Notizie dal mondo dei seminari – 30

 

L’amore fa casa

 

L’accoglienza semplice e piena d’amore da parte vostra ci ha dato la percezione di un ritorno a casa. Ci avete accolti nella vostra famiglia e noi ci siamo sentiti subito famiglia, assorbiti da quell’unico Amore che fa tutti uno». Così una coppia di fidanzati ha scritto ad alcuni seminaristi. E proseguono: «Dalla vostra vita comune, dalla vostra volontà di avere Gesù fra di voi, dal vostro sì a questa avventura divino-umana non potevamo non cogliere la bellezza, la serenità, lo stupore, anche la fatica umana, per far sempre e comunque, prima di tutto, la scelta di Dio con la fede adamantina che tutte le altre cose ci vengono date in sovrappiù».

Pochi giorni dopo – era la Pasqua – nella casa di questi stessi seminaristi mette piede un giovane. Da tempo è in ricerca della sua strada. Si sente attratto dal sacerdozio, ma ha in mente anche altro. Il rapporto fra lui e gli abitanti della casa è immediato, pieno di gioia. Visitano i vari ambienti e non è difficile notare che quel giovane si trova visibilmente a suo agio. Durante il successivo colloquio, afferma: «Appena sono entrato per la porta, mi sono sentito a casa. Mentre vedevo le vostre stanze, tutto mi parlava della vostra chiamata. E mi sono detto: qui vorrei vivere! Ormai per me non c’è più dubbio».

Passa una settimana, e viene un’altra persona in visita. Nuovamente, l’impatto con la casa e con la comunità è immediato. Appena sedutasi, quella persona, che sta passando un momento non facile, dice: «Non mi sarei aspettato di trovare un ambiente del genere. Qui è tutto pieno d’armonia». «In che senso?», le chiedono i suoi interlocutori. E lei: «Qui non si sentono tensioni». Passano alcune ore di profonda condivisione. Ci si parla a cuore aperto. Al momento di ripartire, l’ospite afferma: «Questa serata è stata un dono del Signore».

Ed è ancora domenica. Questa volta a venire in visita, è un sacerdote africano, assieme ad un’altra persona. Girano la casa e rimangono impressionati dalla semplicità e dall’ordine delle camere. «Ma dove tenete le vostre cose?», chiedono ai seminaristi. E questi rispondono: «Noi cerchiamo di avere solo quanto serve, un po’ come i fiori, che traggono dalla terra quel tanto di nutrimento che è loro necessario». Nasce anche qui un intenso colloquio.

Momenti semplici che fanno pensare all’intuizione che Chiara Lubich aveva 33 anni fa quando, proprio a Pasqua, in seno al Movimento dei Focolari, dette vita al Movimento gens (generazione nuova sacerdotale): vivendo il Vangelo nella dimensione dell’amore reciproco, non soltanto molti sarebbero arrivati a realizzare effettivamente la loro vocazione, ma gli stessi seminari, per l’unità vissuta, sarebbero diventati potenti centri d’irradiazione. È anche questo un aspetto di quella “spiritualità di comunione” che invoca Giovanni Paolo II: che il seminario sia casa; casa che ospita una famiglia di veri fratelli.

 

Armonia in noi e fra noi

 

“Pensavo ormai che il mio ordine fosse il disordine”

Burundi. «Facevo fatica a tener ordinata la mia camera e ormai pensavo che il mio “ordine” fosse il disordine. Alle volte

cercavo di rimediare, ma dopo due giorni tutto era come prima. Finché ci siamo

messi al lavoro assieme ad un compagno. Strana cosa: ora riesco a tenere la camera in ordine. Gli altri seminaristi mi chiedono

che cosa è successo. Ma ciò che più mi dà gioia: ora la mia stanza è espressione

della comunione che c'è fra noi». (C.B.)

 

“Dopo due ore guardare la scrivania era cosa diversa”

Slovacchia. «Facendo meditazione sulla conversazione di Chiara Lubich “L’amore

fa casa” (cf. Gen’s 1/01), mi sono detto: ma qui devo proprio convertirmi! Già da

qualche tempo l’ordine nei miei cassetti e dossiers non era proprio esemplare.

Mettendomi al lavoro, in fondo ad un

cassetto ho trovato degli scritti che cercavo da tempo, e mi sono pure imbattuto in

alcuni libri che reclamavano il loro padrone. Dopo due ore, guardare la scrivania era cosa diversa, proprio piacevole e in sintonia con l’anima. Avvertivo una pace che non sentivo da tempo. Ho avuto la luce per affrontare alcuni piccoli problemi. Mi dicevo:

“È impressionante quale grazia porta con

sé questo aspetto dell’amore!”». (J.M.)

 

“Questa volta non ero da solo”

Italia. «Durante un incontro in focolare, sono rimasto profondamente toccato dal tema “L’amore fa casa”. Ritornando al

seminario, mi chiedevo come avrei potuto mettermi al servizio degli altri in questo aspetto. Siccome il giorno dopo tutti

avrebbero fatto una gita ed io invece sarei dovuto rimanere a casa per cure mediche, ho subito pensato di pulire a fondo la stanza della nostra classe che versava in condizioni veramente poco ospitali. La mattina dopo, armato di santa pazienza, mi sono dedicato ad una pulizia radicale, pensando di fare dell’aula di classe un luogo di “carità”

per quanti ci vivono. L’episodio ha avuto

un gioioso epilogo: il giorno dopo, si

è replicato con una pulizia generale

della cappella che necessitava di un

bell’intervento. Questa volta non ero da solo. Altri quattro si sono aggiunti». (S.M.)

 

“Potresti darmi in prestito il tuo computer?”

Polonia. «Un po’ sul serio e un po’

scherzando, un compagno mi ha chiesto se potevo dargli in prestito il mio computer. Forse sotto una spinta dello Spirito Santo,

al primo acchito ho pensato: “Perché no?”. Ma subito dopo mi hanno assalito dubbi ed esitazioni: “Il computer? Ma il computer è una cosa molto personale! Ci sono i miei documenti privati e poi certi irrepetibili ed amati programmi. Questo computer l’ho sognato da tempo. Potrebbe ritornare

guasto...”. Ho detto allora di no. Ma ancora lo stesso giorno mi sono domandato:

“E perché no? Che cosa vuoi che sia un computer?”. E quindi l’ho prestato al mio compagno. Ero orgoglioso di me stesso, pur avendo tanti timori. Dopo due mesi, quando mi è stato restituito il computer, il suo

contenuto era veramente irriconoscibile. Praticamente si trattava di riformattare

il disco rigido. Ma questo non era più importante. Più importante era ciò che

era cambiato in me!». (A.R.)

 

Un riflesso di Dio

 

In qualsiasi ambiente abitiamo, dobbiamo ricordarci che quella è una casa dove abita una famiglia di veri fratelli, che, perché uniti nel suo nome, hanno Cristo fra loro: "Dove sono due o tre riuniti nel mio nome io sono in mezzo a loro" (Mt 18, 20). (…)

[Questa casa], ospitando dei fratelli veri nel senso soprannaturale, dei fratelli divenuti tali in seguito alla rivoluzione cristiana in atto, accoglie una cellula del Corpo mistico di Cristo. La realtà di fratelli uniti nel nome di Gesù è qualcosa di così armonioso, che non può non avere il suo riflesso sulla casa che li circonda. (…)

Non importerà tanto che abbiamo pochi o molti oggetti da porvi, ma che questi siano disposti in maniera tale da incontrare il gusto di tutti e concorrere a fare così delle nostre case un riflesso dell'Opera di Dio. E siccome deve guidarci sempre la carità, la casa dev'essere accogliente; e, dato che dobbiamo farci uno col tempo in cui viviamo, essa dev'essere moderna. (…)

Nonostante però tutto questo amore per la casa, siccome il nostro Ideale è Dio e rimane soltanto Dio, per non uscire mai da questa linea sarà bene pensare di viverci con sommo distacco.

(Da: Come un arcobaleno, pro manuscripto, Roma 1999, pp. 439-441)

 

Spiritualità di comunione

 

All’inizio della Quaresima, i 21 studenti del Sud-Ovest della Francia che frequentano il seminario interdiocesano di Bordeaux, hanno vissuto tre giorni di ritiro all’insegna di alcuni temi forti della Novo millennio ineunte. Ad animare queste giornate di riflessione e di revisione di vita sono stati due sacerdoti focolarini, l’uno piuttosto giovane, appartenente alla diocesi di Périgueux, l’altro di età matura, impegnato a svolgere il suo ministero nella periferia di Parigi.

La prima giornata era dedicata ad approfondire la chiamata all’unità, alla luce della parola “Perché siano come noi una cosa sola” (Gv 17, 22). Una conversazione di fondo, testimonianze e incontri per gruppo hanno offerto l’occasione per prendere coscienza dell’importanza che nel presbiterio, attorno al vescovo, diventi sempre più “affettiva ed effettiva” la comunione. «È la prima volta – ha commentato un seminarista – che vedo una presentazione della vocazione e del ministero del sacerdote in chiave così positiva e attraente, dove la dimensione dell’essere è così centrale». Non per ultimo, la vivace comunione fra i due predicatori era una vivente testimonianza che è possibile realizzare un’unità concreta tra due generazioni assai diverse. Allo stesso tempo la giornata ha spalancato gli orizzonti sui quattro grandi dialoghi che Paolo VI inaugurò con la sua programmatica enciclica Ecclesiam suam, come cerchi concentrici in cui si realizza l’unità.

Le riflessioni e testimonianze della seconda giornata, che aveva per titolo il segreto dell’unità,  prendevano le mosse dal grido di Gesù in croce “Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato” (Mc 15, 34), da quel momento cioè nel quale – come ha scritto Giovanni Paolo II – Gesù “vede limpidamente la gravità del peccato e soffre per esso” (NMI 26). Penetrando in questo mistero, i seminaristi hanno potuto rileggere in una luce nuova tante situazioni della loro vita e del loro ambiente. “Gesù abbandonato in croce riassume in sé tutta l’umanità ed è allo stesso tempo il punto d’incontro col Cielo” – così un seminarista ha formulato la sua impressione. Particolarmente importanti sono state, in quella giornata, le esperienze concrete che hanno raccontato i due predicatori.

La terza ed ultima giornata aveva per titolo dal Grido alla Parola ed ha messo in luce come dal grido del Cristo in croce sorge una vita feconda per l’umanità e come per questo sia importante che la Chiesa sia veramente comunione, costantemente rinnovata dalla Parola di Gesù. In questo contesto, si sono messi a fuoco alcuni strumenti per attuare in concreto una spiritualità di comunione, come la condivisione delle esperienze con il Vangelo vissuto, l’ammonimento e l’edificazione reciproca, il “patto” dell’amore vicendevole.

Con l’invito a tradurre in vita la Parola e di mettere in comune quanto ne fiorisce nella vita, si è concluso questo ritiro. «Penso che non sono molti i giovani preti che si sarebbero arrischiati in questa avventura», ha scritto in una lettera di ringraziamento ai predicatori il rettore del seminario. Ed ha soggiunto: «Si è avvertita la solidità delle vostre prospettive spirituali. Voglio dire che sapete dove andate e lo dite».