La formazione ad una svolta?

«La formazione è ben organizzata… Quasi in tutte le diocesi gli edifici dei seminari sono ristrutturati. Gli incarichi di rettore e di direttore spirituale sono assegnati… Le Direttive nazionali per la formazione sacerdotale… vengono attualmente riviste… Si è introdotto un periodo propedeutico all’inizio degli studi… Il corso teologico di base viene coordinato con le facoltà teologiche… Sono previsti tirocini pratici… Noi formatori temiamo però la domanda: “Quanti candidati avete attualmente?”». Con queste parole l’allora presidente della Conferenza dei rettori dei seminari in Germania, Hans-Werner Thönnes, ha tracciato in maniera schietta il punto della situazione, durante il Simposio per formatori di lingua tedesca che ha avuto luogo alla fine del 2002 a Paderborn con la partecipazione di oltre 200 esperti tra cui 15 vescovi e circa 40 rettori e padri spirituali1.

La sfida, comunque, non è solo quella dei numeri. C’è, fortunatamente, in parecchie parti del mondo una straordinaria fioritura di vocazioni. Non di rado, i vescovi hanno un bel da fare per predisporre le necessarie strutture e soprattutto formatori che siano attrezzati per affrontare il loro impegnativo compito.

Compito che, si direbbe, ai nostri tempi si fa sempre più arduo. Grossi cambiamenti socio-culturali impongono di riflettere a fondo sulla formazione presbiterale. Non a caso, nel 1990, un Sinodo dei vescovi si è interrogato sulla formazione dei sacerdoti “nelle circostanze attuali”. Raccogliendo i lavori di quell’assise, l’Esortazione post-sinodale Pastores dabo vobis ha tracciato indicazioni di valore universale.

Nel frattempo, però, sono comparse all’orizzonte ulteriori sfide. Quale, ad esempio, l’impatto, sulla vita dei futuri sacerdoti, della diffusione capillare di internet che penetra, oggi, anche negli spazi più protetti? E quale l’effetto del dilagare della cultura consumistica a livello mondiale e dei conseguenti modelli antropologici che tutti respirano “come l’aria”? C’è in atto una frantumazione interiore delle persone e c’è una nuova crisi dell’autorità, non per la via della contestazione, ma per la via della tacita evasione. Avanza, nel concerto di messaggi e di stimoli che si abbattono su ogni persona, un sottile individualismo, per il semplice fatto che – quasi per autodifesa – ciascuno cerca di arrangiarsi in qualche modo.

Di fronte ad una sfida di tale portata, è ovvio che non sarà risolutivo mettere in piedi nuovi espedienti organizzativi o misure disciplinari. Essi hanno la loro importanza, ma rischiano di rimanere all’esterno delle persone. Rimane la domanda: come formare in profondità? come trasformare dal di dentro chi si prepara al ministero presbiterale? E ancora: come aiutarlo, anche successivamente, a non essere travolto da quanto lo circonda?

Con capacità straordinaria di intuito teologico e di lettura dei segni dei tempi, Giovanni Paolo II agli albori di questo millennio ha indicato alla Chiesa l’obiettivo di farsi “casa e scuola della comunione”. Ed ha esortato a «promuovere una spiritualità della comunione» come «principio educativo in tutti i luoghi dove si plasma l’uomo e il cristiano, dove si educano i ministri dell’altare…» (cf Novo millennio ineunte 43).

Per l’anziano Pontefice, il futuro della formazione cristiana e sacerdotale si gioca su “questo cammino spirituale”, senza il quale anche le migliori strutture «diventerebbero apparati senz’anima», mentre «la spiritualità della comunione conferisce un’anima al dato istituzionale» (ibid. 43. 45).

Non è questo un compito da poco: creare luoghi che, per la comunione vissuta, abbiano la forza di essere un “mondo alternativo”. Luoghi in cui esiste e cresce un modello antropologico “nuovo”, una mentalità, una cultura “nuova”, ispirata alla logica del dono, dell’amore vero. Luoghi che sono sì uno spazio fisico, ma soprattutto uno spazio interpersonale, una rete di relazioni permeata dal Vangelo: Chiesa, non fatta di muri, ma di rapporti “trinitari”.

Offrendo su questo numero di gen’s riflessioni e testimonianze che provengono da vari contesti geografici e culturali, vorremmo contribuire a esplorare questa prospettiva, non in maniera teorica, ma per la via dell’esperienza.

Avremmo dovuto e voluto dare ancor più voce ai seminaristi che, oltretutto, in una prospettiva di comunione, non sono semplicemente i destinatari della formazione, ma protagonisti pienamente compartecipi. Lo spazio disponibile ci ha imposto dei limiti. Dall’altra parte, la vita dei seminaristi, su queste pagine, trova regolarmente espressione attraverso la rubrica UNO perché tutti siano uno. Inoltre, sono comparsi come quaderni di questa rivista gli Atti di vari loro Congressi internazionali2. Vogliano i seminaristi perdonarci perciò se questa volta ci siamo posti maggiormente nella prospettiva degli educatori. D’altronde, preparare formatori che, avvalendosi di una precisa competenza culturale e pedagogica, siano soprattutto esperti di comunione sembra essere in questo momento uno dei compiti più impellenti.

Torniamo, in chiusura di queste riflessioni, ancora una volta in Germania. Nel maggio 2003, in occasione di un grande incontro nazionale dei seminaristi – presenti all’80%, 800 in tutto –, la Conferenza dei rettori ha reso noto dodici “opzioni” le quali, in una situazione in cui si fa sentire pesantemente la mancanza di sacerdoti, puntano con coraggio alla qualità. Vale la pena riportarne alcune.

Per il ministero e la vita presbiterale: «Meglio realizzare, nell’interesse della missione, forme di vita comune, anziché rassegnarsi ad un’esistenza solitaria dei sacerdoti, pur di coprire l’intero territorio di assistenza sacerdotale». Per la formazione: «Meglio realizzare durante il tempo di seminario una vita impegnata secondo il Vangelo e sviluppare l’attitudine alla comunione e alla cooperazione, anziché conservare strutture in cui gli studenti trovano tutto pronto e fatto». Per la pastorale vocazionale: «Meglio lanciare la sfida affascinante della sequela di Gesù, anziché spegnere la gioia della fede attraverso permanenti discussioni».

a cura della redazione

 

1)     Cf gli Atti del Convegno: Peter Klasvogt (ed.), Leidenschaft für Gott und sein Volk. Priester für das 21. Jahrhundert, Bonifatius, Paderborn 2003.

2)     Cf “Quaderni di gen’s” n. 3 (1987), n. 6 (1990), n. 9 (1995), n. 11 (1999).