Piccoli episodi di vita parrocchiale alla luce di Gesù crocifisso e risorto

 

Riconoscere e amare i volti dell’Abbandonato

di Ciro Neppe

 

In America Latina Gesù abbandonato è di casa. Lo incontri ogni momento: soffrire con chi soffre è pane quotidiano. A volte viene la tentazione di ribellarsi di fronte alle ingiustizie divenute qui normalità, ma la via maestra per cambiare il mondo è la sapienza che scaturisce dalla croce.

 

«I pubblicani e le prostitute
vi passano avanti nel regno di Dio»

Oggi sono proprio stanco: tutta la mattinata sono andato per la città visitando gli ammalati. Tornato a casa per il pranzo, ho pregato Dio che nessuno mi cercasse. Il sole, il sudore, molte volte la constatazione della miseria nelle case: tutto questo mi ha dato una stanchezza enorme. Invece non c’è tempo per riposare: sono venuti a chiedermi di andare subito perché una ragazza sta molto male. Chi mi accompagna mi dà alcune notizie sulla sua salute. Mentre ci avviciniamo alla casa mi accorgo che entriamo nel quartiere delle prostitute. La ragazza ammalata è una di loro.

Sulla porta incontro il medico. «Dottore, è grave?». «Padre, io ho fatto la mia parte – mi risponde –; adesso lei faccia la sua, perché al massimo avrà due o tre giorni di vita. Stia molto attento, però, perché si tratta di una malattia venerea contagiosa».

Trovo una giovane fisicamente disfatta con la pelle purulenta in quasi tutto il corpo. Hanno chiamato il medico troppo tardi. Mi seggo, conversiamo un poco, cerco di ascoltarla con tutta l’attenzione. Mi racconta la sua storia, dolorosissima, penosa: non ha mai sperimentato cosa sia una famiglia. Nessun uomo si è mai avvicinato a lei con vero amore. Adesso lei si presenterà a Dio. Si confessa e vuol ricevere l’Eucaristia: «Voglio morire come una figlia di Dio, anche se sono una grande peccatrice».

Io sono sicuro che per tutto quello che ha patito è così purificata che andrà diritta in paradiso. Mi sono venute in mente le parole di Gesù: «I pubblicani e le prostitute vi passano avanti nel regno di Dio» (Mt 21, 31). Sono parole rivoluzionarie e qui sento che sono proprio vere. Prima, però, di darle l’unzione degli infermi, ricordando le parole del medico, mi son sentito come paralizzato da una grande paura: «Se la tocco, prenderò facilmente la sua malattia. Forse i miei amici crederanno che è stato conseguenza di un atto di carità, ma i parrocchiani ed anche quelli della mia patria cosa penseranno di me?». Stavo per decidere di darle solo la comunione. Eppure sono sacerdote per tutti, anche per lei!  Mi è tornata alla mente la scena della peccatrice che ha baciato i piedi di Gesù e Gesù non li ha ritirati. Ho cercato di vincere la paura di perdere la buona fama e ho fatto quanto dovevo. Ho visto questa giovane sorridere felice. Abbiamo parlato a lungo di Gesù dinanzi al quale siamo tutti uguali. Lei adesso è pronta anche per l’incontro finale.

Tornato a casa, come prima cosa, ho cercato di disinfettarmi per bene ed ho preso un bel bagno, nella speranza di allontanare da me ogni pericolo. Si vede che la paura mi era rimasta addosso!

Un crocifisso che sanguina

Un signore molto ricco vuol fare un dono alla parrocchia. Ha chiamato un artista dalla capitale, ha fatto tagliare un grosso albero di legno pregiato e l’artista ha ricavato dal suo enorme tronco un bellissimo crocifisso a grandezza naturale. Il signore mi ha chiamato per mostrarmelo e per sentire il mio parere, mentre lo scultore sta dando gli ultimi ritocchi.

È veramente bello, esprime il dolore di colui che si sentì abbandonato dagli uomini e dal Padre. Ne sono rimasto entusiasta; l’ho ringraziato ed ho detto che terminasse il lavoro per poi fare una bella festa e collocarlo in chiesa. Ci starà bene dietro l’altare maggiore.

Ne ho dato notizia ai membri del Consiglio parrocchiale ed ho notato che non ne erano entusiasti, anzi mi hanno fatto delle serie osservazioni. Questo crocifisso potrebbe essere la fonte di tante discordie in parrocchia. Come fare adesso che ho già dato la mia parola e tutto è quasi pronto?

Ho preso il coraggio a quattro mani e sono andato dal signore che vuol fare il regalo: è il proprietario dell’industria tessile del paese, senz’altro l’uomo più ricco del posto. È buono, cattolico praticante, ma con sulle spalle la responsabilità di una struttura dove tanti soffrono. Non posso ingannarlo, ma neanche devo umiliarlo: dobbiamo fare di questo evento non un motivo di lotta e di discordia, ma un momento di evangelizzazione.

Cerco di spiegare bene la cosa: «Se adesso facciamo una bella festa e mettiamo questo crocifisso in chiesa, lei sa i commenti che il popolo farebbe? Tanti direbbero che il prete ha dato i suoi suggerimenti, l’artista ha messo in atto il suo genio e il suo lavoro, lei un po’ di soldi e i suoi operai il loro sangue. Allora dobbiamo fare una pausa e una chiarificazione tra tutti».

Ho visto il suo volto rabbuiarsi, quasi smarrirsi. Ho continuato: «Mi sembra che sarebbe bello se potessimo mettere in chiesa questo crocifisso tutti insieme e non come un dono soltanto suo, ma poter dire che questa immagine del Cristo rappresenta il sudore degli operai, le preoccupazioni dell’industriale, il genio dell’artista e l’opera anche del sacerdote che offre a Dio nella Messa domenicale i dolori e le fatiche di tutti».

Ho parlato a questo ricco con libertà grande. Egli sa che non sono un demagogo ed io so che egli è sensibile a queste cose, quando sono dette con serenità. È rimasto sorpreso, profondamente scosso e non trovava parole per rispondere. «Mai nessuno mi ha detto parole così forti», ha commentato. Ma egli sa che non sono state dette contro di lui.

Quella notte non ha dormito e il giorno seguente ha riaperto con me il dialogo: «Padre, tutto quello che lei vede di ingiusto nella mia industria me lo dica, perché desidero migliorare i rapporti».

Gli ho risposto con sincerità: «Non vivendo dentro la sua industria, è difficile per me conoscerne la problematica, a me potrà arrivare l’uno o l’altro caso e glielo dirò, ma è necessario che in mezzo ai suoi operai ci siano alcuni che abbiano la libertà e il coraggio di dirle la verità e che lei dia loro tanta fiducia».

Pur vivendo in mezzo ad una situazione così complessa, mi sento libero con tutti. Coi poveri, perché sono uno di loro: ho appena il necessario per vivere, ma non ho niente che possa dire mio. Vorrei, però, che tutti i poveri avessero anche loro il necessario come ce l’ho io. Mi sento libero anche con i ricchi, perché le ricchezze che hanno, non sono di loro, ma un dono di Dio da far fruttificare per il bene di tutti. Purtroppo, anche quelli che lo vogliono, molte volte non ci riescono, perché sono irretiti da tanti condizionamenti che difficilmente si possono superare.

I punti luminosi

Come fare per governare una parrocchia di 30.000 persone, adesso che l’altro sacerdote è ritornato nella sua terra per curarsi? Egli mi ha lasciato un bel piano pastorale: la città infatti è divisa in 30 settori e ogni settore ha un gruppetto di persone impegnate che conoscono tutte le famiglie e le necessità del proprio rione. Nel gruppo cercano di vivere uniti tra loro e con il sacerdote per portare la vita cristiana in ogni famiglia. Ogni mese ci ritroviamo insieme per comunicarci gioie e dolori e fare il punto sulla situazione. Mi sembra una grazia avere questi collaboratori e collaboratrici. Loro si prendono cura degli ammalati, dei bambini; dei problemi che sorgono tra marito e moglie, della preparazione dei futuri sposi e anche dei poveri. Per mezzo loro sono entrato praticamente in ogni casa: tutti conoscono il parroco e la sua missione, sanno che la parrocchia non è ricca e non fa miracoli, ma può donare a tutti il segreto per vivere in armonia con Dio e con il prossimo.

Il consiglio parrocchiale

È veramente simpatico questo Consiglio parrocchiale. C’è di tutto. Ci sono persone che hanno un’istruzione superiore: sono professori, maestre; ci sono poi persone umilissime, analfabete, ma quando ci troviamo tutti insieme per trattare i problemi della comunità, spesso sono anche più sapienti degli altri per l’esperienza che fanno quotidianamente del dolore.

Io come parroco sono proprio l’ultimo, perché sono colui che ha meno esperienza per età e perché straniero. Se loro non mi aiutano, se non mi correggono – e lo fanno con tanta delicatezza –  se non mi completano, la parrocchia andrà male. Se posso contare su tutti, non perché io comando ed essi obbediscono, ma perché sono lieti di donarmi la loro collaborazione, quello che loro vedono, quello che loro sentono, quello che loro credono più o meno opportuno, allora tutto andrà bene.

Cos’è una parrocchia?

In una di queste sere abbiamo scoperto cos’è la parrocchia. Trovandoci insieme, un gruppetto di uomini e di donne, abbiamo visto con chiarezza: la parrocchia è dove due o più sono uniti nel nome di Gesù, capaci quindi di generare la sua presenza in mezzo alla comunità. Nelle sere successive ci siamo un po’ divertiti a studiare, per così dire, la geografia spirituale della parrocchia. È stata una scoperta sorprendente dei punti luminosi dove si realizza questa presenza di Gesù.

Il centro sociale dei lavoratori rurali

Qui c’è un gruppetto di uomini che si amano come i primi cristiani in un clima di grande serenità, di pace, pur nella povertà di coloro che frequentano i corsi. Più di una volta io sono stato invitato per dire come dobbiamo vivere per cercare di costruire una civiltà più umana e più fraterna. Ci vado molto volentieri e conosco parrocchiani che forse mai avrei potuto visitare nei loro paeselli e loro conoscono la Chiesa non solo per il contatto personale con me, ma soprattutto per la convivenza con i loro insegnanti che li servono con amore.

Il reparto stradale regionale

È un altro punto luminoso: qui ci sono degli uomini che vivono la Parola di Dio e si amano. Sono interessantissime le esperienze che raccontano. È un ambiente difficile. Loro sono divisi in squadre e sono dislocati in vari punti della regione per costruire o riparare strade. Devono cucinarsi da loro e dormono  sotto le tende. Alcuni non hanno una formazione morale e sperperano il salario nell’ubriachezza e nella prostituzione, altri sentono di più la responsabilità della loro famiglia.

Edilberto è uno di questi operai. A sera dopo il lavoro si mette a servire la sua squadra, preparando la cena e creando tra tutti un clima di famiglia. Qualcuno comincia ad aiutarlo e poi scoprono che è più bello rimanere tra di loro che andar fuori a spendere nei vizi i pochi soldi. Qualcuno gli domanda dove ha imparato a vivere così, a conservare sempre tanta pace e a voler bene a tutti... Edilberto racconta quello che ha visto in Mariapoli e offre loro la Parola di vita.

Nella sede stessa di questo centro c’è Gilson, il meccanico. Tutti quelli che adoperano mezzi da trasporto o da scavo presto o tardi passano da lui; egli li accoglie con rispetto e cerca di servirli bene. Vanno volentieri nell’officina e spesso dai problemi tecnici si passa a parlare di problemi personali per chiedere all’amico un consiglio.

Il centro medico

È un posto molto prezioso, dove passa tanta gente che soffre. Lì ci sono due infermiere che accolgono questi poveri e, prima di introdurli dal medico, li preparano cercando di capire il loro problema, perchè non si trovino davanti al medico impauriti e incapaci di spiegarsi.

Una di queste infermiere è stata scelta per visitare nelle loro case le mamme che stanno per dare alla luce un figlio e prepararle al parto. Lei esce ogni mattina col suo ombrellino per proteggersi dal sole e passa di casa in casa. Si prefigge di rivivere Maria in visita a santa Elisabetta. Non dà solo fredde istruzioni mediche, porta anche quel calore umano di una donna che sa amare evangelicamente. Ha rinunziato al matrimonio, perché si è consacrata a Dio pur restando una semplice laica per poter entrare in tutti gli ambienti ed essere più vicina a chi soffre.

Le scuole elementari della città

Altri punti luminosi si trovano nelle scuole elementari. Ogni edificio ha una direttrice e tante maestre. Ci sono già alcune scuole dove tutte le maestre cercano di vivere la Parola di Dio e si sforzano di vedere in ogni alunno un piccolo Gesù. Quando posso passare un’ora con loro mi sembra di entrare in un altro mondo. Forse perché i bambini hanno una naturale predisposizione alle cose di Dio e con queste maestre si trasformano facilmente in “angeli”. C’è una serenità in questi luoghi che non si trova facilmente altrove.

Da qui è nata l’idea di donare questa serenità a tutte le altre maestre. Per un anno intero le ho visitate una ad una: ne ho trovate di tutti i colori, ma la nota dominante, anche in qualcuna che era lontana dalla Chiesa, è sempre un’autentica sete di Dio. Dopo un anno di contatti – dietro ogni maestra c’era una classe di 40-50 alunni per un totale di 5.000 alunni – è nato qualcosa che io non avrei mai immaginato. Davanti ad una mia timida proposta di trovarsi qualche volta tutte insieme per impostare una didattica per l’insegnamento religioso, mi hanno detto: «Noi non abbiamo bisogno di imparare la didattica per insegnare religione, noi abbiamo bisogno di imparare a vivere la religione, poi ci sarà facile insegnarla ai nostri alunni».

Adesso una volta al mese ci ritroviamo insieme per meditare sulla Parola di Dio e confrontarla con la nostra vita, comunicandoci le varie esperienze che facciamo sia a livello personale che come insegnanti. Qualche volta è venuto anche il vescovo a passare con noi questa giornata ed è rimasto commosso perché ha anche confessato e nelle confessioni ha toccato con mano che Dio ha operato delle vere conversioni.

Penso che nessuno più di una maestra può essere madre delle persone loro affidate. Qui, dopo il sacerdote e spesso anche prima, è colei che più di tutti può portarle a Dio.

Testimoniare l’unità

Oggi è passato da me un collega sacerdote: si chiama Charles ed è belga. Ha l’età di mio padre, ma uno spirito giovanile. Ha lasciato la sua terra per venire qui ad aiutare i più poveri. Mi chiede se può lavorare nella mia parrocchia, nei paeselli più abbandonati. Egli vuole “coscientizzare” questo popolo, perché ognuno si senta persona umana e non schiavo. Mi ha dato una grande gioia la sua venuta. Può lavorare, ha il campo libero, immenso. Basta avvisare il vescovo, che gli darà tutte le benedizioni.

Dopo alcuni giorni è tornato. «Il vescovo è d’accordo ed ora posso cominciare, ma ho un problema. Penso di affittarmi una casetta per vivere come i più poveri del posto». «Io ammiro il tuo amore alla povertà – gli ho detto –; se tu hai una speciale vocazione come Charles de Foucauld, e senti da Dio che devi sceglierti una casa poverissima e là vivere da solo, non sarò io a mettermi contro un’ispirazione di Dio; se però vuoi un mio parere, ti dico con sincerità che qui i poveri non hanno tanto bisogno di vedere un altro esempio di miseria, ma gradiranno di più vedere due preti che si vogliono bene e non due preti che vivono uno in una casa decente e l’altro, quasi fosse di seconda categoria sociale, in un tugurio. Ti metto a disposizione la casa parrocchiale: puoi entrare e uscire a tuo agio. È importante che gli altri vedano che siamo veramente fratelli, altrimenti corriamo il rischio di annacquare il Vangelo».

Charles ha chiesto di pensare. Dopo alcuni giorni è tornato per abitare con me. Si era consigliato con il vescovo ed aveva comprato anche una macchina per potersi muovere più facilmente. Il saggio vescovo gli aveva detto fra l’altro che non siamo più ai tempi di Sant’Antonio abate!

Liturgia

Abbiamo notato che nelle liturgie che celebriamo la cosa più importante è far in modo che tutti si sentano a casa.

Questa sera è domenica; mi sento stanchissimo. Quattro messe, 50 battesimi, quattro matrimoni, quattro prediche, tante confessioni. Mi viene da pensare: ma cosa faccio? Spendo il mio tempo solo nel sacramentalizzare? In realtà non mi sento un “sacramentalizzatore”.

Ogni battesimo è un contatto vero con una famiglia, una parola di luce per tutti quelli che hanno preso parte al rito del battesimo o del matrimonio. Ogni Messa ha un punto luminoso nell’annuncio della Parola, nell’orazione dei fedeli, nella preparazione alla comunione eucaristica. Qualche anno fa pochissimi uomini venivano in chiesa, adesso il numero è aumentato: un uomo ogni due donne, e tutti ricevono Gesù Eucaristia. Così ogni domenica la chiesa è piena. In questa regione sembra un miracolo!

È bello celebrare l’Eucaristia, avendo come aiutanti a turno due papà di famiglia. Sono scelti tra quelli che hanno una famiglia cristiana, educano bene i figli e cercano di vivere la Parola di Dio. Ogni domenica poi ho davanti a me i lavoratori della campagna, la categoria più povera e socialmente meno apprezzata. Spesso sono scalzi, ma li sentiamo parte preziosa della comunità.

Quando arrivano, sono ricevuti alle porte della Chiesa da altri papà di famiglia della città, che li salutano, scambiano alcune parole di amicizia e poi li accompagnano ai posti riservati per loro vicino all’altare.

La stessa cosa fa un gruppo di donne con le signore della campagna che vengono a Messa per battezzare i loro bambini. Esse con i piccoli in braccio non potrebbero partecipare con calma alla Messa. Allora alcune ragazze e mamme della città si prendono cura dei bambini, dando ai genitori e ai padrini e alle madrine la possibilità di partecipare alla Messa. Infatti in un’altra sala questo gruppo tiene i bambini, dando loro da mangiare, mantenendoli puliti, in modo che al momento del battesimo essi siano ben disposti e non piangano.

Ogni volta spiego il rito del battesimo: siamo tutti figli di Dio e questi bimbi sono suoi e a lui li doniamo. I genitori e i padrini riscoprono la bellezza del battesimo e si ravviva in loro il desiderio di educare cristianamente i figli.

È bello questo scambio tra gli abitanti della città e quelli della campagna, perché fino a poco tempo fa i contadini si mettevano all’ultimo posto, anche in chiesa; adesso si sentono accolti come fratelli e sorelle.

Ciro Neppe