In una città multietnica e multireligiosa la ricerca dell’unità tra i responsabili delle Chiese genera armonia tra le diverse comunità

 

Un piccolo laboratorio ecumenico

di Jozsef Pal

 

Dalla parrocchia cattolica della città di Resita nel sudovest della Romania è partita la scintilla di un’esperienza ecumenica che ha coinvolto tutti i responsabili delle diverse comunità cristiane del posto, con originali iniziative che hanno avuto riflessi nella stessa convivenza civile.

Sono parroco cattolico a Resita, una città di 90.000 abitanti, dove la storia ha creato un mosaico in cui convivono ben sette nazionalità e diverse Chiese.

Quando 17 anni fa sono arrivato in questo posto, mi sono proposto di amare tutti, ma in modo speciale i responsabili delle diverse Chiese. Ero convinto, infatti, che eravamo lì animati da un stesso desiderio: aiutare la gente ad incontrarsi con Dio. E il nostro esempio sarebbe stato determinante per i fedeli.

Dall’amicizia all’incontro

Dapprima i miei contatti con i responsabili delle altre comunità erano sporadici e occasionali. Cercavo di cogliere tutte le opportunità per costruire rapporti più profondi, interessandomi della vita degli altri ministri e dei problemi che incontravano nelle attività pastorali. Sono nate così spontaneamente le prime iniziative. Un giorno, per esempio, ho chiesto al sacerdote ortodosso di parlare ai miei giovani. In seguito anch’egli mi ha invitato nella sua chiesa.

Nel 1992 è nata l’idea di stabilire un giorno della settimana, nel quale, secondo le possibilità, ci saremmo incontrati tutti i sacerdoti e i pastori della città. Poteva sembrare un’iniziativa troppo esigente, ma fu ben accolta e  da allora sono passati più di 10 anni e solo poche volte questo incontro non si è svolto.

Questo nostro gruppo è diventato come un piccolo laboratorio ecumenico, perché è  composto da ministri ortodossi rumeni e serbi, cattolici di rito latino e greco, riformati ungheresi, evangelici tedeschi e slovacchi,  ucraini e croati.

Vivendo insieme il Vangelo, cerchiamo di alimentare i nostri rapporti basandoli sull’amore reciproco. E Gesù – che ha promesso: «Dove due o più sono riuniti nel mio nome…» (Mt 18, 20) – ci ispira e ci incoraggia.

Un sacerdote che si trovava in difficoltà, sentendosi solo e abbandonato, in questi incontri ha ritrovato nuovo slancio per continuare la sua missione. Un pastore evangelico, ingiustamente denunciato presso i suoi superiori, ha ricevuto la nostra comprensione: tutti insieme abbiamo scritto al suo responsabile per informarlo sulla vera realtà delle cose.

Ogni volta, poi, quando ci incontriamo preghiamo insieme per avere la luce sui problemi pastorali in quest’epoca di transizione.

Le «giornate ecumeniche»

Da questi incontri sono sorte in seguito le “giornate ecumeniche” che hanno luogo ogni anno nella “Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani”. In queste giornate è una gioia scambiarci i doni delle diverse tradizioni con canti e preghiere che svolgiamo in tutte le chiese della città, facendo con i nostri fedeli una specie di pellegrinaggio da una chiesa all’altra. E le nostre comunità, vedendo la fraternità dei loro pastori, si aprono ai fedeli delle altre Chiese senza rinunziare alla propria unicità e bellezza. Nel 2002 eravamo già 30 sacerdoti e pastori con due vescovi.

A volte, ovviamente, ci sono pure difficoltà. Preparandoci l’altro anno per la cerimonia ecumenica stabilita quel giorno nella mia chiesa, in sacrestia è successo un incidente. Uno dei sacerdoti ortodossi ha rivolto alcune parole forti al prete greco-cattolico che proprio quella settimana aveva scritto un articolo piuttosto critico nei riguardi della Chiesa ortodossa. I due hanno cominciato a parlare a voce alta e abbastanza aspramente. Ho pensato tra me: «Adesso tutto il nostro lavoro ecumenico di questi anni sarà distrutto.  E l’ecumenismo andrà indietro». Ho affidato tutto a Dio.

Dopo tre giorni, nell’incontro in un’altra chiesa, davanti a tutti, il sacerdote che aveva offeso l’altro, ha chiesto pubblicamente perdono, rammaricandosi di essere stato di impedimento nella via dell’unità.

Noi che eravamo stati presenti durante il litigio, sapevamo di cosa si trattava: un vero capovolgimento della situazione. Poi è seguita una cena festosa e quel sacerdote rivolgendosi a me dice: «Vero, così va bene?».

Ho provato una gioia inesprimibile. Mi è sembrato che Gesù avesse operato un miracolo. E di questi miracoli, che solo Lui tra noi può fare, cambiando i cuori e portandoci ad amare, ce ne sono molti.

Un’altra volta un fedele mi ha riferito che il sacerdote di un’altra Chiesa parlava male di me. Ho pregato con la certezza che Gesù avrebbe risolto anche questa difficoltà. Ho telefonato poi a quel sacerdote e l’ho pregato di dirmi se aveva qualche difficoltà nei miei riguardi. Ci voleva solo questo passo da parte mia, ed egli si è avvicinato a me.

Una sera poi, durante la preghiera ecumenica, davanti ai fedeli e agli altri sacerdoti ha confidato che queste serate ecumeniche all’inizio gli erano sembrate superflue, ma poi, rispondendo al nostro invito ripetuto costantemente ogni anno, aveva visto come le cose stavano cambiando per davvero: «Ero come san Tommaso – concludeva – che doveva toccare per credere; così anch’io dovevo vedere con i miei occhi per sperimentare la bellezza dell’amore reciproco». Adesso sostiene con impegno i nostri sforzi per l’unità tra i cristiani.

Certo, l’unità non è una cosa fatta una volta per sempre, ma impegno quotidiano; non può ridursi solo alla “Settimana di Preghiera per l’unità dei cristiani” nel mese di gennaio, ma deve essere alimentata ogni giorno; è come la vita: per mantenerla bisogna nutrirla continuamente. Ma, se l’ecumenismo è vita, il cibo è l’amore reciproco.

La festa comune

La comunione stabilita tra noi ha sempre più riflessi anche nella vita pubblica. Quando nella città ci sono delle ricorrenze civili le autorità ci chiamano a partecipare e noi, pastori delle diverse Chiese, ne parliamo prima tra di noi per presentarci uniti.

Un ultimo fatto. Qualche tempo fa abbiamo individuato due santi patroni per la nostra città che potessero essere accettati da tutte le Chiese: i santi Pietro e Paolo. Ora questa ricorrenza è stata riconosciuta anche dalle autorità civili. Così la giornata del 29 giugno è diventata la festa più bella della città, con la partecipazione di una moltitudine di  persone, ed è per tutti un simbolo d’unità.

Jozsef Pal