La Chiesa nel mondo

Dialogo
interreligioso

Convegno in India – “cristianesimo e nazionalismo”: è il titolo di un importante incontro tenuto, nel gennaio scorso, a Bangalore presso il seminario carmelitano Dharmaram Vidyakshetram.

L’incontro ha visto la partecipazione di 300 teologi con l’intervento, tra gli altri, di padre Felix Wilfred, ex segretario esecutivo della commissione teologica, oggi Ufficio per gli affari teologici della FABC (Federazione delle Conferenze Episcopali dell’Asia), sul tema dell’integrazione del cristianesimo nel contesto multireligioso asiatico.

Padre Wilfred, già membro della Commissione teologica internazionale, ritiene che il cristianesimo in India deve assumere un linguaggio più comprensibile al fine di un’integrazione completa ed ha aggiunto che alcuni grandi leaders indù, che hanno studiato la Bibbia e compreso il messaggio cristiano, hanno avuto  nel loro Paese un impatto superiore a quello di esponenti cattolici. Ed ha citato Gandhi: un uomo che ha saputo trarre dalla Bibbia molti insegnamenti al servizio del suo popolo.

Molti altri interventi hanno sottolineato l’importanza del rinnovamento interno dell’India attraverso una maggiore evangelizzazione e la necessità di un cristianesimo più inculturato nel contesto indiano.

Incontro a Sarajevo – Una realtà che le Chiese cristiane d’Europa si trovano ad affrontare è la presenza crescente dell’Islàm in questo Continente. Cosa si pensa di dover fare per una convivenza pacifica?

La Conferenza delle Chiese Europee evangeliche ed ortodosse (KEK) e il Consiglio delle Conferenze Episcopali cattoliche d’Europa (CCEE) stanno preparando un congresso che si terrà il prossimo autunno a Sarajevo, dove inviteranno anche rappresentanti islamici europei. I temi saranno quelli della reciprocità, della famiglia, dei matrimoni interreligiosi e del rapporto tra religione e nazione e tra religione e politica. Nel dialogo le nostre diversità possono diventare doni reciproci e far nascere una realtà nuova nei rapporti tra cristiani e islamici.

 

Charta oecumenica

La firma della Charta oecumenica nell’aprile scorso a Strasburgo costituisce senza dubbio un grande traguardo ecumenico. I contenuti della Charta vanno dall’impegno comune per l’evangelizzazione allo stile dei rapporti ecumenici, alla ricerca insieme per dare un’anima cristiana al continente, guardando anche a fenomeni come l’emigrazione e la presenza sempre più massiccia di nuove religioni e credi in Europa. (Il testo integrale della Charta si può trovare in www.kath.ch/ccee/).

Lungo e laborioso è stato il cammino per arrivare alla firma. È passato per varie tappe: dall’assemblea ecumenica di Graz nel  giugno del 1997 all’incontro in Portogallo all’inizio di quest’anno. Questo ha permesso il contributo delle varie Chiese europee nella stesura della charta e certamente comporterà un contributo non indifferente al progresso dell’ecumenismo.

In questo campo negli ultimi anni si accusava una certa stanchezza. Abbiamo chiesto allora a mons. Aldo Giordano, segretario generale del CCEE, se all’inizio del nuovo millennio sia cambiato qualcosa nel clima ecumenico.

«Ho avuto l’impressione – ci ha risposto – che il 2000 è stato un po’ un anno di aratura del campo ecumenico, con grossi segni di speranza e con altri segni che sono stati interpretati in maniera contraddittoria. Adesso abbiamo l’impressione che in questo campo arato stanno germogliando delle cose nuove e interessanti. I responsabili delle Chiese  durante questi incontri hanno dimostrato che si cerca veramente di creare qualcosa di comune.

Le parole chiare del Papa alla chiusura della settimana di preghiera per l’unità dei cristiani di quest’anno sono state molto sentite; inoltre c’è stata tra noi una riflessione sulla Dominus Iesus, che ha chiarito come questo documento va letto all’interno di tutto il magistero della Chiesa cattolica ed anche degli ultimi interventi del Santo Padre.

Questo è venuto in luce chiaramente quando abbiamo discusso in Portogallo il nuovo testo della Charta oecumenica sulle linee di fondo  per un cammino di riconciliazione delle Chiese d’Europa. Nei mesi precedenti s’intravedevano delle nubi da parte di alcune Chiese, mentre ora esse hanno condiviso questo nuovo testo che offre adeguati criteri per sviluppare una cultura ecumenica del dialogo e della collaborazione.

L’esserci ritrovati insieme in aprile a Strasburgo più di 100 responsabili e 100 giovani, con una dimensione quindi di futuro e con la volontà di affidare il testimone dell’ecumenismo alla nuova generazione, ci sembrano segni di un forte valore simbolico».

Premio a Sant’Egidio

Quest’anno l’Unesco ha conferito alla Comunità di Sant’Egidio il premio Fefix Houphouet Boigny per la pace a motivo del contributo dato alla risoluzione dei conflitti in varie parti del mondo soprattutto in Africa, dove è presente in più di 20 Paesi e dove nel ‘92 riportò la pace in Mozambico.

In qualche modo questo riconoscimento dice una cosa di cui Sant’Egidio è convinto da sempre e cioè che la pace, anche in questi Paesi così straziati da conflitti, che qualcuno vuole definire molto frettolosamente etnici, è possibile. Ce lo conferma il fondatore di Sant’Egidio, Andrea Riccardi.

«Sì, la pace è possibile ed è la scelta più razionale per tanti popoli di questo mondo, anche per i popoli africani. Io temo che le diverse identità etniche e religiose siano alla fine strumentalizzate da politici furbi, i quali per fare interessi di parte seminano la divisione e il conflitto. In questo senso dobbiamo stare molto attenti, far tornare la simpatia tra cristiani e musulmani, cercare di dialogare e affermare i diritti della propria identità non in contrasto con quelli dell’altro. Bisogna imparare una grande lezione, quella che ci viene dall’Africa e dai Balcani, e cioè che la storia e la vita sono coabitazione con l’altro».

La Comunità di Sant’Egidio ha attualmente altri progetti in cantiere?

Ci risponde ancora il prof. Riccardi: «Stiamo lavorando ad un programma di cura dell’AIDS e alla ricostruzione del nostro ospedale in Guinea Bissau, distrutto dalla guerra.

«Non abbiamo un progetto di mediazione particolare, ma non voltiamo le spalle ai Paesi in guerra, all’Africa delle malattie e delle lotte intestine. Questo per quanto riguarda l’Africa, ma Sant’Egidio non è soltanto lì, ma in tanti Paesi d’Europa come ad esempio in Francia, Belgio, Spagna, Germania, nell’Europa dell’Est e a Mosca ed ancora in America Latina e in Indonesia».

 

a cura della redazione