Italia: come incrementare la dimensione comunitaria?

 

Formare nei nostri seminari

di Andrea Caelli

 

L’autore, che è anche impegnato nella Commissione presbiterale dell’Italia e in quella dell’Europa, è rettore del Seminario di Como (Italia), dove la formazione è portata avanti da una équipe di sacerdoti, che si sforzano di testimoniare nel quotidiano che il sacerdote oggi si realizza come cristiano e come pastore se entra nella dinamica di un’autentica vita di comunione.

Formarsi è accogliere
Colui che dà la «forma»

Dall’esperienza fatta in questi anni nel mio seminario e da quanto ho potuto cogliere frequentando i formatori di altri seminari, mi sembra che, insieme a un lavoro generoso e qualificato, si sta creando un clima un po’ allarmante: ogni qual volta sorgono difficoltà nel giovane clero, ci si appella ai loro formatori. È liberante, allora, ridirci che l’azione formativa è prima di tutto opera dello Spirito Santo e che il modello, Colui che dà la “forma”, è Cristo in mezzo a noi.

Le indicazioni di Giovanni Paolo II sono estremamente chiare al riguardo: «Prima di programmare iniziative concrete occorre promuovere una spiritualità di comunione, facendola emergere come principio educativo in tutti i luoghi dove si plasma l’uomo e il cristiano, dove si educano i ministri dell’altare, i consacrati, gli operatori pastorali, dove si costruiscono le famiglie e le comunità» (NMI 43).

Questa è la forma richiesta per ogni cristiano e in particolare per il ministro dell’altare, poiché il suo è un ministero che «ha una radicale “forma comunitaria” e può essere assolto solo come un’opera collettiva» (PDV 17). «Senza questo cammino spirituale – osserva ancora il Papa –, a ben poco servirebbero gli strumenti esteriori della comunione. Diventerebbero apparati senz’anima, maschere di comunione più che sue vie di espressione e di crescita» (NMI 43). Quindi, anche nei seminari siamo chiamati prima di tutto a vivere e a promuovere una spiritualità di comunione, come base dell’intera opera di formazione nelle sue varie dimensioni.

L’esperienza di provenienza

Il giovane candidato che bussa alle porte dei seminari ha radicato in sé un vissuto che riflette il cammino ma anche la fragilità della cultura e delle nostre comunità ecclesiali. Nuove domande si impongono al formatore che accoglie oggi un giovane candidato: qual è la qualità dell’esperienza cristiana offerta dalle nostre comunità parrocchiali, dalla catechesi sacramentale, dalla pastorale giovanile? E ancora: qual è la qualità della dimensione comunitaria dei cammini di fede da cui provengono i candidati al ministero presbiterale?

V’è un altro dato da considerare ed è la varietà della genesi della loro vocazione. Vanno aumentando domande al presbiterato di giovani già adulti che non provengono da un cammino ecclesiale integrato nei suoi aspetti fondanti (vita sacramentale, ascolto della Parola, servizio ecclesiale…). Sempre più frequentemente si tratta di giovani con storie frammentate, età differenti, studi variegati, esperienze umane segnate da vissuti pregnanti, ma non sempre positivi.

Una realtà questa che va accolta, ma che rilancia una sfida evangelica alle Chiese e ai formatori. Un teologo orientale scriveva: «Se l’esigenza morale non si realizza pienamente in relazioni personali, rimane un principio astratto che può sì illuminare la coscienza, ma non rigenera la vita… Queste relazioni possono essere vissute pienamente solo in un ambiente concreto nel quale ogni individuo è collocato per la sua esistenza quotidiana di ogni giorno»1.

Priorità della formazione,
a partire da un’esperienza

La realtà dei seminari italiani si presenta alquanto variegata. Storie ecclesiali differenti hanno segnato la tradizione formativa arricchendo le singole diocesi di strutture e di itinerari locali.

Quello che andrò tracciando è un percorso formativo più che un modello, uno stile più che un progetto definito. È la ricerca, frutto di esperienza condivisa alla luce della spiritualità dell’unità, di elementi, che credo indispensabili, per il cammino formativo.

1. La fraternità
    dell’équipe dei formatori

I giovani vogliono vedere un’esperienza autentica di vita di fede e di fraternità. Sono critici di fronte alla sola esortazione.

Va ricordata l’origine dell’esperienza cristiana così come Giovanni ce la trasmette nel prologo della sua prima lettera: «...quello che abbiamo veduto e udito noi lo annunziamo a voi perché anche voi siate in comunione con noi» (1, 3). C’è una ragione teologico-spirituale che sostiene questa semplice constatazione: la grazia dà forma solo dentro un’esperienza annunciata, comunicata, trasmessa, che in-forma per la via della vita, dell’esperienza condivisa. La comunità forma non solo presentando contenuti, ma soprattutto mostrando in sé la presenza del Risorto. Ecco allora alcune priorità:

È più importante un clima di fraternità che l’assunzione di uno spazio all’interno della comunità. Gli incontri tra i formatori non sono finalizzati solo al servizio, ma anche alla distensione, alla vita di famiglia. Il seminarista percepisce quando un formatore abita il seminario o quando lo subisce. Questo si esprime anche nell’attenzione ai più anziani, ai malati, che per tanti anni hanno servito la comunità.

È più importante la compartecipazione da parte dei formatori di tutti gli aspetti della casa che la suddivisione degli incarichi. L’aspetto educativo, economico, pastorale abbisogna di uno sguardo d’insieme. Pur nel rispetto dei loro rispettivi compiti, gli educatori che operano nel seminario non sono estranei alla conduzione dell’intera vita della comunità.

È più importante la condivisione di un progetto formativo che la frantumazione dei ruoli. Il perno di unità è il rettore, ma va programmata la condivisione e la verifica e va pure promossa una comunicazione spontanea e frequente vissuta come occasione di discernimento e momento di grazia.

È più importante curare le relazioni fraterne con i seminaristi che le cose che si fanno per loro. Non mancare nei tempi stabiliti (assemblee, ritiri annuali, momenti di preghiera, di svago, di studio) e curare anche gli incontri quotidiani.

È più importante partecipare alle celebrazioni comunitarie che assolvere ai propri doveri in forma individuale. Le forme di pietà individualiste non edificano i semina-risti.

È più importante l’ospitalità che i programmi. Il seminario diventi la casa della fraternità del presbiterio: accoglienza di sacerdoti di passaggio e di coloro che vogliono venire a studiare e a riposare, e visite a preti malati da parte dei formatori.

2. Imparare l’arte della comunione

La spiritualità di comunione richiede una sapiente e graduale attuazione e si riveste di strumenti che innervano il percorso formativo e imprimono uno stile di vita.

La condivisione del cammino di fede

«Ho infatti un vivo desiderio di vedervi per comunicarvi qualche dono spirituale perché ne siate fortificati, o meglio, per rinfrancarmi con voi e tra voi mediante la fede che abbiamo in comune, voi e io» (Rm 1, 11-12).

Non basta vivere insieme per avere la garanzia di un’autentica vita fraterna. Le realtà più vere, anche tra i giovani che si preparano al ministero, rischiano di non circolare. Una certa timidezza e pudore, il rispetto umano, l’educazione al riserbo per la vita interiore, spesso impediscono di parlare dei cammini di fede con le sue gioie e le sue tentazioni. Il giovane va aiutato a non parlare sempre della fede degli altri e mai della propria, ma a mettersi in gioco personalmente.

L’unità di pensiero, chiesta da Paolo alle comunità cristiane primitive, è un obiettivo e un dono da chiedere. «Pensare la stessa cosa non significa che i cristiani debbono avere tutti le stesse idee, le stesse opinioni. Lo vediamo bene in Rm 15, 5-6, dove Paolo non chiede ai forti o ai deboli di rinunciare ai loro modi di vedere, ma di fare in modo che tale legittima pluralità non nuoccia all’unità profonda degli spiriti, che risulta dal fatto di condividere una sola fede»2.

Il seminario deve tener conto di questa dimensione e fornirne gli elementi fondativi, le condizioni, i tempi, la verifica. Sarà importante avere momenti di condivisione e di ascolto reciproco per riuscire a capire l’altro sino in fondo, rendendosi conto della sua logica interiore, delle motivazioni che lo spingono ad agire in un determinato modo.

Il discernimento comunitario

«Sottoponete tutto a discernimento» (1Ts 5, 21).

Il discernimento è stato concepito, spesso nel passato, come dato personale con l’aiuto del direttore spirituale. La Chiesa italiana, tuttavia, suggerisce alle comunità cristiane di acquisire il dono di un discernimento spirituale comunitario: «La comunità cristiana deve costituire il grembo in cui avviene il discernimento comunitario»3.

È importante in seminario l’assunzione di un corretto discernimento comunitario. Da qui la verifica di alcuni atteggiamenti psicologici-spirituali: la sincera ricerca della verità, l’attenzione al ruolo che giocano i sentimenti più profondi, un sufficiente grado di libertà interiore, un grande spirito di responsabilità e di carità. Soprattutto occorre maturare un robusto atteggiamento di fede: disponibilità all’azione dello Spirito Santo, ascolto dell’altro con fraterna benevolenza facendo il vuoto interiore, saper manifestare il proprio pensiero unicamente ancorati al desiderio di contribuire al vero bene comune e, infine, accogliere la decisione presa come espressione della volontà di Dio assicurando un consenso sul piano operativo. Questo itinerario richiede il paziente contributo dell’intera comunità.

La correzione fraterna

«Ammaestratevi e ammonitevi con ogni sapienza» (Col 3, 16).

Occorre ritrovare le motivazioni di fondo di un esercizio spirituale delicato e squisitamente carico di carità (Mt 18, 15-17). La correzione fraterna deve essere mossa dall’amore concreto al fratello. Ci vuole il coraggio di lasciarsi correggere e l’umiltà di accogliere quanto viene detto dagli altri, anche perché spesso l’altro vede in noi cose che da soli non sempre percepiamo. Si tratta di un esercizio esigente che richiede, anche in colui che deve correggere, il dono dell’amore, perché occorre parlare davanti a Dio, tenendo conto di ciò che l’altro è ora capace di attuare.

L’esperienza mi suggerisce che questa pratica spirituale comunitaria, va preparata nella preghiera e applicata in piccoli gruppi. Spesse volte proprio in questi contesti si riesce, per una grazia particolare, a sperimentare una presenza speciale del Signore. La comunità intera sente il beneficio della correzione e i giovani stessi poi la traducono in pratica nelle relazioni quotidiane.

La comunione di beni

«Tutte le cose mie sono tue…» (Gv 17, 10).

C’è una pedagogia della comunione di beni che qualifica la vita e il ministero del futuro presbitero: essa è segno di vera comunione ecclesiale. Questa dimensione nella vita di seminario non può essere disattesa. In questi anni il nostro cammino di formazione si è rivestito di queste scelte:

– Sostenere i seminaristi in difficoltà economiche, valutando con discrezione le singole situazioni economiche del candidato e della sua famiglia e coinvolgendo i parroci.

– Favorire lo scambio dei mezzi di trasporto personali: auto, moto, biciclette e altri beni personali.

– Creare casse comuni per spese comunitarie, devolvendo una parte dei soldi per seminaristi in terra di missione o per opere di carità.

– Contribuire al lavoro comune: incarichi in seminario, pulizie della casa e gestione dell’accoglienza dei gruppi esterni.

– Maturare il senso estetico nell’abbellire  gli ambienti, accogliendo i suggerimenti degli altri e relativizzando il proprio modo di sentire, evitando così personalizzazioni eccessive ed eclettiche.

– Aggiornare e rendere partecipi i seminaristi dell’amministrazione ordinaria della comunità.

3. La fraternità: luogo
    di maturazione vocazionale

– La fraternità vissuta è luogo di discernimento. Capita, ad esempio, che i candidati approdino a scelte diverse: vita consacrata, missionaria, monastica, matrimoniale. Si chiarisce sempre più che l’importante è la scelta di Dio qualunque sia la sua chiamata. La comunità intera allora accoglie con serenità e con gioia le partenze quando esse fioriscono in questo clima.

– La fraternità vissuta è luogo di confronto e di accettazione delle diversità: l’attenzione ai percorsi formativi personalizzati, e differenziati, non crea contrasti e privilegi.

– La fraternità è luogo di responsabilità: in questo spazio ci si educa ad assumere responsabilità dirette e a uscire da facili individualismi.

– La fraternità è per i seminaristi uno spazio per imparare uno stile di servizio pastorale da praticare quando vanno ad aiutare nelle parrocchie.

In ascolto continuo dello Spirito

Concludendo sorge spontanea la domanda se saremo noi ad operare questo rinnovamento della formazione presbiterale o se sarà anche e soprattutto un dono dall’alto. Personalmente credo che anche oggi, come nel passato, i formatori per corrispondere alle attese del nostro tempo devono prestare attenzione alle proposte formative rinnovate e già sperimentate nei Movimenti e Comunità ecclesiali animati dai nuovi carismi.

Andrea Caelli

 

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1)     V. S. Solov’ev, La justification du Bien, Paris 1939, pp. 107-108.

2)     J. Dupont, “L’unione tra i primi cristiani”, in Nuovi studi sugli Atti degli Apostoli, Ed. Paoline, Cinisello Balsamo 1985, p. 285.

3)     CEI, Comunicare il Vangelo in un mondo che cambia. Orientamenti pastorali dell’Episcopato italiano per il primo decennio del Duemila, n. 50.