Creare brani di cristianità uniti, per preparare la via alla piena visibile comunione tra le Chiese

 

Gesù in mezzo ai suoi e il dialogo della vita

 

 

In un convegno ecumenico di vescovi a Rocca di Papa nel novembre 2003, Chiara Lubich tratta del contributo specifico che il Movimento dei Focolari è chiamato a portare al comune impegno dei cristiani in vista del ristabilimento della piena comunione visibile tra tutte le Chiese.

 

«Gesù in mezzo»
e la spiritualità dell’unità

Gesù in mezzo ai suoi. Ma, a quando risale nel nostro Movimento l’idea di “Gesù in mezzo a noi”, espressione massima della spiritualità dell’unità?

A quattro anni prima della data che ha segnato la nascita del Movimento. Era il 1939. Avevo 19 anni. Ero stata invitata a Loreto per un convegno di giovani cattoliche.

Pur seguendo il corso, ero fortemente attirata dalla grande chiesa-fortezza che custodisce la “casetta” – così noi l’abbiamo sempre chiamata – dove si pensa sia vissuta la sacra famiglia di Nazareth.

Mi ci ero recata più volte. E sempre, inginocchiata accanto al muro annerito, qualcosa di nuovo e di divino mi avvolgeva, mi commoveva profondamente e quasi mi schiacciava. Immaginavo e contemplavo la vita verginale di Maria e di Giuseppe con Gesù in mezzo a loro.

Non capivo il perché di quella fortissima impressione. Più tardi, con gli anni, tutto mi è stato chiaro: era la chiamata ad una vita di comunione, realizzata da persone con “Gesù in mezzo” a loro.

Era il prodromo d’una spiritualità comunitaria e non solo personale: la “spiritualità dell’unità”, alla quale sarebbe stato chiamato chiunque avesse fatto parte del Movimento nascente.

“Gesù in mezzo a noi” si presentava pure come la legge di ogni piccolo o grande nucleo organizzativo di quest’Opera quale il focolare, ad esempio: moderna riproduzione della famiglia di Nazareth, una comunità di alcuni, donne o uomini, vergini e sposati, ma consacrati a Dio, che, per il costante reciproco amore vissuto e sempre rinnovato, hanno Gesù spiritualmente presente fra loro, secondo la sua promessa: «Dove sono due o tre riuniti nel mio nome, io sono in mezzo a loro» (Mt 18, 20).

Nel 1943 ha avuto inizio il Movimento ed il primo lavoro dello Spirito Santo nei nostri confronti è stato quello d’imprimerci nel cuore ad uno ad uno i capisaldi della “spiritualità dell’unità”.

Ci vollero cinque, sei anni perché potessimo far nostri i principali, che molti di loro conoscono: Dio Amore, la volontà di Dio, vivere ad una ad una le Parole del Vangelo, soprattutto vedere ed amare Gesù nel fratello, il Comandamento Nuovo, Gesù abbandonato, l’unità. E raggiungessero così il loro vero scopo: insegnarci a vivere con “Gesù in mezzo a noi”. Perché tutti erano in funzione di esso. La vocazione della nostra Opera, infatti, sarebbe stata quella di portare spiritualmente Gesù nel mondo.

Quel “Gesù in mezzo a noi” che, con gli anni, si pose pure alla base di ogni nostro agire. La “norma delle norme” scritta all’inizio del nostro Statuto dice infatti: «La mutua e continua carità, che rende possibile l’unità e porta la presenza di Gesù nella collettività, è per le persone che fanno parte del Movimento dei Focolari la base della loro vita in ogni suo aspetto: è la norma delle norme, la premessa di ogni altra regola».

Semplificando le cose si potrebbe dire che la presenza di Gesù in mezzo a noi è frutto del Comandamento Nuovo di Gesù vissuto: «(…) come io vi ho amato, così amatevi anche voi gli uni gli altri» (Gv 13, 34).

La carità reciproca, infatti, messa in pratica, con impegno e serietà, ha da subito delle conseguenze impensate.

Si avverte una sicurezza, una gioia mai sperimentata, una pace nuova, una pienezza di vita, una luce inconfondibile. Perché? Perché Gesù si introduce silenziosamente tra noi, fratello invisibile, e si realizzano così fra noi le sue parole: «Dove sono due o tre riuniti nel mio nome, io sono in mezzo a loro» (Mt 18, 20).

Il pensiero dei Padri della Chiesa

Negli anni ’70 abbiamo iniziato uno studio per assicurarci che questo nostro modo di vivere fosse conforme alle verità della nostra fede cristiana.

Riguardo alla presenza di Gesù in mezzo ai suoi discepoli è stato interessante lo studio dei Padri della Chiesa, comuni a tutti noi.

I Padri illustrano le condizioni richieste perché Gesù possa essere presente in mezzo ai suoi discepoli.

Per Giovanni Crisostomo si tratta di amare il fratello per amore di Gesù e di amarlo come Cristo, con la misura di Gesù, che ha dato la vita per i suoi nemici.

Egli spiega la frase: «Dove sono due o tre riuniti nel mio nome, io sono in mezzo a loro», chiedendo: «Che dunque? Non vi sono forse due o tre riuniti nel nome suo? Vi sono, sì, ma raramente. Infatti [Gesù] non parla semplicemente di riunione [materiale]... Ciò che Egli dice ha questo significato: se qualcuno mi tiene come causa principale del suo amore verso il prossimo, io sarò con lui...  Ma è difficile trovare qualcuno che ami per Cristo, come si deve amare, il prossimo... Chi ama così (cioè per Cristo)... anche se è odiato, insultato, minacciato di morte, continua ad amare... Poiché così Cristo ha amato i nemici... con il più grande amore...»1.

Questo Padre, commentando il Salmo 133: «Oh quant’è bello e quanto è soave che i fratelli abitino insieme! ... poiché là il Signore largisce la benedizione», spiega: «Là: dove mai? Su tale abitazione, su tale concordia, su tale accordo, su tale vivere insieme. Ché in ciò è benedizione, così come nel suo contrario è maledizione. Per questo motivo si loda ciò dicendo pure... “Il fratello aiutato dal fratello è come una città forte”» (Pro 18, 19)2.

Origene insiste sull’accordo di pensiero e di sentimenti, fra più persone, così da giungere – dice in modo magnifico – alla concordia che «unisce e contiene il Figlio di Dio»3. Egli afferma anche: «Cristo, dove vede due o tre riuniti nella fede nel suo nome, va là ed è in mezzo a loro, attirato dalla loro fede e provocato dalla loro unanimità»4.

I Padri greci hanno magnifiche espressioni per lodare l’esser insieme e metter in guardia contro la solitudine.

È di Teofilatto, vescovo della Bulgaria, una frase meravigliosa: «In verità, Dio gioisce non di una grande moltitudine, se mai “dove sono due o tre riuniti nel suo nome, lì è in mezzo a loro”»5.

E, se Dio gioisce dove c’è unità – pensiamo noi –, quale ideale più grande di fare della propria vita una catena di giorni che aggiungano sempre nuova gioia alla beatitudine di cui Egli già gode?

La presenza di Gesù in mezzo a noi, che stabiliamo secondo la sua promessa, la si può vivere subito. Dice Origene che non bisogna «trascurare le parole del Signore, perché non disse: “dove sono due o tre... io sarò in mezzo a loro”, ma “io sono (in mezzo a loro)”»6. Anche Teofilatto osserva: «Non dice “sarò” – non tarda infatti, né esita –, ma “sono”, cioè mi trovo già lì»7.

Atanasio applica il versetto di Mt 18, 20 anche a coloro che sono distanti, ma uniti spiritualmente. E questo è di grande gioia per noi. «Sebbene ci separi la distanza, tuttavia... il Signore... ci riunisce spiritualmente mediante la concordia e il vincolo della pace»8.

Cellule vive del corpo mistico

Ma passiamo ora all’esperienza ecumenica del Movimento dei focolari.

Ebbene, è soprattutto in forza di questa particolare presenza di “Gesù in mezzo” a quanti sono uniti nel suo nome, che il nostro Movimento ha avuto uno sviluppo ecumenico impensato e che oggi esso può dare un suo contributo specifico alla piena comunione tra le Chiese.

Abbiamo capito – dopo i primi anni dalla nascita del Movimento – che Gesù in mezzo a noi vivificava il suo Corpo mistico. Con Egli in mezzo a noi diventavamo “cellule vive” di esso che è la Chiesa.

A motivo del nostro comune battesimo c’era un vincolo sacramentale dell’unità, ma le implicazioni di ciò non erano, in genere, vissute fra noi cristiani. Gesù fra i suoi aveva “attivato” quei vincoli, facendoli – si può dire – “funzionare”, sicché scorreva una linfa nuova.

E concludevamo fra noi: «Dobbiamo creare continuamente queste cellule vive del mistico Corpo di Cristo – che sono i fratelli uniti nel suo nome – per dar vita all’intero Corpo». Avvertivamo che Dio era fra noi e volevamo che questa corrente d’amore (che è la corrente dell’Amore trinitario) passasse per il mondo in tutte le membra del Corpo mistico, tutte illuminando.

E così, a nostra insaputa, già traspariva la vocazione ecumenica del Movimento, anche se in quegli anni pensavamo solo a lavorare per l’unità fra i cattolici. Il piano ecumenico sul Movimento Dio non ce l’aveva ancora svelato.

Nelle Chiese e
fra membri di diverse Chiese

Poi, negli ultimi 40 anni di impegno ecumenico del Movimento, attraverso cristiani di diverse Chiese, abbiamo cercato di ravvivare le loro stesse Chiese con tali cellule che, vive, accrescono l’unità all’interno delle singole Chiese.

Contemporaneamente, prima del Vaticano II, che nel 1964 con il decreto sull’ecumenismo9 parla di Gesù in mezzo ai cristiani, e molti anni prima che Giovanni Paolo II scrivesse: «Ci raduniamo nel nome di Cristo che è Uno. Egli è la nostra unità»10, ci siamo sentiti spinti a porre Gesù in mezzo anche fra cristiani di diverse Chiese (fra un cattolico ed un armeno, ad esempio, fra cattolici e luterani, fra anglicani ed ortodossi, ecc.).

E ciò era possibile. Se loro erano in grazia di Dio ed erano disposti a morire per noi e noi per loro (come l’amore reciproco richiede), ci doveva essere la presenza di Gesù.

Si formarono e si formano così nella Chiesa cattolica, nelle altre Chiese e fra membri di diverse Chiese, brani di cristianità uniti nel nome di Gesù in attesa dell’ulteriore vincolo d’unità, l’Eucaristia, quando Dio vorrà.

La nostra vocazione ecumenica

Ma come siamo arrivati a capire questa nostra vocazione all’unità in chiave ecumenica?

Un po’ di storia per quelli fra loro, Signori Vescovi, che non la conoscono.

Una volta, trovandomi da Giovanni Paolo II, gli rivolsi questa domanda: «Come vede lei il nostro Movimento?». Egli mi rispose: «Come un Movimento ecumenico». Penso abbia detto questo con un significato più ampio della parola, comprendente cioè non solo l’unità dei cristiani, ma anche la fraternità con i fedeli di altre religioni e pure, almeno sul piano umano, con chiunque sia di buona volontà.

Comunque il nostro Movimento è anche un Movimento ecumenico che riguarda la Chiesa.

Anche se – e questo è noto –, quando nel 1950 il padre gesuita Charles Boyer, fondatore dell’Associazione e della rivista Unitas, mi aveva chiesto se l’unità, come noi l’intendevamo, fosse in funzione dell’unità della Chiesa, avevo risposto, con fermezza, negativamente.

Non immaginavo certo, in quel tempo, che nel 1961 avremmo conosciuto i primi pastori evangelici e che, in seguito, la nostra Opera si sarebbe diffusa al punto che migliaia di cristiani di 350 Chiese e Comunità ecclesiali avrebbero vissuto con i cattolici questa spiritualità dell’unità.

Grande risultato dovuto, forse, anche al fatto che questa spiritualità vissuta ha avuto il grande pregio di interessare, colpire e impressionare, sotto un suo aspetto od un altro, i fedeli di Chiese diverse.

Gli evangelici luterani, ad esempio, a contatto con noi cattolici, prima del Concilio Vaticano II, sono rimasti meravigliati perché amavamo il Vangelo e lo si viveva con tanta intensità. Hanno desiderato allora di viverlo insieme e di essere aiutati a portare nelle loro parrocchie e comunità questa vita.

Gli anglicani d’Inghilterra sono stati attratti dall’idea e dalla prassi dell’unità e ci hanno invitato pure loro.

Così gli ortodossi sono stati colpiti dal nostro sottolineare la vita, l’amore e Maria.

E i riformati, dalla presenza di “Gesù in mezzo” ai suoi, in piccoli gruppi.

Ai metodisti, poi, è piaciuta la tensione alla santità che porta questa spiritualità.

Con gli armeni c’è una grande sintonia nell’amore a Gesù crocifisso e risorto nei dolori della vita; con i siro-ortodossi nel voler vivere come le prime comunità cristiane. E così via.

E ci siamo trovati, pur essendo cristiani di Chiese diverse, tutti affratellati da questo stile di vita.

La “spiritualità dell’unità” si è rivelata perciò, col tempo, come una spiritualità ecumenica ed è stata confermata tale da molti durante la Seconda Assemblea Ecumenica Europea, svoltasi a Graz (Austria), nel giugno 1997.

La nostra vita insieme è sempre stata benedetta e incoraggiata, oltre che dalle autorità cattoliche, anche da quelle di altre Chiese. Gli effetti, poi, di questo modo di vivere nelle singole Chiese sono uguali: conversioni a Dio, nuove vocazioni, rinnovamento di parrocchie, di comunità, ricomposizione di matrimoni, unità fra le generazioni, ecc.

Con «Gesù in mezzo»:
un unico popolo cristiano

Ed ora, dopo tanti anni di vita ecumenica del Movimento, vediamo sempre meglio che si delinea un nostro specifico contributo nel campo ecumenico proprio a motivo della “spiritualità dell’unità” molto utile alla causa. La mancanza, infatti, di una spiritualità ecumenica (che gli ecumenisti oggi continuano a sottolineare) rende il compito dell’unità fra le Chiese molto più difficile.

Ho preso coscienza di questo nostro contributo in modo tutto particolare a Londra, nel 1996, quando mi sono incontrata con molte persone di varie Chiese, che vivevano come noi. Ho avvertito che, nonostante l’ancora mancante piena comunione tra Chiese e Comunità ecclesiali, eravamo veramente una porzione di cristianità viva, un cuore solo e un’anima sola anche per tutto ciò che già ci unisce.

Infatti, con i fratelli e sorelle delle varie Chiese, che aderiscono al nostro Movimento, conoscendoci e vivendo insieme la stessa spiritualità, che ci unisce, portando Gesù fra noi e la sua luce, abbiamo valorizzato al massimo l’essere tutti membri del Corpo mistico di Cristo per il comune battesimo; abbiamo avvertito patrimonio di ciascuno e di tutti insieme le grandi ricchezze dell’Antico e Nuovo Testamento, dei dogmi dei primi Concili che condividiamo, del Credo (niceno-costantinopolitano), dei Padri greci e latini (che ho citato poc’anzi), dei martiri e altro ancora, come la vita della grazia, la fede, la speranza, la carità.

Ricchezze di cui prima non ne eravamo coscienti del tutto o che si riconoscevano solo teoricamente. Mentre ora vivevamo insieme tutto ciò che è comune tra le Chiese.

Sperimentavamo poi che con la presenza di Gesù fra noi, che la comune spiritualità portava, si creava un vincolo così forte fra noi da farci dire con san Paolo: «Chi ci separerà dall’amore di Cristo?». «Nessuno potrà separarci» perché è Cristo che ci lega.

Chiamiamo questo nostro modo di vivere “dialogo della vita”. Ma anche “dialogo del popolo”, perché sentiamo di comporre fra noi “un unico popolo cristiano” che interessa laici, ma anche monaci, religiosi, diaconi, sacerdoti, pastori, vescovi.

“Dialogo del popolo” che non è un dialogo della base, che si contrappone o giustappone a quello dei cosiddetti vertici o responsabili di Chiese, ma un dialogo al quale tutti i cristiani possono partecipare.

Una via che potenzia
le varie forme del dialogo

Questo popolo è come un lievito nel movimento ecumenico che ravviva fra tutti il senso che, essendo cristiani, battezzati, nella possibilità di amarci, tutti possono contribuire alla realizzazione del Testamento di Gesù.

Il Signore, con il carisma dell’unità che ci ha dato, ha fatto veramente qualcosa di nuovo. Mentre prima ognuno andava per conto proprio, ora ciascuno si interessava anche degli altri. Per l’amore reciproco che vigeva fra noi, venivamo così a conoscenza delle nostre diverse tradizioni e apprezzavamo l’uno dell’altro i doni che avevamo, come quelli in comune. In questo modo veniva incrementato tra noi il dialogo della ca-rità: Gesù in mezzo a noi ci portava avanti nella comunione e ci faceva fratelli e sorelle.

Nell’impegno ecumenico, poi, la preghiera aveva un posto di rilievo perché l’unità è innanzitutto un dono dall’alto. Ora era evidente che si sarebbe ottenuta più facilmente la grazia dell’unità chiedendola insieme piuttosto che da soli. Gesù ha detto: «In verità vi dico ancora: se due di voi sopra la terra si accorderanno (consenserint) per domandare qualunque cosa, il Padre mio che è nei cieli ve la concederà» (Mt 18, 19).

Non si trattava di essere semplicemente gomito a gomito (in chiesa), ma di pregare veramente uniti spiritualmente, con Gesù in mezzo alla comunità.

Dice Giovanni Crisostomo che nessuno si riunisce insieme ad altri a pregare «fidandosi della sua virtù, ma della comunità e dell’accordo, che Dio tiene in massima considerazione e dal quale è commosso e placato. “Poiché dove sono due o tre riuniti nel mio nome – ha detto [Gesù] –, io sono in mezzo a loro”... Ciò che infatti qualcuno non può ottenere pregando da solo, lo otterrà pregando insieme alla comunità. Perché? Perché, anche se la virtù propria non ha una grande forza, l’ha però l’unanimità: “dove sono due o tre riuniti...”»11.

Con questa preghiera al Padre, fatta in unità, le grazie piovute sul Movimento, grazie spirituali e grazie materiali, sono state e sono senza numero. Confidiamo per questo che la preghiera di un popolo cristiano unito nel nome di Gesù avrà pure essa il massimo effetto nel contribuire al raggiungimento della piena comunione tra le Chiese.

Anche il dialogo teologico potrà trarre grande vantaggio dal “dialogo della vita”. Se infatti i teologi si ameranno a vicenda e stabiliranno con ciò la presenza di Gesù in mezzo a loro, Egli, che è l’unica verità a cui tutti tendono, illuminerà le loro menti e indicherà loro la via da seguire per raggiungere la piena unità di pensiero.

Origene afferma: «Se non riusciamo a risolvere e spiegare qualche problema, avviciniamoci a Gesù con tutta la concordia di sentimenti circa la nostra richiesta, poiché egli è presente dove due o tre sono riuniti nel suo nome e, mentre è presente con la sua potenza e il suo potere, è disposto a illuminare i cuori... per penetrare con l’anima le questioni»12.

Possiamo dunque aspettarci grandi progressi per il dialogo teologico dalla spiritualità dell’unità vissuta da teologi di varie Chiese.

La chiave dell’unità:
Gesù crocifisso e abbandonato

Sarà, però, di somma importanza aver stampato in cuore e nella pratica l’amore a Gesù crocifisso e abbandonato nel quale, sin dall’inizio della nostra storia, abbiamo ravvisato la chiave dell’unità con Dio e con i fratelli.

Non si può, infatti, entrare nell’animo di una persona per comprenderla, per capirla, se il nostro spirito è ricco di una preoccupazione, di un giudizio, di un pensiero..., di qualunque cosa. L’amore e l’amore reciproco esigono la massima povertà di spirito. Solo con essa è possibile realizzare l’unità.

Ora, solo Gesù abbandonato che ha perso tutto, che è stato in croce martoriato in modo incredibile, e all’ultimo momento ha gridato l’abbandono, solo Lui può insegnare a staccarsi da tutto, tutto, tutto. Questo massimo distacco esteriore, ma soprattutto interiore, rende tutti capaci di capire gli altri e rende tutti aperti a ricevere i doni che gli altri portano.

Infine speriamo pure che il perenne problema della “recezione”, cioè di come la gente possa recepire i progressi nei dialoghi teologici ufficiali, possa esser superato da un popolo ecumenicamente preparato.

La storia ci insegna che una dichiarazione formale di unità, fatta anche da responsabili di Chiese, non basta di per sé a sigillare la piena comunione tra le Chiese. Bisogna che il popolo sia informato e viva in modo conforme a quanto è stato capito e dichiarato.

Avremo la gioia di assistere allora ad episodi simili a quanto è successo nel Concilio di Efeso, nel 431, quando i Padri conciliari hanno proclamato Maria Theotókos e tutto il popolo era in festa.

Ho cercato di illustrare la presenza di Gesù fra più persone e il contributo che il Movimento dei focolari è chiamato a dare al grande movimento ecumenico che, da quasi un secolo ormai, per grazia dello Spirito Santo, ha investito tutta la cristianità.

A questo punto, forse, non ci resta che formulare in cuore un sincero proposito: ripartire dall’amare, amando tutti, amando per primi, amando concretamente Gesù in ognuno, e soprattutto amandoci a vicenda, in modo che Lui sia presente fra noi.

Che la Trinità Santissima conceda a noi o a quanti ci seguiranno, di vedere lo straordinario momento della piena visibile comunione della Chiesa.

E “Cristo sia in mezzo a noi!”.

Chiara Lubich

 

 

____________________________________

 

01) In Matth., Hom. 60, 3, in PG 58, 587.

02) Cf Expos. in Psalm. 133, in PG 55, 385.

03) Comment. in Matth. 14, 1s., in PG 13, 1187.

04) In Cantica Cantic. 41, in PG 13, 94.

05) Expos. in Proph. Os. in PG 126, 587.

06) Comment. in Matth. 14, 1s., in PG 13, 1191.

07) Enarr. in Evang. Matth. 18, 19-20, in PG 123, 343.

08) Epist. fest. 10, 2, in PG 26, 1397-1398.

19) Unitatis Redintegratio, n. 8.

10) Ut unum sint, n. 23.

11) In Epist. II ad Thess., Hom. 4, 4, in PG 62, 491.

12) Comment. in Matth., 13, 15: PG 13, 1131.