L’accoglienza
semplice e piena d’amore da parte vostra ci ha dato la percezione di un ritorno
a casa. Ci avete accolti nella vostra famiglia e noi ci siamo sentiti subito
famiglia, assorbiti da quell’unico Amore che fa tutti uno». Così una coppia di
fidanzati ha scritto ad alcuni seminaristi. E proseguono: «Dalla vostra vita
comune, dalla vostra volontà di avere Gesù fra di voi, dal vostro sì a questa
avventura divino-umana non potevamo non cogliere la bellezza, la serenità, lo
stupore, anche la fatica umana, per far sempre e comunque, prima di tutto, la
scelta di Dio con la fede adamantina che tutte le altre cose ci vengono date in
sovrappiù».
Pochi
giorni dopo – era la Pasqua – nella casa di questi stessi seminaristi mette
piede un giovane. Da tempo è in ricerca della sua strada. Si sente attratto dal
sacerdozio, ma ha in mente anche altro. Il rapporto fra lui e gli abitanti
della casa è immediato, pieno di gioia. Visitano i vari ambienti e non è
difficile notare che quel giovane si trova visibilmente a suo agio. Durante il
successivo colloquio, afferma: «Appena sono entrato per la porta, mi sono
sentito a casa. Mentre vedevo le vostre stanze, tutto mi parlava della vostra
chiamata. E mi sono detto: qui vorrei vivere! Ormai per me non c’è più dubbio».
Passa
una settimana, e viene un’altra persona in visita. Nuovamente, l’impatto con la
casa e con la comunità è immediato. Appena sedutasi, quella persona, che sta
passando un momento non facile, dice: «Non mi sarei aspettato di trovare un
ambiente del genere. Qui è tutto pieno d’armonia». «In che senso?», le chiedono
i suoi interlocutori. E lei: «Qui non si sentono tensioni». Passano alcune ore
di profonda condivisione. Ci si parla a cuore aperto. Al momento di ripartire,
l’ospite afferma: «Questa serata è stata un dono del Signore».
Ed
è ancora domenica. Questa volta a venire in visita, è un sacerdote africano,
assieme ad un’altra persona. Girano la casa e rimangono impressionati dalla
semplicità e dall’ordine delle camere. «Ma dove tenete le vostre cose?», chiedono
ai seminaristi. E questi rispondono: «Noi cerchiamo di avere solo quanto serve,
un po’ come i fiori, che traggono dalla terra quel tanto di nutrimento che è
loro necessario». Nasce anche qui un intenso colloquio.
Momenti
semplici che fanno pensare all’intuizione che Chiara Lubich aveva 33 anni fa
quando, proprio a Pasqua, in seno al Movimento dei Focolari, dette vita al
Movimento gens (generazione nuova sacerdotale): vivendo il Vangelo nella
dimensione dell’amore reciproco, non soltanto molti sarebbero arrivati a
realizzare effettivamente la loro vocazione, ma gli stessi seminari, per
l’unità vissuta, sarebbero diventati potenti centri d’irradiazione. È anche
questo un aspetto di quella “spiritualità di comunione” che invoca Giovanni
Paolo II: che il seminario sia casa; casa che ospita una famiglia di veri
fratelli.
Burundi. «Facevo fatica a tener
ordinata la mia camera e ormai pensavo che il mio “ordine” fosse il disordine.
Alle volte
cercavo
di rimediare, ma dopo due giorni tutto era come prima. Finché ci siamo
messi
al lavoro assieme ad un compagno. Strana cosa: ora riesco a tenere la camera in
ordine. Gli altri seminaristi mi chiedono
che
cosa è successo. Ma ciò che più mi dà gioia: ora la mia stanza è espressione
della
comunione che c'è fra noi». (C.B.)
Slovacchia. «Facendo meditazione sulla
conversazione di Chiara Lubich “L’amore
fa
casa” (cf. Gen’s 1/01), mi sono detto: ma qui devo proprio convertirmi! Già da
qualche
tempo l’ordine nei miei cassetti e dossiers non era proprio esemplare.
Mettendomi
al lavoro, in fondo ad un
cassetto
ho trovato degli scritti che cercavo da tempo, e mi sono pure imbattuto in
alcuni
libri che reclamavano il loro padrone. Dopo due ore, guardare la scrivania era
cosa diversa, proprio piacevole e in sintonia con l’anima. Avvertivo una pace
che non sentivo da tempo. Ho avuto la luce per affrontare alcuni piccoli
problemi. Mi dicevo:
“È
impressionante quale grazia porta con
sé
questo aspetto dell’amore!”». (J.M.)
Italia. «Durante un incontro in
focolare, sono rimasto profondamente toccato dal tema “L’amore fa casa”.
Ritornando al
seminario,
mi chiedevo come avrei potuto mettermi al servizio degli altri in questo
aspetto. Siccome il giorno dopo tutti
avrebbero
fatto una gita ed io invece sarei dovuto rimanere a casa per cure mediche, ho
subito pensato di pulire a fondo la stanza della nostra classe che versava in
condizioni veramente poco ospitali. La mattina dopo, armato di santa pazienza,
mi sono dedicato ad una pulizia radicale, pensando di fare dell’aula di classe
un luogo di “carità”
per
quanti ci vivono. L’episodio ha avuto
un
gioioso epilogo: il giorno dopo, si
è
replicato con una pulizia generale
della
cappella che necessitava di un
bell’intervento.
Questa volta non ero da solo. Altri quattro si sono aggiunti». (S.M.)
Polonia. «Un po’ sul serio e un po’
scherzando,
un compagno mi ha chiesto se potevo dargli in prestito il mio computer. Forse
sotto una spinta dello Spirito Santo,
al
primo acchito ho pensato: “Perché no?”. Ma subito dopo mi hanno assalito dubbi
ed esitazioni: “Il computer? Ma il computer è una cosa molto personale! Ci sono
i miei documenti privati e poi certi irrepetibili ed amati programmi. Questo
computer l’ho sognato da tempo. Potrebbe ritornare
guasto...”.
Ho detto allora di no. Ma ancora lo stesso giorno mi sono domandato:
“E
perché no? Che cosa vuoi che sia un computer?”. E quindi l’ho prestato al mio
compagno. Ero orgoglioso di me stesso, pur avendo tanti timori. Dopo due mesi,
quando mi è stato restituito il computer, il suo
contenuto
era veramente irriconoscibile. Praticamente si trattava di riformattare
il
disco rigido. Ma questo non era più importante. Più importante era ciò che
era
cambiato in me!». (A.R.)
In
qualsiasi ambiente abitiamo, dobbiamo ricordarci che quella è una casa dove
abita una famiglia di veri fratelli, che, perché uniti nel suo nome, hanno
Cristo fra loro: "Dove sono due o tre riuniti nel mio nome io sono in mezzo
a loro" (Mt 18, 20). (…)
[Questa
casa], ospitando dei fratelli veri nel senso soprannaturale, dei fratelli
divenuti tali in seguito alla rivoluzione cristiana in atto, accoglie una
cellula del Corpo mistico di Cristo. La realtà di fratelli uniti nel nome di
Gesù è qualcosa di così armonioso, che non può non avere il suo riflesso sulla
casa che li circonda. (…)
Non
importerà tanto che abbiamo pochi o molti oggetti da porvi, ma che questi siano
disposti in maniera tale da incontrare il gusto di tutti e concorrere a fare
così delle nostre case un riflesso dell'Opera di Dio. E siccome deve guidarci
sempre la carità, la casa dev'essere accogliente; e, dato che dobbiamo farci
uno col tempo in cui viviamo, essa dev'essere moderna. (…)
Nonostante
però tutto questo amore per la casa, siccome il nostro Ideale è Dio e rimane
soltanto Dio, per non uscire mai da questa linea sarà bene pensare di viverci
con sommo distacco.
(Da:
Come un arcobaleno, pro manuscripto, Roma 1999, pp. 439-441)
All’inizio
della Quaresima, i 21 studenti del Sud-Ovest della Francia che frequentano il
seminario interdiocesano di Bordeaux, hanno vissuto tre giorni di ritiro
all’insegna di alcuni temi forti della Novo millennio ineunte. Ad animare
queste giornate di riflessione e di revisione di vita sono stati due sacerdoti
focolarini, l’uno piuttosto giovane, appartenente alla diocesi di Périgueux,
l’altro di età matura, impegnato a svolgere il suo ministero nella periferia di
Parigi.
La
prima giornata era dedicata ad approfondire la chiamata all’unità, alla luce
della parola “Perché siano come noi una cosa sola” (Gv 17, 22). Una
conversazione di fondo, testimonianze e incontri per gruppo hanno offerto
l’occasione per prendere coscienza dell’importanza che nel presbiterio, attorno
al vescovo, diventi sempre più “affettiva ed effettiva” la comunione. «È la
prima volta – ha commentato un seminarista – che vedo una presentazione della
vocazione e del ministero del sacerdote in chiave così positiva e attraente,
dove la dimensione dell’essere è così centrale». Non per ultimo, la vivace
comunione fra i due predicatori era una vivente testimonianza che è possibile
realizzare un’unità concreta tra due generazioni assai diverse. Allo stesso
tempo la giornata ha spalancato gli orizzonti sui quattro grandi dialoghi che
Paolo VI inaugurò con la sua programmatica enciclica Ecclesiam suam, come
cerchi concentrici in cui si realizza l’unità.
Le
riflessioni e testimonianze della seconda giornata, che aveva per titolo il
segreto dell’unità, prendevano le mosse
dal grido di Gesù in croce “Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato” (Mc
15, 34), da quel momento cioè nel quale – come ha scritto Giovanni Paolo II –
Gesù “vede limpidamente la gravità del peccato e soffre per esso” (NMI 26). Penetrando
in questo mistero, i seminaristi hanno potuto rileggere in una luce nuova tante
situazioni della loro vita e del loro ambiente. “Gesù abbandonato in croce
riassume in sé tutta l’umanità ed è allo stesso tempo il punto d’incontro col
Cielo” – così un seminarista ha formulato la sua impressione. Particolarmente
importanti sono state, in quella giornata, le esperienze concrete che hanno
raccontato i due predicatori.
La
terza ed ultima giornata aveva per titolo dal Grido alla Parola ed ha messo in
luce come dal grido del Cristo in croce sorge una vita feconda per l’umanità e
come per questo sia importante che la Chiesa sia veramente comunione,
costantemente rinnovata dalla Parola di Gesù. In questo contesto, si sono messi
a fuoco alcuni strumenti per attuare in concreto una spiritualità di comunione,
come la condivisione delle esperienze con il Vangelo vissuto, l’ammonimento e
l’edificazione reciproca, il “patto” dell’amore vicendevole.
Con
l’invito a tradurre in vita la Parola e di mettere in comune quanto ne fiorisce
nella vita, si è concluso questo ritiro. «Penso che non sono molti i giovani
preti che si sarebbero arrischiati in questa avventura», ha scritto in una
lettera di ringraziamento ai predicatori il rettore del seminario. Ed ha
soggiunto: «Si è avvertita la solidità delle vostre prospettive spirituali.
Voglio dire che sapete dove andate e lo dite».