Due parroci colombiani cercano di costruire la pace superando le forze disgregatrici della violenza

 

«Ci dichiariamo territorio di pace»

a cura della Redazione

 

In una regione montagnosa dove i guerriglieri impediscono la presenza dei rappresentanti del governo e la popolazione vive nel terrore, come svolgere una missione evangelizzatrice? Anche dove ogni umana speranza sembra perduta, per il cristiano c’è sempre la possibilità di vivere il Vangelo fino in fondo. È quanto ci raccontano Danilo e Neil, parroci in quella regione.

Lavorare insieme non è facile

GENS: Per orientare i nostri lettori, potreste parlarci un po’ del posto dove vi trovate?

Danilo: Sabanagrande e Granja sono due cittadine situate in mezzo alle montagne di Santander, distanti sei ore dalla sede della diocesi. È una zona molto difficile, perché qui sono presenti alcuni gruppi armati della guerriglia in Colombia.

Sono parroco di Granja da quasi quattro anni. L’inizio non è stato facile, proprio a causa dell’isolamento e della situazione di violenza. Quando dovevo andare in missione nelle zone basse della montagna, non solo dovevo camminare più di nove ore, ma dovevo anche rimanere lì per 15 giorni e la solitudine si faceva sentire.

Poi, a poco a poco, ho visto che la situazione del parroco di Sabanagrande, il paese vicino, distante un’ora di auto dalla mia parrocchia, era simile alla mia. Ho cominciato a interessarmi di lui e a dargli un po’ d’aiuto. Molte volte sono andato fino alla sua parrocchia solo per fargli visita. Questo, pian piano, ha creato le basi per un rapporto che ha reso possibile la proposta di un’unica équipe pastorale per lavorare insieme nelle due parrocchie. La proposta era attraente, ma la sfida si presentava ardua, perché la gente, a causa della rivalità atavica tra i due paesi, presentava un po’ di diffidenza.

Un piccolo dettaglio: ogni parrocchia aveva un bollettino parrocchiale bimestrale. Fonderli in uno, chiamandolo “Parola e Vita”, lo stesso nome dato alla nostra équipe pastorale, ci ha dato più lavoro: quello che prima ognuno di noi faceva in una mattinata adesso esige due giorni di intenso impegno nella ginnastica di perdere la propria idea per accogliere quella dell’altro. Allo stesso tempo, però, abbiamo notato un rifiorire di vita evangelica nelle due comunità.

Ora, quando visitiamo i villaggi più lontani non andiamo più ognuno per proprio conto, ma insieme: siamo in quattro, dato che fanno parte dell’équipe anche due seminaristi che ci aiutano nelle nostre parrocchie. Non ci sentiamo più soli, ma condividiamo difficoltà e gioie, fallimenti e successi, progetti e speranze; e la gente, vedendo l’unità tra noi, ci segue.

Nell’unità la forza del dialogo

GENS: Neil, come sei arrivato in questa regione e come ti sei inserito in questo lavoro in équipe?

Neil: Ad un certo momento il vescovo ha dato un altro incarico al parroco di Sabanagrande e mi ha fatto la proposta di accettare questa parrocchia per dare continuità all’esperienza positiva che era stata avviata e nella quale egli riconosceva un frutto della spiritualità del Movimento dei focolari.

Ho accettato volentieri, perché nella proposta del vescovo trovavo esattamente ciò che cercavo: vivere il sacerdozio non da solo, ma in comunione con altri.

Arrivando sul posto abbiamo preso come primo impegno di mantenere vivo fra noi l’amore reciproco, perché il “parroco” fosse innanzitutto Gesù tra noi due. Per esempio, il Giovedì Santo abbiamo deciso di fare una “Agape familiare” simultaneamente in tutte le case delle due parrocchie. Avendo a disposizione una stazione radio a Granja, ci siamo collegati telefonicamente e abbiamo presentato insieme le realtà che Gesù aveva vissuto quel giorno: l’istituzione del sacerdozio e dell’Eucarestia e il dono del comandamento dell’amore reciproco, e abbiamo raccontato esperienze di vita evangelica. Alcuni ascoltatori dopo ci hanno detto: «Non sapevamo che eravate collegati via telefono! Sembrava che foste tutti seduti attorno allo stesso tavolo».

GENS: Una delle sfide che si presentano nel lavoro pastorale è stabilire delle priorità. Come avete potuto armonizzare gli interessi dell’uno e dell’altro sotto quest’aspetto?

Danilo: Data la situazione di violenza uno dei nostri principali impegni è lavorare per la pace e per i diritti umani. La guerriglia, in una delle due parrocchie, ha costretto tutte le autorità civili ad andare via, e ha obbligato centinaia di contadini a spostarsi da un’altra località. Già i parroci che ci hanno preceduto, d’accordo con una proposta diocesana, avevano creato “comitati per i diritti umani” e “conciliatori secondo giustizia”. Nel frattempo sono già nate sette scuole di “artefici di pace e diritti umani” con circa trenta partecipanti ciascuna. La gente ha cominciato a ricorrere a questi comitati per risolvere i loro conflitti, invece di andare dai capi dei gruppi armati.

Le ultime elezioni

Recentemente abbiamo vissuto un’esperienza importante in occasione delle ultime elezioni dei sindaci e dei consiglieri, alle quali, come si sa, la guerriglia si opponeva in maniera decisa. Un mezzo, che ha utilizzato per far paura, è stato il sequestro dei candidati dei diversi partiti politici. Dodici persone delle nostre parrocchie sono state private della loro libertà. Abbiamo fatto comunicati, marce e giornate per la vita, la pace e la libertà. La stampa ha collaborato con noi. Ma non bastava ancora. Bisognava fare qualcosa di più. Noi due abbiamo deciso di andare alla ricerca dell’accampamento della guerriglia, accompagnati da un contadino che ci indicasse la strada. Abbiamo impiegato due giorni di cammino attraverso la montagna, andando qua e là con l’incertezza di poter trovare il loro nascondiglio. La guida andava avanti, ma correva il rischio di calpestare qualche mina antiuomo. Allora abbiamo rinnovato fra noi il patto di essere pronti a dar la vita l’uno per l’altro e uno di noi ha preso il suo posto, chiedendo a Gesù di guidare i nostri passi. A un certo momento ci siamo trovati nel mezzo dell’accampamento.

Abbiamo dialogato con il gruppo dei guerriglieri fino ad esaurire tutti gli argomenti, poi abbiamo pregato il rosario, chiedendo a Maria il miracolo della liberazione dei nostri uomini, ma non è stato possibile. Abbiamo trascorso lì la notte e al mattino ci siamo rimessi in cammino a mani vuote. Avevamo affrontato quelle giornate con lo sguardo a Gesù abbandonato e ora dovevamo abbracciarlo nel fallimento.

Nonostante tutto, abbiamo continuato a mantenere i contatti, finché un bel giorno ci hanno avvisato che ce li avrebbero consegnati, ponendo alcune condizioni. Siamo partiti al mattino presto e dopo venti ore di viaggio tra i monti siamo arrivati al luogo concordato, dove ci hanno consegnato le dodici persone. Era un frutto dell’unità tra noi e dell’amore che ci rendeva pronti a dare la vita per i fratelli. Poco dopo un altro gruppo guerrigliero – che aveva sequestrato l’equipaggio di un elicottero esigendo un grosso riscatto – acconsentì a liberare l’equipaggio senza porre alcuna condizione.

Una proposta ardita

GENS: La guerriglia era contraria al processo elettorale. Come avete reagito alle intimidazioni?

Neil: La paura lentamente si è impadronita della popolazione fino al punto di paralizzare quasi tutti. Il venerdì prima delle elezioni si poteva già parlare di panico. Io ero confuso per la situazione di terrorismo psicologico che esisteva nella nostra gente. Parlando per telefono con Danilo abbiamo avuto una discussione che mi ha portato ad interrompere arrabbiato la comunicazione. Ho sperimentato per un momento l’inferno dentro di me. Però nel desiderio di ricominciare sempre, di chiedere perdono e riconoscere i miei errori, ho telefonato di nuovo e abbiamo ristabilito l’unità, affinché non ci fosse nessuna discordia nei nostri cuori e Gesù rimanesse in mezzo a noi.

Dopo un lungo dialogo telefonico è venuta fuori la proposta di dichiarare le nostre parrocchie “Territorio di pace” (vedi p. 28), accogliendo il sentimento profondo della gente e valorizzando ogni possibile iniziativa al riguardo. Questo ha comportato da parte di tutti un serio impegno nel costruire la pace, cominciando dalla propria famiglia e dal proprio cuore.

Non c’era tempo da perdere e a mezzanotte abbiamo svegliato il nostro vescovo per comunicargli l’iniziativa e lui non solo ci ha appoggiato, ma ci ha dato anche suggerimenti preziosi.

Danilo: Attraverso la radio abbiamo convocato per sabato mattina tutta la gente per una grande riunione pubblica. Nonostante le proibizioni della guerriglia, c’è stata una presenza massiccia in tutte e due le parrocchie. La gente ha accolto con gioia la proposta e tutti hanno voluto subito dichiararsi “Territorio di pace”, accettandone gli impegni. Ognuno ha messo nella sua casa un cartello con la scritta “Siamo territorio di pace” e hanno issato una bandiera bianca.

Nel pomeriggio, nonostante la proibizione imposta dalla guerriglia, sono andato fino alla parrocchia di Neil per solidarizzare con la situazione di tensione e di panico che si viveva lì, dato che la guerriglia entrando nel paese voleva bruciare le schede per impedire le elezioni. Dopo un lungo dialogo siamo riusciti a raggiungere un accordo, affinché si rispettasse la popolazione civile che non votava né pro governo né pro guerriglia, ma per la pace.

I guerriglieri si sono consultati tra di loro e dopo alcuni minuti uno di loro è venuto da noi per assicurarci che essi accettavano l’accordo. Volendo, però, essere sinceri con noi, ci facevano sapere che avevano un ordine a livello nazionale di fare terrorismo con esplosivi durante quella notte. Nel dialogo hanno accettato di non farlo.

Neil: La domenica 26 ottobre è successo qualcosa di insolito: nonostante  le minacce, la gente si è sentita appoggiata ed è andata a votare: 448 voti a Sabanagrande e 708 a Granja. Un numero insolitamente grande per questi posti. Poi la guerriglia ha fatto la sua comparsa a Sabanagrande per bruciare i voti, come avevano fatto in altri sei villaggi, ma la gente ha chiesto con coraggio che rispettassero le elezioni, e ha impedito che fossero bruciati questi “voti per la pace”.

A Granja la gente è rimasta unita fino a sera, difendendo la sua decisione di vivere in pace e rifiutando qualsiasi manomissione dei propri diritti.

Il giorno seguente il vescovo ha diramato un comunicato alla diocesi appoggiando l’iniziativa di queste parrocchie di dichiararsi “Territorio di pace”; e anche le 47 scuole degli “Artefici di pace” della diocesi hanno inviato i loro comunicati di appoggio.

Anche un «capo» chiede il dialogo

Danilo: Un comandante della guerriglia si è messo in comunicazione con noi per dirci la sua disponibilità al dialogo. È venuto così il momento di invitarlo a non continuare nell’errore commesso due anni prima quando i guerriglieri avevano mandato via l’ispettore di polizia. Ora essi hanno accettato che egli riprenda il suo posto nella zona.

La Croce Rossa Internazionale, venuta a conoscenza delle nostre esperienze, ha voluto visitare le parrocchie per promuovere alcune riunioni e aiutarci a raggiungere la pace e il rispetto della decisione di un paese che si dichiara “Territorio di pace” e che rifiuta con atteggiamenti non violenti di essere obiettivo militare di qualunque gruppo armato.

Il trionfo del mandato cittadino per la pace è stato schiacciante. Milioni di colombiani si sono dichiarati costruttori di pace e di giustizia sociale, dicendo che la riconciliazione è possibile.

Redepaz (la rete nazionale di iniziative per la pace e contro la guerra), venendo a conoscenza di questa iniziativa, ne ha proposto la diffusione in tutta la Colombia.

Le difficoltà tra noi due

GENS: A quanto sembra voi siete due persone con caratteri ben diversi. Come riuscite ad andare d’accordo in mezzo a tensioni sociali e politiche così difficili.

Danilo: Se si vuole andare dietro alle proprie idee, i motivi di contrasto non mancano mai. Un esempio. Pochi giorni dopo le elezioni si doveva organizzare a Sabanagrande il festival del mais, una festa popolare molto sentita. L’anno precedente vi avevo preso parte per stare vicino al parroco di allora, ma ne ero rimasto così disgustato che mi ero ripromesso di non ripetere mai più una simile esperienza. A causa dell’abuso dell’alcool c’erano stati molti momenti di tensione tra gli stessi parrocchiani. Inoltre, proprio nel momento in cui accompagnavo a casa un uomo che non si reggeva più in piedi per aver bevuto troppo, c’è mancato poco che non fossi raggiunto da un colpo d’arma da fuoco. Per questo motivo ero molto contrario a che la parrocchia organizzasse un festival occasione di gravi conflitti.

Neil: All’inizio non riuscivo a captare la dimensione del problema, ma nella scelta che avevamo fatto di ascoltarci e di donarci le nostre idee, ho capito che dovevo ascoltare bene le ragioni di Danilo. Confidando soltanto nella forza di Gesù in mezzo a noi, abbiamo accettato di fare il festival del mais, ma con alcune condizioni. Abbiamo chiesto alla commissione organizzatrice se era disposta a far rispettare il settimo punto dell’impegno di “Territorio di pace”, dove si domanda alla popolazione civile di «non portare armi e non bere bevande che ubriacano». Con mia sorpresa, tutti hanno accolto con entusiasmo e convinzione la nostra proposta: la commissione organizzatrice ha annullato l’ordinazione della birra che aveva già fatto e dalla cui vendita sperava di ottenere i maggiori guadagni, ed anche i vari venditori di liquori nella città, dopo un primo momento di sconcerto, hanno aderito all’iniziativa.

Sono stati tre giorni di festa, con circa 2.000 persone, con gare e divertimenti di ogni tipo: far camminare una mula testarda, mungere una mucca nel più breve tempo possibile, arrampicarsi su un palo alto 25 metri, preparare oggetti di artigianato, una gara di velocità tra tessitrici, fabbricanti di cestini e e di vestiti tipici fatti con derivati del mais, musica, danze. Ottime occasioni per vivere una gioia che tutti chiamavano nuova, perché “senza liquori e senz’armi”. E siccome la provvidenza non manca, alla fine i guadagni sono stati superiori a quelli che speravano di ottenere con la vendita di alcoolici.

Qualcuno ha osservato con stupore: «La gente nelle strade non parla più di violenza, ma della gioia che ha lasciato nei cuori questo festival del mais».

a cura della redazione

 

 

Il decalogo per la pace

«Le “Scuole di artigiani di pace”, i “Gruppi ecclesiali”, i “Conciliatori”, i giovani e i bambini, tutti d’accordo, abbiamo deciso di dichiarare i nostri distretti di Sabanagrande e Granja in tutta la loro estensione geografica “Territorio di pace”.

Pertanto ci impegniamo:

01.    A pregare per la pace e la riconciliazione riconoscendo      

        che la pace è un dono di Dio.

02.    Ad accogliere e a sostenere il Mandato Nazionale per la vita,           

        la pace e la libertà.

03.    A non appoggiare nessun conflitto armato.

04.    A rafforzare continuamente il processo di promozione

        e di difesa dei diritti umani, sostenendo le organizzazioni

        e le associazioni contadine.

05.    A continuare ad esigere dal governo nazionale, dipartimentale

        e municipale, garanzie per un dialogo di pace.

06.    A lavorare per la pace, intesa come giustizia sociale e superamento                          delle cause che generano la violenza.»

07.    A superare le intimidazioni che ci vengono dai gruppi armati.          

        Chiediamo alla popolazione civile di non portare armi

        e non bere bevande che ubriacano.

08.    A mantenere un atteggiamento permanente di dialogo

        e di consultazione con i diversi gruppi armati.

09.    A denunciare pubblicamente ogni tipo di violazione e sopruso

        dei diritti umani e del diritto internazionale umanitario

        davanti agli organismi competenti.

10.    A esporre la bandiera della pace e ad affiggere un cartello   

        con la scritta: «Siamo territorio di pace».