La fonte della vita

La Lettera enciclica di Benedetto XVI, Deus Caritas est, ha sorpreso per la sua semplicità e, nello stesso tempo, per la sua profondità. Con uno stile essenziale, Papa Ratzinger ci ha offerto riflessioni di vasto respiro culturale, senza far tuttavia ricorso al linguaggio scientifico che per gran parte della gente risulterebbe ermetico. Non ne ha bisogno – lo mostrano pure i suoi discorsi a volte tenuti a braccio – per comunicare agli altri le verità profonde della fede. E il pensiero va spontaneamente a san Tommaso d’Aquino: quando predicava al popolo semplice della città di Napoli, aveva sempre la chiesa affollatissima. E non raccontava certo sciocchezze.

Il Papa ci comunica la sua esperienza della fede cristiana: lasciarsi condurre dallo Spirito nel contemplare la vita intima di Dio e scoprire che Egli è semplicemente Amore. E con una pedagogia degna dei grandi Padri della Chiesa riporta la parola amore al suo vero significato, purificandola dalle incrostazioni che attraverso la storia l’hanno velata e spesso deturpata, e ridonandoci quel suo significato genuino e originale datole da Dio quando l’amore creato – fiamma sgorgata dal seno della Trinità – fu posto nel cuore dell’uomo e della donna come norma vitale di tutta la creazione.

L’enciclica tratteggia in poche righe la storia dell’eros. Fiorito nell’innocenza del  paradiso terrestre, si è poi inficiato di egoismo perdendo il suo splendore originario, ma con l’incarnazione del Verbo viene purificato ed elevato: diventa agape, amore che genera comunione, permettendo al Creatore di riprendere la sua dimora tra coloro che si amano.

E non si può dire che Benedetto XVI stia navigando tra le nubi. L’amore vuole incarnarsi non solo nella famiglia naturale – e oggi ce n’è tanto di bisogno! – ma anche in tutti i campi dell’attività umana, perché dove i nostri rapporti non sono regolati dall’amore ma guidati dall’egoismo ci si avvelena e si muore.

Nella seconda parte dell’enciclica, dove il Papa parla delle opere di carità che la Chiesa da sempre ha esercitato per venire incontro ai bisogni dei poveri senza distinzioni di fedi e di condizioni sociali, il discorso mostra l’amore che penetra nelle realtà materiali senza perdere la profondità spirituale della mistica, ricordando la verità evangelica che in ogni prossimo, specialmente nel bisognoso, c’è Gesù.

C’è poi un passo dell’enciclica che non può passare inosservato. È il numero 12 dove si fissa lo sguardo su Gesù Crocifisso, sorgente ultima dell’amore. Vi si legge: «Quando Gesù nelle sue parabole parla del pastore che va dietro alla pecorella smarrita, della donna che cerca la dracma, del padre che va incontro al figliol prodigo e lo abbraccia, queste non sono soltanto parole, ma costituiscono la spiegazione del suo stesso essere ed operare. Nella sua morte in croce si compie quel volgersi di Dio contro se stesso nel quale Egli si dona per rialzare l’uomo e salvarlo – amore, questo, nella sua forma più radicale. Lo sguardo rivolto al fianco squarciato di Cristo, di cui parla Giovanni (cf 19, 37), comprende ciò che è stato il punto di partenza di questa Lettera enciclica: “Dio è amore” (1Gv 4, 8). È lì che questa verità può essere contemplata. E partendo da lì deve ora definirsi che cosa sia l’amore. A partire da questo sguardo il cristiano trova la strada del suo vivere e del suo amare».

E mostra poi come tutto questo si avvera per noi cristiani, sacramentalmente ma realmente, nel sacrificio eucaristico che «ci attira nell’atto oblativo di Gesù», ci coinvolge «nella dinamica della sua donazione» (n. 13). L’amore vero passa attraverso il sacrificio. «Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la vita per i propri amici» (Gv 15, 13).

Non a caso ai nostri giorni Dio sta dando alla sua Chiesa la grazia di approfondire in maniera nuova il mistero pasquale, mistero di morte e di risurrezione, fonte genuina dell’amore. Qui, infatti, contempliamo Gesù crocifisso e abbandonato: «il più grande dolore, espressione del più grande amore», come ha scritto Chiara Lubich in perfetta sintonia col pensiero del Papa.

Troppo spesso nel passato si è visto il sacrificio non con gli occhi di Gesù – quale massima espressione dell’amore oblativo, fonte di vita – ma con gli occhi di certi pensatori antichi che disprezzavano la corporeità o di quei filosofi moderni che la esaltavano, o infine con lo sguardo di chi attende il compimento della propria esistenza nella disperazione del nulla per non aver sperimentato la perenne novità di Dio-Amore.

Per noi il cuore del sacrificio è l’amore che opera una profonda trasformazione, facendoci passare dall’individualismo alla comunione. Sant’Agostino nel capitolo decimo de La Città di Dio dice: «Il vero sacrificio è qualsiasi opera che ci permette di unirci a Dio in una santa comunità». E aggiunge: «Tale è il sacrificio dei cristiani: la moltitudine, un sol corpo nel Cristo».

E. P.