Esercizi spirituali nel Seminario maggiore di Haiti

 

Un’esperienza di regno di Dio

di Giorgio Maria Olivera

 

Oggi c’è una continua richiesta di persone capaci di orientare ritiri o esercizi spirituali sia per il mondo sacerdotale che per quello laicale. Se ne avverte la preziosità, ma anche la necessità di darli in forma nuova, soprattutto nel loro contenuto, in modo che non migliorino solo il rapporto personale con Dio, ma incrementino anche la comunione nella Chiesa. Riportiamo qui il tentativo fatto da un sacerdote che, essendosi avventurato per la prima volta in questa esperienza con un gruppo di seminaristi, ci sembra abbia raccolto frutti sorprendenti.

Sono stato invitato a predicare gli esercizi spirituali al Seminario maggiore di Haiti. Non vi ero mai stato e non conoscevo personalmente nessuno. Avevo delle informazioni sulla realtà del Paese e sulla vita della Chiesa haitiana soltanto in modo indiretto.

L’invito mi era stato rivolto dal nunzio apostolico. Quando mi ha chiesto se avessi accettato di andare ad Haiti per predicare un corso di esercizi spirituali ai seminaristi, ho sentito subito di dover “gettare la rete”, credere, cioè, che l’invito venisse da un’ispirazione. Non avevo mai predicato, infatti, un intero corso di esercizi spirituali.

Fin dall’inizio l’ho visto come una possibilità di compiere un atto d’amore. Siamo sinceri: pensare  che avrei potuto poi godere alcuni giorni di vacanze nel mare dei Caraibi, mi ha aiutato a superare qualche riserva…

Alcune settimane prima di partire sono stato a Padova, e nella cappella dove si venera la lingua di sant’Antonio mi è venuto spontaneo affidargli gli esercizi che avrei dovuto predicare. Di colpo ho capito che non dovevo chiedere il “dono della parola”, perché mi rendevo conto che ci sarebbe stato amor proprio in quella richiesta, ma lo Spirito Santo. Penso che in qualche modo sia stato esaudito.

 

Metodo

Ho concepito i tre giorni e mezzo di ritiro come una “esperienza di vita” ed ho invitato i seminaristi a “vivere” oltre che a meditare. Ho cercato di coinvolgerli lanciando una sfida, una scommessa: avrebbero sperimentato i frutti promessi da Gesù ai suoi discepoli (gioia, libertà, luce, pace, ardore…), se avessero messo in pratica quei valori evangelici che avrei loro proposto, con l’atteggiamento del bambino evangelico. Ero convinto che si sarebbe potuto fare un’esperienza di Regno di Dio in quei giorni, ed ho chiesto loro di provare.

Non ho domandato il silenzio assoluto ma il costante raccoglimento, proponendo loro o di parlare con Dio nel silenzio, o di parlare di Dio, a due a due o in piccoli gruppi.

Ho incontrato due ostacoli principali da superare: la stanchezza di fine anno (avevano appena terminato gli esami) e, naturalmente,  erano già con il pensiero alle meritate vacanze, senza contare che c’era di mezzo la coppa del mondo di calcio!

Ho subito capito che non avrei dovuto “pretendere” nulla, ma, allo stesso tempo, dovevo credere che poteva essere per tutti un momento di grazia e, quindi, avrei dovuto dare tutto, senza pensare ai condizionamenti ed invitandoli a non lasciarsi condizionare: tre giorni e mezzo non sono troppi.

Per fare cogliere loro che la cosa importante era “fare un’esperienza di Regno di Dio” ho cercato di illustrare ogni meditazione con esperienze personali. In questo modo era più facile capire che la Parola di Dio che meditavamo è Parola di Vita, cioè Parola da vivere.

Inoltre, ho invitato subito tutti a fare un patto, un “patto di misericordia”: dovevano “dimenticare”, almeno per quei giorni, i difetti degli altri – quanti ne avevano visti durante tutto l’anno trascorso insieme! –, e vedere ciascuno con occhi nuovi, come se non si fossero mai conosciuti prima. Ogni giorno, all’inizio della giornata, e più volte nel corso di essa, ricordavo quel patto e li invitavo a rinnovarlo, anche nei miei confronti.

Trovandomi in un ambiente nuovo e diverso, anche a me veniva la tentazione di giudicare, di paragonare, di pensare che “da noi non si farebbe così…”.

Ho subito avvertito che non ero venuto per giudicare le differenze, ma per cercare di capirle, interpretarle con cuore materno, come fa Dio nei nostri riguardi. Vivere il patto di misericordia valeva prima di tutto per me.

 

Contenuto

Il tema che avevo scelto era “Vivere con il Risorto”. Ho presentato sei meditazioni su alcuni punti della spiritualità di comunione, partendo sempre da una riflessione su un brano del Nuovo Testamento e con un riferimento ad un passo della Novo millennio ineunte.

Questi gli argomenti delle meditazioni: 1) l’Amore di Dio per me e per ciascuno; 2) fare la volontà di Dio come risposta al Suo amore; 3) è volontà di Dio che amiamo: i vari aspetti dell’arte di amare; 4) Gesù ci ha chiesto di amarci reciprocamente: il comandamento nuovo; 5) l’amore reciproco genera la comunione: nasce la Chiesa; 6) Gesù crocifisso e abbandonato, segreto della comunione e, infine, tre meditazioni sui consigli evangelici come strumenti della comunione: 7) la povertà come comunione di beni spirituali e materiali; 8) la castità come dono di sé a Dio e ai fratelli; 9) l’obbedienza come via alla libertà.

Ho insistito particolarmente nel dire che un frutto della vita con il Risorto, cioè della vita di comunione, è la gioia: se non vi è la gioia piena significa che qualche cosa non funziona. Mi ha fatto piacere quando un seminarista, dopo il primo incontro di gruppo serale, mi ha detto che, nel suo gruppo, «hanno condiviso la loro gioia» per la giornata trascorsa.

 

Effetti

Ho visto l’attenzione crescere incontro dopo incontro. I seminaristi sono entrati a poco a poco nel clima di stima e confidenza che mi sforzavo di creare. Credo che ciò che più li ha toccati sia stata proprio l’impostazione “vitale” che ho cercato di dare alle meditazioni (in tutto ho raccontato una ventina di esperienze, tutte personali, tratte specialmente dagli anni di vita in seminario). Quasi tutti quelli con cui ho parlato mi hanno detto di essere stati molto colpiti proprio dalle esperienze.

A metà corso, un seminarista è venuto a chiedermi perché ho scelto questi temi “molto adatti per il loro seminario” (e pensare che non conoscevo praticamente nulla!). E mi ringraziava per la semplicità e profondità delle meditazioni. Ho risposto dicendo che è quanto ho cercato di vivere da quando ero seminarista, e che quindi è tutto quello che ho da dare. E poi, Gesù è lo stesso, non soltanto ieri, oggi e sempre, ma anche in ogni punto della terra!

«È stata una testimonianza straordinaria», ha detto il rettore del Seminario maggiore durante la Messa alla conclusione del ritiro.

Alcuni giorni dopo, ho incontrato per caso un seminarista che aveva partecipato al ritiro, anche lui mi ripeteva: «È stato molto bello, soprattutto per le esperienze che hai raccontato!».

 

Un frutto immediato

I seminaristi dell’ultimo anno, prima dell’ordinazione diaconale, avevano in programma una gita-pellegrinaggio a Porto Rico, sulla tomba del primo beato dei Caraibi, Carlos Manuel Rodríguez. All’ultimo momento il sacerdote che doveva accompagnarli non ha più potuto farlo. Il rettore mi confidava la sua preoccupazione poiché, alla vigilia della partenza, non riusciva più a trovare nessuno che li accompagnasse. Abbiamo affidato tutto alla Provvidenza.

Dopo l’ultima meditazione, quella sull’obbedienza, uno dei sacerdoti formatori si è deciso ad accompagnare il gruppo, e a tavola mi ha detto: «Quando hai parlato dell’obbedienza (come atto d’amore liberante), ho sentito che dovevo cambiare i miei programmi e fare quello che il rettore si aspettava». In mezza giornata è riuscito ad avere il visto, ed il giorno dopo è partito con i seminaristi dell’ultimo anno.

Gli effetti positivi, comunque, credo siano stati soprattutto per  me. Ho capito che quello che conta è vivere, è amare. Ho constatato che il linguaggio dell’amore è compreso da tutti, ovunque, ed il Signore, poi, ci usa come strumenti del Suo amore.

Giorgio Maria Olivera