Ecumenismo: nuova tappa

 

A un secolo dagli inizi del Movimento ecumenico e a 40 anni dalla promulgazione del Decreto conciliare sull’ecumenismo Unitatis Redintegratio, la causa dell’unità dei cristiani appare più che mai urgente. Dalle persistenti divisioni fra i cristiani, la credibilità del messaggio evangelico è, infatti, sempre di nuovo messa a rischio. E non si tratta di una qualsiasi controtestimonianza, ma della smentita di quello che è il fulcro stesso e la missione del cristianesimo: la comunione come riflesso e dono di quel Dio Triuno che solo sa compiere il miracolo che molti si fondano in uno senza annullarsi a vicenda, e che l’unità si apra sempre di nuovo nella ricchezza di una legittima molteplicità di espressioni.

Con quale coraggio, e soprattutto con quale speranza di successo, in una situazione del genere la cristianità può presentarsi all’umanità come strumento di salvezza e d’unità (cf LG 1)? La via ecumenica, intrapresa da tante Chiese, è dunque di assoluta priorità. Ma per l’azione ecumenica, questo è tempo di realismo. A 40 anni dal Concilio Vaticano II, quello che si poteva carpire con una certa facilità dai dialoghi teologici, è in gran parte raccolto, benché tuttora poco recepito, anche nel popolo. Nelle commissioni del dialogo teologico si è ora alle prese con le questioni del ministero, della successione apostolica, del ministero petrino: terreno roccioso sul quale, con tutta probabilità, si avanzerà lentamente.

In questa situazione, quali le speranze per l’unità? E quale via percorrere?

Innanzi tutto, si tratta di non perdere di vista il grande dono degli ultimi decenni: la ritrovata fraternità fra i battezzati, come è stata segnalata da Giovanni Paolo II nell’enciclica Ut unum sint (cf n. 41s.).

Può essere di luce, poi, questa indicazione che il Card. Kasper formulò in occasione della Sessione plenaria del Pontificio Consiglio per l’unità dei cristiani nel novembre 2001: dobbiamo «riempire di vera vita lo stadio intermedio che abbiamo raggiunto, di una reale anche se non completa communio ecclesiale. “L’ecumenismo dell’amore” e “l’ecumenismo della verità”, che mantengono certamente tutta la loro importanza, debbono essere attuati per mezzo di un “ecumenismo di vita”»1.

È di un tale “ecumenismo di vita” che le pagine di questo numero di Gen’s vogliono dare testimonianza. E ne intendono mettere in luce pure il fondamento teologico ed ecclesiologico.

Il “dialogo della vita”, così come si svolge sotto la spinta del carisma di comunione del Movimento dei focolari, non si prefigge unicamente di superare, attraverso la reciproca frequentazione, l’estraniamento di secoli, ma mira, attraverso l’amore reciproco vissuto radicalmente, a rendere operante la grazia di “Cristo in mezzo a noi” (cf Mt 18, 20), Colui che è il fondamento e la sorgente, l’essere profondo della Chiesa; e che è pure – come sempre più si comprende – Colui che solo le può ridare la sua visibile unità.

Non è utopia perciò né un traguardo lontano la piena unità visibile. Nella misura in cui – come si propone il “dialogo della vita” –, per l’amore reciproco vissuto senza riserve, si fa sempre più reale ed efficace fra cristiani di varie Chiese la presenza del Risorto e il dinamismo travolgente di comunione che viene da lui, possiamo sperare che la visibile unità dei cristiani possa giungere prima di quando ce l’aspettiamo, così come avvenne – come ha fatto notare qualcuno – il 9 novembre 1989 il crollo del muro di Berlino, superando anche le più ottimistiche previsioni.

H. B.

 

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1)   Cf “Il Regno-attualità” 47 (2002) p. 141.