riflettere sul ruolo essenziale che lo Spirito Santo svolge nella specifica chiamata alla santità che è propria del ministero sacerdotale?».

Il sacerdote è “l’uomo dello Spirito”, rivestito della potenza dello Spirito; è “l’uomo dinamico”, cioè la dinamite di Dio nel mondo, perché accenda fuochi d’amore e di santità tanto desiderati da Gesù sulla terra.

Possiate avere, sempre, per la presenza dello Spirito in voi, «fuoco nel cuore, Parola sulle labbra, profezia nello sguardo» (Paolo VI nell’udienza dell’ultimo mercoledì del novembre 1972).

Possiate prendere sempre più coscienza dello Spirito che è Santo e che vi vuole “avanguardia di santità” in questo mondo che non risplende della gloria di Dio. La promessa compiuta nella Pentecoste non è un fatto del passato che nostalgicamente, una volta l’anno, noi attualizziamo: la crescita, la purificazione, la santificazione del vostro sacerdozio passa ogni giorno dall’accogliere le parole di Gesù: «Io pregherò il Padre ed egli vi darà una altro Consolatore perché rimanga con voi per sempre... lo Spirito dimora presso di voi e sarà in voi... non vi lascio orfani» (cf Gv 14, 16-18).

Voglia il Signore accogliere la preghiera che in fine, con la parola di Paolo a Timoteo (1Tm 1, 12-17), insieme, io a nome vostro, eleviamo al Signore: «Rendo grazie a colui che mi ha dato la forza, Cristo Gesù, Signore nostro, perché mi ha giudicato degno di fiducia chiamandomi al ministero... Il Signore mi ha usato misericordia, perché agivo senza saperlo, lontano dalla fede; così la grazia del Signore nostro ha sovrabbondato insieme alla fede e alla carità che è in Cristo Gesù... perché Gesù Cristo ha voluto dimostrare in me, per primo, tutta la sua magnanimità, a esempio di quanti avrebbero creduto in lui per avere la vita eterna. Al Re dei secoli, incorruttibile, invisibile e unico Dio, onore e gloria nei secoli dei secoli. Amen».

 

Salvatore Martinez