Perché tutti siano uno

a cura della segreteria internazionale del movimento gens

 

 La via del dialogo

Sono spesso piccoli fatti che fanno la differenza, atteggiamenti che dal confronto portano al dialogo e alla comunione, gesti che passo dopo passo trasfigurano il quotidiano. Ce ne parla un gruppo di seminaristi di varie regioni del Brasile che quest’anno stanno trascorrendo un anno di formazione alla spiritualità di comunione nella “Mariapoli Ginetta”, una delle cittadelle del Movimento dei focolari, nei pressi di San Paolo.

«Assieme agli altri, cercavamo di preparare l’invito per le “ferie gens”, una vacanza tra seminaristi. Ci siamo messi davanti al computer e avevamo già un certo progetto in mente. Uno suggeriva una cosa, un altro la perfezionava, un altro ancora perdeva la sua idea per ascoltare fino in fondo quella dell’altro... Un vero campionato di carità. E mentre ciascuno valorizzava l’altro, fra noi cresceva un’aria di famiglia. Alla fine, quale sorpresa! L’invito è venuto non come l’avevamo immaginato, ma molto meglio. Un segno che, forse, tra noi c’era stato veramente Gesù».

«Stavo tornando a casa in un pullman superaffollato. Vedevo che c’era là in piedi una coppia con una bambina ed ho offerto loro il mio posto. Mi hanno detto che stavano bene e che bastava che prendessi sulle mie ginocchia la bambina. Era un’opportunità per amare quella famiglia. Abbiamo iniziato un colloquio. Mi hanno detto che erano di un’altra Chiesa cristiana di cui il marito era pastore. Ho fatto capire che io ero cattolico, al che loro, in un primo momento, hanno reagito con un certo riserbo. Ho cercato di accoglierli ancor più profondamente e mi sono interessato della loro Chiesa. Poco prima di scendere mi hanno detto che il mio atteggiamento ai loro occhi mostrava che vivevo in unione con Dio. Per me era la conferma che, per generare la comunione, occorre stare in Dio».

«Sono venuti a trovarci una pastora e un seminarista di un’altra Chiesa cristiana. Era previsto che si fermassero per mezz’ora, ma poi sono rimasti con noi per due ore. Abbiamo raccontato loro del nostro stile di vita e delle esperienze che stiamo facendo, cercando di mettere in pratica la Parola. Ne sono stati impressionati. Hanno cominciato a parlare dell’esperienza ecclesiale che stanno vivendo e, presi da quel clima forte di amore reciproco che si era creato, ci hanno aperto il cuore anche su alcuni problemi che stavano passando nella loro comunità. Da una  visita d’occasione era diventato un momento di profonda comunione. Alla fine, il seminarista ci ha detto che sarebbe tornato da noi assieme a suoi compagni, affinché anche loro potessero conoscerci».

 

 

Al di là di noi

 

Meglio il meno perfetto in unità

Ungheria. «Da tempo desideravamo rendere più viva la Messa, animandola, almeno

qualche volta, con canti moderni e la

chitarra. I formatori e gran parte dei nostri compagni erano contenti di quest’idea, ma non così il responsabile del coro e alcuni studenti che hanno una sensibilità più

tradizionale. Non abbiamo allora insistito, ma piuttosto, durante tutto l’anno, abbiamo cercato di costruire il più possibile l’unità con loro. Recentemente, è avvenuta una svolta: d’accordo col maestro del coro, abbiamo avuto il permesso di accompagnare una volta al mese la messa con la chitarra. Si è formato quindi un gruppo di quattro persone. Ed è iniziata un’altra avventura: non era semplice giungere alla scelta dei canti e arrivare a eseguirli con un certo livello. Ad un certo punto ci siamo detti che ciò che contava era l’unità fra di noi e che il resto sarebbe venuto in sovrappiù. E così abbiamo proseguito. Ci sono stati tanti momenti in cui avevamo l’occasione di morire alla nostra volontà per accogliere fino in fondo quella dell’altro ed essere così un dono l’un per l’altro. Preparata in questo modo, la messa è stata bellissima. Tutto il seminario – compresi quelli che prima erano stati contrari – ha cantato come ad una sola voce ed è stata una vera festa con Gesù fra di noi». (L.B.)

 

«Ma lei è diverso!»

Brasile. «Sono stato invitato allo sposalizio di mia cugina nella Chiesa luterana. Era bella la cerimonia e le parole del pastore erano molto significative. Alla fine grandi festeggiamenti. Ma io non mi sentivo bene. Avevo un forte mal di testa e non avrei voluto rimanere alla festa. Accogliendo in questo malessere Gesù crocifisso, ho cominciato a parlare con il pastore ed ho ascoltato tutta la sua storia. Mi ha presentato sua moglie e i suoi figli e mi ha raccontato molte cose della sua vita. Uscendo da me stesso e dal dolore che provavo, mi sono fatto letteralmente nulla per prestargli attenzione. Ad un certo punto mi ha chiesto di quale Chiesa protestante facessi parte, perché il mio comportamento aveva attirato la sua attenzione. “Lei è diverso”, mi ha detto. Gli ho raccontato allora anch’io la mia storia. E lui, assieme alla moglie e ai figli, sono stati molto contenti. Siamo rimasti amici ed egli mi ha invitato a passare alcuni giorni in famiglia con loro». (M.M.)

 

«Davvero, nulla è impossibile!»

Corea. «Quando, dopo un lungo periodo di assenza, sono arrivato in parrocchia, ho avvertito molto freddo, e questo non tanto perché era il più rigido inverno che stavamo passando da anni, ma perché tutto pareva coperto dal gelo di tanti cuori freddi. A dir la verità, al primo impatto mi sono trovato assai spiazzato, perché tutto era così diverso dall’esperienza di comunione e fraternità che avevo vissuto nei mesi precedenti. Con dolore costatavo che quella parrocchia si presentava più come una scuola di “disunità” che di “comunione”. Veramente, in questa situazione mi aspettavano tanti volti del Cristo crocifisso che voleva essere da me abbracciato ed amato. Ricordarmi che in tutta questa indifferenza e nei contrasti fra le persone non trovavo null’altro che lui, mi ha aiutato ad essere felice pure in mezzo a questa situazione e a rispondere a parole dure ed affronti non contraccambiando, ma con un sorriso e con la gioia. Con l’andare del tempo, si è verificato a poco a poco un cambiamento. Ora anche qualcun altro mi sorride. Davvero, nulla è impossibile!». (V.B.)

 

Il sorriso e la preghiera

Congo. «Da tempo siamo impegnati ad amare Gesù crocifisso, specialmente nei

prigionieri e nei malati. Un giorno ci siamo detti: “La preghiera e il sorriso sono due grandi doni che possiamo offrire a chi ne ha bisogno”. Poco tempo dopo, ho incontrato un divorziato, padre di quattro figli che si erano dispersi, affranto dalla solitudine e dalla fame e abbandonato alla compassione dei suoi vicini. Sono entrato nella sua casa, con un sorriso ma a mani vuote. Egli si è affrettato a cercare per me una sedia presso i vicini, ma io mi sono seduto con lui sulla sua stoia e gli ho assicurato che così mi trovavo più a mio agio. L’ho invitato a fare insieme una preghiera e poi egli mi ha raccontato tutta la storia che l’aveva portato al divorzio e ciò che era avvenuto dopo. Ne sono rimasto profondamente commosso. Ma più ancora mi ha toccato il fatto che egli da due giorni pativa la fame. Ciononostante, la mia presenza e il mio sorriso l’avevano confortato e non voleva più lasciarmi andare. In testa mi frullava una sola idea: dove trovare un po’ di cibo per questo papà? Alla sera, mi ha invitato a casa sua un cristiano che desiderava conoscermi. Mi ha poi donato una piccola somma. L’ho portata subito a quel papà e così egli, quella sera, ha potuto mangiare. Ho compreso allora che il sorriso e la preghiera sono davvero una grande forza». (L.M.B.)

 

Come te stesso

Se tu entri nel Vangelo – e questa è una bella avventura per te – ti trovi di colpo come sul crinale di una montagna. Già in alto quindi, già in Dio, anche se guardandoti a lato vedi che la montagna non è una montagna ma una catena di montagne e la vita per te è camminare lungo lo spartiacque fino alla fine.

Ogni Parola di Dio è il minimo e il massimo che Egli ti chiede, per cui quando tu leggi: “Ama il prossimo tuo come te stesso”, hai della legge fraterna la massima misura.

Il prossimo è un altro te stesso e come tale lo devi amare.

Se lui piange, piangerai con lui; e se ride con lui riderai; e se ignora ti farai con lui ignorante e se ha perduto suo padre t’immedesimerai nel suo dolore.

Tu e lui siete due membra di Cristo e che soffra l’una o l’altra per te è simil cosa.

Perché per te ciò che vale è Dio che è Padre d’entrambi.

E non cercare scuse all’amore. Il prossimo è chiunque ti passa accanto, povero o ricco, bello o brutto; ignorante o dotto, santo o peccatore, della tua patria o straniero, sacerdote o laico; chiunque.

Prova ad amare chi ti sfiora nel momento presente della vita e scoprirai nell’animo tuo nuovi germogli di forze prima non conosciute: esse daranno sapore alla tua vita e risponderanno ai tuoi mille perché.

Chiara Lubich

(Da: Disegni di luce, Roma 1996, p. 24)

 

 

Fraternità

Recentemente nella cittadella internazionale del Movimento dei focolari a Loppiano nelle vicinanze di Firenze, si è inaugurata la nuova chiesa. In questo contesto Rogelio, seminarista latino-americano, ha vissuto questa esperienza.

Tra i molteplici lavori che c’erano da fare affinché tutto fosse pronto in tempo, a me è toccato collaborare con i giardinieri di una ditta specializzata. Non erano affatto entusiasti della nostra presenza, perché guadagnavano per ore e non avevano alcuna fretta, mentre noi non avevamo tempo da perdere.

Ad essi recava fastidio vedere sacerdoti e seminaristi inesperti fare lavori così umili con serenità e gioia. Ascoltando le loro conversazioni mi sono reso conto che non erano gente di Chiesa, anzi si burlavano di noi: «Siete venuti a confessarci?», ci domandavano.

All’improvviso uno dei lavoratori mi butta per terra con forza, ordinandomi di seminare l’erba. Forse avrà pensato che avrei reagito male e mi sarei ritirato. Mi sono messo subito all’opera, rispondendo al loro umore antireligioso con il buon umore latino americano.  Pian piano è iniziato un dialogo: loro si fermavano per parlare e io lavoravo e parlavo. A un certo punto hanno cominciato a guardarmi con altri occhi.

Sapevo che in qualche modo dovevo far presente Gesù in quell’ambiente, ma non potevo farlo con parole a loro incomprensibili. Dovevo, come ci insegna Chiara, “colorire tutto con l’evangelo”. Ho capito che io dovevo adattarmi a loro e non loro a me.

Mi rendevo conto che ci sono tanti settori della società lontani da Dio per la nostra incapacità di “farci uno” con essi, adattandoci, quando necessario, ai lavori umili che la gente fa normalmente per guadagnarsi la vita come nella famiglia di Nazaret.

Terminato il mio orario, dovevo tornare a casa. Veramente le nostre ore di lavoro erano state “simboliche”. Mi congedo da ognuno in modo fraterno, ma quando mi avvicino al lavoratore che mi aveva gettato a terra per stringergli la mano, mi da un forte e prolungato abbraccio. I suoi occhi si sono inumiditi ed anche i miei. E mi dice: «Vai avanti, ragazzo mio, per la tua strada». Gli ho risposto spontaneamente: «L’immagine che tu hai di noi cambierà perché, come voi seminate l’erba, noi stiamo seminando una nuova Chiesa e una generazione di sacerdoti che sapranno amare tutti».

Il viso di quest’uomo mi é rimasto nella mente e quando sono arrivato a casa ho pianto di gioia. Davvero avrò il coraggio di dare il mio contributo alla costruzione della Chiesa che vogliamo? Davvero saprò portare Gesù agli altri “con i muscoli”? Mi ricordavo di Natalia Dallapiccola quando chiedeva a Chiara che predicasse a tutti la scoperta di Dio Amore, e lei le ha risposto: «Natalia, il mondo é pieno di predicatori. Quello che ci vuole è vivere la Parola per trasmettere Gesù con la nostra vita».

Sono giunto a casa con le mani coperte di terra, mani che stanno imparando a “seminare unità”, mani capaci di prendere buoni libri spirituali ma allo stesso tempo disposte a mettere in pratica la Parola di vita che Chiara mi ha dato: «Il Signore vi faccia crescere e abbondare nell’amore vicendevole e verso tutti» (1Ts 3, 12).

Il giorno della consacrazione della chiesa, servendo all’altare, mi sentivo insieme a tutti sotto il manto di Maria!