Anche nelle circostanze più avverse è possibile testimoniare il Vangelo vivendo l’amore

 

“Tutto vince l’amore”

 

del card. François Xavier Nguyen Van Thuan

 

Il cardinale presidente del Pontificio Consiglio Giustizia e Pace all’inizio della concelebrazione che concludeva il Con vegno si è presentato egli stesso ai sacerdoti. con queste parole: «Voi potreste pensare che vengo “dall’Antico Testamento”, perché anche se sono ancora in piena attività ho già celebrato trentaquattro anni come vescovo. Ma mi fa tanto piacere il fatto di trovarmi con voi. In questi giorni avete sentito diversi vescovi e cardinali. Se mi passate il termine, direi che oggi vi parla un “cardinale focolarino”. Mi è testimone mons. José Lai, appena consacrato vescovo a Macao e qui presente fra noi; infatti lui da giovane prete è venuto nella mia diocesi dove, ventisette anni fa, si apriva quella che è stata la mia prima Mariapoli in Vietnam».

Prigioniero ed evangelizzatore

Come sapete, proprio in coincidenza con la presa del potere da parte dei comunisti ero stato nominato arcivescovo di Saigon, ma fui messo in prigione prima ancora di poter assumere la diocesi.

Devo dire con totale sincerità che l’aver conosciuto Chiara Lubich ed il suo carisma dell’unità, mi ha salvato in quei lunghi anni. Voi conoscete il libro* dove racconto tante cose della mia prigionia. Qui vorrei parlarvi soltanto di alcuni aspetti di quella esperienza, che mi sembrano particolarmente significativi per il tema dell’evangelizzazione che avete affrontato in questo Congresso.

Uno dei momenti più difficili che ho vissuto è stato quando mi hanno incatenato per portarmi in una nave, con altri millecinquecento prigionieri, verso il Nord Vietnam.

Potete immaginare quale clima psicologico c’era fra queste persone! Tutti erano tremendamente tristi ed angosciati. Nella notte, nel buio, scendiamo nel fondo della nave. In quel momento anch’io mi sento confuso.

«Perché il Signore mi lascia qui?, mi domandavo. Io sono un giovane vescovo. Ho fatto otto anni di esperienza pastorale. Adesso il Signore, attraverso Paolo VI, mi nomina arcivescovo. Ed eccomi in prigione! Perché il Signore permette questa sciagura?». Non riuscivo a capire.

L’indomani la gente mi vede. I non cattolici non mi conoscevano, ma i cattolici mi riconoscono e subito lo dicono agli altri: «C’è fra noi mons. Van Thuan!».

Allora anche tutti i non cattolici – buddisti, caodaisti, seguaci di Hoa Hao, musulmani, cristiani evangelici di varie denominazioni – vengono da me. Essi sono in un’atmosfera di lutto. Tutti pensano che stanno andando a morire in Nord Vietnam. Là fa cosi freddo, si è così lontani da casa, a più di millesettecento chilometri. Chi li potrà visitare? Chi li potrà aiutare? Pensano che la morte sarà inesorabile. Allora tutti si stringono intorno a me.

In quel momento il Signore mi ha dato la grazia. Ha fatto una rivoluzione nella mia vita sacerdotale.

Era come se mi dicesse: «Ti chiamo ad un nuovo ministero di evangelizzazione. Finora sei stato pastore nella tua diocesi. Hai fatto grandi cerimonie, avevi delle strutture, hai organizzato la pastorale. Adesso è qui che tu sei missionario, sei evangelizzatore... Ecco, questi prigionieri sono il popolo affidato a te. Non pensare più alla tua cattedrale. Questa nave, questa prigione, è la tua più bella cattedrale».

Messe “nel palmo della mano”

Allora c’è stato un cambiamento nel mio cuore. Ho capito che questo era il nuovo ministero pastorale che mi era affidato. Anche nella sofferenza, nella fame, ogni giorno mi sentivo unito a questa gente, cercando la presenza di Gesù in mezzo a noi che è attirata dall’amore reciproco. Dovevo servire loro che avevano bisogno di Dio.

E così abbiamo cominciato. Durante la notte, su un letto comune, dormivamo insieme cinquanta persone. Testa con testa e piedi fuori. Ho chiesto a sei cattolici di essere vicini a me. E quando non c’era più luce ho celebrato la messa. Con tre gocce di vino e una goccia d’acqua nel palmo della mia mano. Ma sono state le più belle messe della mia vita. Dopo ho passato la comunione sotto le zanzariere per gli altri ed ho conservato il Santissimo. L’indomani abbiamo raccolto la carta dei pacchetti di sigarette degli altri prigionieri, per farne dei sacchetti e conservare l’Eucaristia dentro.

Ogni venerdì avevamo una sessione di tutta la prigione dove ci veniva impartita la visione comunista delle cose: si tentava di farci una “rieducazione”. Ma quando arrivava l’intervallo, i cattolici che erano con me approfittavano per portare questi sacchetti e distribuire l’Eucaristia ai cattolici che erano in ogni gruppo di prigionieri.

Aiutati dalla presenza eucaristica loro pregavano durante la notte. Ed anche durante il lavoro, perché l’Eucaristia era portata tra i vestiti a turno da ognuno di loro nei campi, e questa presenza di Gesù dava forze ed incoraggiamento. Questo trasformava la loro vita.

Evangelizzazione aperta a tutti

Così pian piano molti non cattolici sono venuti a domandar loro di diventare cristiani. Per cui questi prigionieri diventavano i loro catechisti, per poi battezzarli ed esserne padrini, di nascosto. In questo modo la prigione è diventata per me e per loro anche la più bella “scuola” catechistica.

In quel periodo ho capito come San Paolo è andato a morire, come Gesù, fuori le mura. Fuori le mura di Gerusalemme. Fuori le mura di Roma. Perché dobbiamo andare “fuori”, verso i non cattolici, i cristiani abbandonati, quelli che non conoscono Dio o addirittura si considerano nemici di Dio. Tutti sono affidati a noi, nessuno è estraneo al nostro interessamento, al nostro servizio, al nostro amore concreto. Da allora questa è diventata una realtà vera nella mia vita.

Il Santo Padre ci ha spinti verso una “nuova evangelizzazione”, nuova nei contenuti, nei metodi, nell’ardore. È stato questo “ardore” che ci ha fatto vivere in quel tempo terribile.

C’è stato un fatto che per me fu impressionante. Tutta la corrispondenza che io potevo ricevere erano soltanto due lettere dalla mia mamma ogni anno. Ma un giorno mi è arrivata una lettera di Chiara. Non so come, ma è arrivata, la polizia me l’ha passata. E’ stata una grande gioia e sostegno, perché mi sono sentito in comunione con voi tutti pur essendo isolato e lontano.

Il perdono incomprensibile

I cattolici hanno dato una grande testimonianza in prigione. Solo i preti, ad un certo punto, erano trecento nelle carceri di tutto il Vietnam. E la cosa che più affascinava, che risultava incomprensibile per tutti i carcerieri, per la polizia comunista, era l’amore che trovavano in queste persone.

I miei carcerieri, dopo che sono diventati i miei amici, mi hanno raccontato che i loro capi, quando li hanno mandato a custodirci, hanno detto loro: «Questo vescovo Van Thuan è molto pericoloso. Vi mandiamo a custodirlo, ma soltanto per due settimane. Vi cambieremo ogni due settimane con un altro gruppo di cinque poliziotti. Altrimenti, se voi state con lui più a lungo, vi contaminerà».

Ma poi i capi li hanno seguiti, per osservarli. E hanno visto che diventavano sempre di più amici miei.

Allora li hanno chiamati per cambiare gli ordini: «Ormai non vi cambieremo più, perché se vi cambiamo ogni due settimane, lui contaminerà tutta la polizia».

Come potevo io “contaminarla”? Non possedevo dei mezzi, ero in una situazione limitatissima ed umiliante, umanamente parlando non avevo niente a mio favore. Ma c’era il cuore!

Per questo mi domandavo sempre che cosa potevo fare per loro, per le due guardie che erano costantemente con me. Per i primi nove anni, infatti, durante i quali ero in isolamento, con me c’erano solo le due guardie e nessun altro.

Io cercavo di parlare, ma loro evitavano di rispondere. Ma pian piano raccontavo delle storie interessanti che avevo visto nei miei viaggi in Europa, in Asia, in Australia. Allora erano eccitati dalla curiosità e cominciavano a farmi delle domande.

Poi sono diventati anche i miei alunni, perché hanno voluto che insegnassi loro il francese e l’inglese, e questo ci ha aiutati a far nascere fra noi un rapporto d’amicizia.

La croce

Un giorno dovevo tagliare un bel po’ di legname. Allora ho domandato ad una delle guardie:

– Mi permetta di tagliare un pezzo di legno in forma di croce?

– Ma perché?

Ho detto semplicemente:

– Per un ricordo!

– È vietato! – è stata la secca risposta.

– Sì, lo so. Ma lei é mio amico.

– Ma se sarò scoperto, sarò punito.

– È vero che io non posso fare questo davanti ai suoi occhi, ma lei chiuda gli occhi, non mi guardi.

Allora è andato via, e così ho potuto tagliare un pezzo di legno in forma di croce che ho nascosto nel sapone finché sono stato in carcere.

Poi, quando fui rimesso in libertà, lo ricoprii con un po’ di metallo ed è diventata la mia croce di vescovo.

Più tardi in un’altra prigione presso Hanoi ho domandato ad un’altra guardia:

– Lei può aiutarmi?

– A fare cosa?

– Voglio tagliare un pezzo di filo elettrico.

Preoccupato, mi chiede:

– Lei vuole suicidarsi?

No. Io devo vivere per portare avanti i valori del cristianesimo.

– Allora che cosa vuol fare?

– Una catena per portare la mia croce.

– Ma come si può fare una catena con filo elettrico?

– Io posso farla. Mi presti due piccole tenaglie e glielo mostrerò.

È andato via senza dirmi niente. Pochi giorni dopo è tornato:

– Io non posso rifiutargli questo, perché lei è troppo buon amico. Domani è il mio turno di guardia dalle sette alle undici. Porterò il filo elettrico. Però abbiamo solo queste quattro ore. Dopo, se qualcuno viene e ci vede può denunciarci, per cui bisogna finire entro quel tempo.

Abbiamo finito effettivamente in quattro ore. Ed è questa catena che oggi sostiene la mia croce pettorale.

Ma non si tratta solo di un ricordo. Essa serve, adesso come allora, a rendere viva la chiamata di Gesù che abbiamo ascoltato nel vangelo appena letto: «Amatevi gli uni gli altri come io vi ho amati. Io ho dato la mia vita per voi. Date anche voi la vita per i vostri amici» (cf Gv 15, 12-13). È il segno del più grande amore.

Di fatto loro mi domandavano spesso:

– Ma lei ci ama?

– Si, io vi amo

– Ma come può amare dei nemici? Noi la teniamo in prigione da più di dieci anni, e lei ci ama?

– Si, io continuo ad amarvi. Ed anche se vi venisse in mente di uccidermi, io continuerò ad amarvi.

Ed uno di loro:

– Quando lei uscirà di prigione, non manderà i suoi fedeli ad incendiare la mia casa, ad ammazzare me e la mia famiglia?

– No!

– Ma perché?

– Perché Gesù ci ha insegnato ad amare così. Se non lo faccio, non sono degno d’essere chiamato cristiano. E voi vedete che è possibile, perché io sono da tanto tempo con voi, ed abbiamo sempre vissuto come veri amici.

– È molto bello, ma è incomprensibile. Noi abbiamo imparato ad odiare i nemici e a vendicarci quando soffriamo un’ingiustizia. Per me è incomprensibile come si possa vivere come fate voi cristiani. Ma è molto bello…

“Tutto vince l’amore”

Carissimi amici: io non posso più dilungarmi. Ma celebro questa messa oggi per tutti voi, con voi e per voi, con il Signore in mezzo a noi.

Con l’intercessione della nostra Madre Maria, il Signore vi ricolmi di tutte le benedizioni, dato che siamo sacerdoti del suo cuore e vogliamo portare l’amore di Gesù. Come sant’Ireneo, che oggi ricordiamo nella liturgia. Egli, infatti, ha voluto sempre, come dice la colletta della Messa, l’unità e la concordia.

Solo così siamo veri figli della Chiesa, servitori fedeli dell’umanità, e portiamo a tutti l’amore.

Come ha detto Chiara questa mattina, “tutto vince l’amore”! Io l’ho provato, voi l’avete provato. Amen.

 

Card. François X. Nguyen Van Thuan